Forse il Bond più amato dai cultori del nuovo cinema di Hong Kong. Per la verità Il domani non muore mai (Tomorrow Never Dies, 1997) arriva in un’epoca in cui lo straripante influsso del cinema di Hong Kong ha ormai esaurito la sua spinta. Siamo nel 1997 ma il film esce dopo lo storico handover della ex colonia alla Madrepatria cinese e gran parte dei cineasti di HK sono già “emigrati” negli USA a importare sparatorie al rallentatore e grafici balletti di proiettili. Di fatto l’Occidente ha scoperto solo tardivamente John Woo, le sue storie e i suoi eroi.
L’inserimento nel cast di Michelle Yeoh, che di quel cinema fu ambasciatrice nel mondo (basta vedere i film della serie Yes, Madam per rendersene conto) è emblematico della volontà di catturare il pubblico che in quegli anni ha seguito quel particolare genere di cinama d’azione.
Come non è casuale che parte della vicenda si svolga in estremo oriente. I produttori avrebbero voluto il Vietnam e la baia di Halong ma il Governo di Hanoi si oppose giudicando ancora inammissibile supportare le gesta di un agente imperialista e si sopperì con una ben riuscita cover di Saigon con Bangkok e della suddetta baia con l’ormai mitica Phang Nga, che già era stata impiegata ne L’uomo dalla pistola d’oro. Ma il film non è, evidentemente solo questo.
Bond tostissimo sin dalla prima scena al bazar delle armi per terroristi in Afghanistan, picchia spara, vola con notevole realismo. Pierce Brosnan sembra sempre più convinto del ruolo. Qui è opposto a Jonathan Pryce nei panni di un magnate dell’informazione che voleva rispecchiare Murdock (e qui in Italia presero per Berlusconi...) ma soprattutto deve fare i conti con una ex fiamma divenuta la moglie del nemico. Se nella seduzione della femmina dell’avversario non c’è nulla di strano, è nel rapporto tra Bond e la donna che in un passato (lontano e sinora ignoto) ha amata che si profila una certa originalità. Seppure la visione del deshabillé con tanto di reggicalze di Teri Hatcher mozza il respiro, l’immagine di Bond che beve nervosamente vodka aspettando l’amante ma consapevole del fatto che lei abbia scelto un uomo più ricco che si connota meglio il personaggio. Ancora una volta è attraverso il sentimento che ci avviciniamo a un Bond più simile a quello letterario. Senza melensaggini, con una punta di amarezza, di noir.
Per il resto la storia fila tra la Germania e l’estremo oriente. Joe Don Baker recita ancora una volta il ruolo dell’agente CIA pasticcione e grossolano e non manca neppure l’omaccione grande e grosso con cui fare a botte sul filo dei secondi, nel gran finale. Roger Spottiswoode, regista dalla carriera altalenante che ci ha regalato anche un ottimo film negli anni ’80 (Under Fire, Sotto tiro) ma pure pellicole senza particolari qualità, litigò con Brosnan, con la produzione, insomma il film rischiò di non essere pronto in tempo per la tradizionale prima di novembre. Alla fine tutto filò liscio.
Personalmente è uno dei Brosnan che ho gradito di più. Al di là del macchiettistico professor Kaufman (Vincent Schiavelli) retaggio dell’era Moore, la sceneggiatura è sobria, surreale con la macchina guidata a distanza e forse sovrabbondante di scene d’azione che tolgono qualcosa alla trama ma tant’è, il cinema è immagine e il film è già lungo di per sé. Nella novelization, all’epoca realizzata da Raymond Benson [Segretissimo n. 1349, 11 gennaio 1998], era presente nella prima parte tutta una sotto trama della quale la Yeoh era protagonista e che serviva per introdurre il cattivo generale Chang che vorrebbe scatenare una guerra tra Cina e Inghilterra, per prendere il potere con un colpo di stato. Tutta questa sezione è stata tagliata in fase di realizzazione (forse neanche concepita, Raymond è bravissimo a creare supporti di storie apparentemente illogiche!) per l’evidente motivo che Bond sarebbe entrato in scena troppo tardi. Così il complotto per manipolare l’opinione pubblica attraverso i media risulta un po’ forzato. È un peccato perché di lì a pochi anni avremo la conferma con la famosa caccia alle armi di distruzione di massa che una guerra può essere indotta da falsa propaganda mediatica con risultati disastrosi. Ma qui siamo ancora in un’era in cui Bond vive in un mondo simile al nostro, ma ancora sopra le righe. Un’era dove esistono navi invisibili e si passa con disinvoltura da una scena all’altra a suon di pistolettate e calcioni. Latita un po’ l’intreccio spionistico vero e proprio ma la spettacolarità è salva.
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