Sei anni dopo Bond ritorna. «You Know the Name, You Konow the Number» diceva la pubblicità di GoldenEye (1995). Non conoscevamo il volto, anzi no. Pierce Brosnan lo conoscevamo benissimo.

Personalmente quando faceva Mai dire sì (Remington Steele, 1982-1987) non lo trovavo eccezionale. Un po’ troppo fighetto. Invece a mio vedere è stato il miglior Bond delle ultime versioni. Aderente al modello, con qualcosa di Connery e qualcosa di Moore e l’eleganza nei movimenti, nella gestualità di Terence Young. E sappiamo quanto indossare lo smoking o portare alle labbra il Martini siano importanti per l’iconografia  jamesbondesca.

Una sequenza mozzafiato sulla diga con tanto di bungee jumping e studiate inquadrature d’introduzione, ambientata nell’89 con un Bond duro, virile che impugna la pistola con il dovuto vigore, preludono a una sigla cantata da Tina Turner. Perfetto! E la storia funziona.

          

Tutti sanno che GoldenEye era la villa di Ian Fleming in Giamaica. Qui diventa un satellite in grado di lanciare impulsi elettromagnetici capaci di friggere qualsiasi circuito elettronico sulla zona di tiro. Forse è questo il punto debole della vicenda, che si basa su una storia di Michael France sviluppata da Bruce Feirstein e Jeffrey Caine che prendono il posto di Wilson e Maibum. L’idea del satellite killer (che tornerà ne La morte può attendere) è ormai obsoleta, sa di vecchio e stride un po’ con le novità introdotte della serie. A parte questo mi sembra ottimo il rapporto con il cattivo (grande Sean Bean) ex agente amico di Bond che per la prima volta porta il tradimento all’interno del servizio.

Pierce Brosnan, fra Izabella Scorupco e Famke Jannsen
Pierce Brosnan, fra Izabella Scorupco e Famke Jannsen
Conosciamo anche Bill Tanner (Michael Kitchen) che nei romanzi ha sempre un ruolo interessante e soprattutto la nuova M, Judi Dench, attrice di valore perfettamente in ruolo dopo alcuni predecessori decisamente non all’altezza. Il fatto di mettere una donna al posto di M si rivela un’ottima scelta caratteriale. Dovuta forse al fatto che all’epoca il vero capo dell’MI6 era Stella Rimington, passata poi a scrivere lei stessa mediocri (a mio avviso) romanzi di spionaggio.

Se Moneypenney si rivela insostituibile e il vecchio Q ancora regge, la nuova M è la trovata forte del film.

          

Approfondisce il carattere di Bond che mai nella serie apparirà più cupo e malinconico. Trova però due ottime Bond Girl sulla sua strada. Izabella Scorupco è ceca e rivelerà in altri film tutte le sue capacità di action girl. Più stereotipata ma efficacissima Famke Jannsen gioca alla “serpentona” che gode solo quando fa (e riceve) dolore. Tutto ovviamente formato famiglia ma ci sono diverse sequenze, tra cui la lotta nella spa a San Pietroburgo, da antologia.

Se Joe Don Baker è un alleato americano di medio valore, Valentin Zukovsky, ex agente russo ora gangster, si aggiudica le simpatie come miglior alleato, tanto che lo ritroveremo in futuro.

Per il resto l’ambientazione a San Pietroburgo, la maffya e le varie location (ottima quella del parco delle statue abbandonate) creano la giusta atmosfera da post Guerra fredda. Immancabili Montecarlo e il tavolo da gioco ma la trovata più bella è il treno blindato che ci riporta al passato della Russia sovietica e, a me, rammenta un po’ i treni dell’ammiraglio Kolkov di Corte sconta detta arcana con Corto Maltese, ma sarebbe chiedere troppo pensare a un reale collegamento nella mente di sceneggiatori anglosassoni. Piuttosto i numerosi riferimenti alla Seconda guerra mondiale, alla Guerra fredda, ai cosacchi di Linz contestualizzano perfettamente la trama.

       

Pierce Brosnan e Izabella Scorupco (copyright Eon Productions)
Pierce Brosnan e Izabella Scorupco (copyright Eon Productions)
L’azione è adeguata ai tempi. Bond spara ma usa molto anche l’AKSU russo, se pensiamo ai vecchi Sten dell’esercito inglese dei primi film il passo è enorme. Le scene di combattimento corpo a corpo sono come sempre curate, non eccessivamente spettacolari ma crude, soprattutto la scazzottata tra Bond e Trevelyan sull’antenna.

Insomma anche in un “pacchetto” che privilegia l’azione e a volte sembra relegare la storia spionistica a mero espediente di sutura, Bond ritorna, con un maquillage che si è lasciato alle spalle inutili freddure e, ancor peggio, le sdolcinature della serie precedente. Insomma Bond è Bond. Ed è quello che volevamo.