Sembrerebbe un coro unanime quello delle voci alzatesi in segno di approvazione nei confronti del ventitreesimo film della saga ufficiale di James Bond. Stiamo parlando, ovviamente, di Skyfall diretto dal Premio Pscar Sam Mendes e interpretato da Daniel Craig, chiamato per la terza volta, in sei anni, a vestire i panni del celeberrimo agente britannico.

Maturità e modernità della trama, grande lavoro di approfondimento psicologico dei personaggi, sequenze d’azione sensazionali e innovative, sono i fattori che, a detta del grosso pubblico e di una critica schieratasi in maniera pressoché compatta, hanno decretato il successo di quello che qualcuno già si azzarda ad indicare come “il miglior Bond di sempre”.

Un Bond credibile, proiettato nel futuro senza rinunciare al passato, impersonato in maniera finalmente adulta da un attore con i fiocchi. Ciliegina sulla torta: la strepitosa canzone per i titoli di testa, magistralmente interpretata da Adele, la star del momento.

Tutto bello, tutto giusto e tutto molto apprezzato. Una saga che, a questo punto, sembrerebbe più che mai rilanciata verso nuovi grandi traguardi.

Ebbene, nel mio piccolo di appassionato fan e discreto conoscitore del personaggio (soprattutto nella sua versione cinematografica) permettetemi di staccarmi da quel coro di cui sopra, esprimendo un parere di tutt’altro tenore.

         

Skyfall, secondo me, lascia la saga di James Bond a un punto morto o, per meglio dire, sull’orlo di un baratro dal quale ci si potrà salvare solo con un ulteriore totale stravolgimento che, di per sé, rappresenterebbe comunque un rischio, soprattutto a una distanza così relativamente breve rispetto alla rivoluzione già operata con Casino Royale. E proprio questo film, che all’epoca mi lasciò abbastanza perplesso, mi tocca rimpiangere osservando come il confusionario, maldestro, contradditorio Skyfall abbia azzerato tutto quanto di buono era stato abilmente messo in campo dall’ottimo mestierante Martin Campbell, già artefice della rinascita del personaggio nel 1995 con Goldeneye interpretato per la prima volta da Pierce Brosnan, dopo la fallimentare esperienza dei due film con Timothy Dalton.

Nel 2006, Casino Royale mi indispettì parecchio, per la presunzione con la quale fece piazza pulita di buona parte della precedente “mitologia Bondiana” (a partire dalla cancellazione della celeberrima sequenza iniziale con Bond che cammina al centro del mirino) e per come azzerò senza mezzi termini l’aspetto ironico che in maniera più o meno marcata aveva sempre fatto parte del personaggio, da Sean Connery in poi. Certo, era innegabile la maggiore credibilità che con la “era Daniel Craig” veniva data alle scene d’azione, finalmente edulcorate da quella sorta di distacco surreale, quella “intoccabilità” del character che ce lo restituiva sempre illeso ed impeccabilmente elegante dopo ogni sorta di acrobazia o azzuffata seppur nelle più infernali e ostili location possibili. Al punto che l’ottima sequenza di inseguimento nel cantiere, subito successiva ai titoli di coda di Casino Royale, è stata recentemente dichiarata, in occasione del cinquantennale della versione cinematografica del personaggio, come “miglior sequenza di sempre di un film di James Bond”. Una decisione affrettata, miope e irrispettosa nei confronti del passato. In perfetto stile con il disfattismo imperante ai nostri giorni.

Ma torniamo alla “umanizzazione” di Bond operata da Campbell, una operazione condotta in maniera scientifica e ragionata che non si limitava all’aspetto fisico, restituendoci uno zero zero sette in grado di fallire, di deprimersi, di smarrire il suo proverbiale aplomb (emblematica la scena dove, dopo aver perso una fortuna al tavolo da gioco, Bond-Craig manda praticamente a quel paese il cameriere che gli chiede se gradisce il suo Martini “agitato o mescolato”). Peccato che questo “accanimento” nei confronti del personaggio, allo scopo di operare la sua completa umanizzazione, renda la seconda parte del film una sorta di melò noioso e ripetitivo.

Ebbene, Skyfall azzera tutti gli sforzi fatti con Casino Royale, film imperfetto ma coraggioso, bissato da un interlocutorio e deludente Quantum of Solace che introduceva un altro elemento di rottura con la mitologia Bondiana, presentandosi come un vero e proprio sequel del film precedente e ottenendo, per questo, nulla più che un timido riscontro da parte di fan e critica.

           

Skyfall parte con una sequenza d’azione che aspira (a detta degli autori, del regista e degli interpreti del film) ad essere tra le migliori mai viste al cinema. A me, francamente, non è affatto sembrata tale. L’inseguimento con la moto sui tetti si era già visto ne Il domani non muore mai e in quella occasione, il lavoro degli stunt appare, oggettivamente, migliore. Di combattimenti a mani nude su un vagone del treno, poi, la storia del cinema d’azione è talmente piena che viene da chiedersi come mai Mendes abbia voluto sfruttare un’idea così banale. Infine, la presunta morte di Bond è tutt’altro che una novità (per chi conosce l’intero ciclo dei film).

A questo punto, la trama ci racconta di uno 007 che, sentendosi tradito dalla sua superiore M (una Judi Dench “inventata” proprio da Martin Campbell nel sopra citato Goldeneye della “era Brosnan”) si ritira in una specie di isola caraibica a sballarsi di alcol e sesso, fino al momento in cui, appreso casualmente di un grave attentato alla sede dell’MI6, si sente in dovere di “resuscitare” e offrire nuovamente i suoi servizi a Sua Maestà la Regina.

Non vi ricorda nulla tutto ciò? Bond scomparso e torturato per 14 mesi di fila ne La morte può attendere? Esplosione della sede dell’MI6 ne Il mondo non basta? Bond che supera per il rotto della cuffia i test attitudinali psicofisici di riammissione in servizio? Già visto (ma con più ironia) ne Il mondo non basta. Per non parlare dell’apocrifo Mai dire mai che segnò, nel 1983, il momentaneo ritorno di Sean Connery nel ruolo di James Bond.

E ancora, andando avanti: Il passato segreto di M-Dench, che torna a farle rischiare la vita nel presente? Già visto, sempre ne Il mondo non basta.

Una trama, quindi, tutt’altro che originale. Questo fino a che pesca nei precedenti film di James Bond. Quando, poi, per il finale, arriva a copiare addirittura Guardia del corpo con Kevin Costner (contradditemi se potete!) si sconfina nel ridicolo involontario. Tutto inframmezzato da strizzatine d’occhio al passato (come la rediviva Aston Martin di Goldfinger o la nuova incarnazione di un Q poco più che adolescente e - sigh! - mago dei computer).

Ma andiamo avanti con la saga dell’assurdo: Bond si inventa una maniera molto originale per difendere la sua capo/figura materna/figura edipica M-Dench e cosa ottiene? Che la poveretta ci rimane secca. Ciò nonostante, nel post-funerale cosa accade? Che ci ritroviamo con un Bond sorridente nel vecchio studio di M-Bernard Lee, con il nuovo M-Ralph Fiennes e una segretaria di colore di nome Monneypenny (che poi è la stessa agente che l’ha quasi accoppato durante l’azione iniziale) pronto a nuove avventure con un sorrisetto sulle labbra da far invidia a Roger Moore.

          

Ma, dico... possibile che solo io mi sia accorto di quanto sconclusionato e contradditorio sia questo film? A nessuno interessa più la saga nel suo complesso? Bisogna per forza consumare tutto subito, fregandosene del passato e del futuro, facendosi condizionare da roboanti apparenze (tra le quali la performance francamente imbarazzante di Javier Bardem)?

Questo film mi ricorda certe operazioni di “finanza creativa” dove si distrugge un patrimonio acquisito nel tempo per ottenere un modesto risultato immediato, senza pensare al futuro. È un film che cannibalizza tutto il possibile della mitologia Bondiana facendone scempio e mischiando passato e futuro in modo da confondere e disorientare, lasciando aperta la porta a un futuro che... semplicemente non c’è! Perché cosa dovrebbe accadere nel prossimo film di James Bond? Un Craig ripulito e ottimista pronto a rimettersi al servizio di Sua Maestà la Regina, a cavallo della sua Aston Martin? Prossimo, ormai, a compiere 50 anni? Be’, proprio il successo di Skyfall lascia intendere che non è questo che il pubblico va cercando...

Ed ecco, quindi, che già si fanno i nomi di altri attori fra i quali, udite udite, Idris Elba, l’interprete di colore della bella serie poliziesca Luther sulla BBC.

È questo che i tanti ammiratori di Skyfall vogliono dal futuro della saga di James Bond? Uno stravolgimento del personaggio ogni due-tre film, senza alcun legame col passato?

Francamente, a me sembra un enorme spreco. E per finire, a parte tutte le considerazioni di cui sopra... Anche volendosi distaccare dal discorso filologico e sentimentale, dall’analisi alla luce della “mitologia”... A me, Skyfall sembra un film che, soprattutto nella seconda parte, fatica a mantenere le promesse. Molte cadute di tono, sviluppi scontati della trama che sfociano nel déjà vu e nella noia... Insomma, senza mezzi termini: un film deludente. E ora, se volete, massacratemi pure...