- Perché ti sei venuta a rintanare proprio qui? - le chiesi. - Non ci passa mai nessuno.
- Infatti. È molto tranquillo.
- Mica tanto. Può crollare da un momento all’altro. Questo quartiere è tutto lesionato dopo l’ultimo terremoto.
- Non importa.
- Perché, andrai via presto?
Non rispose.
Ci fermammo davanti a un portoncino. Lei aprì ed entrammo. Da qualche parte venivano zaffate di muffa.
- C’è una cantina molto bella - disse Jeena. - Con l’ingresso nascosto, come un passaggio segreto.
Salii con lei nella vecchia casa e dal pianerottolo passammo in una sala spoglia, con il soffitto stuccato. Non vidi mobili, solo tante altre tele non incorniciate, tutte di nudi maschili. Posai una parte di quadri e tirai un sospiro un po’ affannato.
- Come fai a portarteli in giro per il mondo?
- Li metto nei bauli e li spedisco fermo posta.
- E i colori? - le chiesi posando il resto dei quadri che reggevo.
- Non ne ho bisogno - rispose, lasciando quelli che portava lei.
Tranne uno, con il quale mi colpì di taglio alla base del collo. La cornice era pesante e finii in quel posto buio e quieto da dove sono esclusi i pensieri. L’ultimo che ebbi fu che tutti quelli degli schizzi somigliavano tra di loro e a me.
Mi risvegliai nudo, con i piedi in un impasto di cemento già indurito, poggiato al muro umido e freddo della cantina. Jeena era accoccolata in un angolo, lontano da me, nuda anche lei. Il suo sorriso era cambiato. La miscela che ne usciva era insopportabile come l’odore della galleria durante la mostra. Un ringhio selvaggio serpeggiava tra le pareti sotterranee come se provenisse dalle fauci di una creatura feroce che avesse stabilito la sua tana sotto quelle volti a botte da epoche dimenticate. Per la prima volta mi venne in mente l’analogia tra il suo nome e “iena”.
- Gli uomini sono i soggetti migliori! - urlò lei, completando quella frase iniziata alla galleria. - Anche tu. Volevi prendermi e mi hai avuta. Adesso io avrò te, per sempre!
Si alzò e venne verso di me, brandendo qualcosa che somigliava a una matita ed era invece uno stilo da disegno con la punta acuminata. Provai a difendermi, ma scoprii che avevo le mani legate dietro la schiena.
- Che... che vuoi fare? - biascicai in italiano.
Anziché rispondermi, Jeena mi infilò lo stilo tra le carni del torace e diede uno strappo. Urlai come non credevo sarei mai stato capace di fare. Con il solo risultato di portare alle convulsioni la sua risata sadica. La trasformazione del cerbiatto in iena era completa e senza possibilità di ritorno.
- Il mio stile è lo stilo - spiegò, agitandomi sotto gli occhi la puntina insanguinata. Il gioco di parole era perfino più crudele in inglese.
Quindi andò in un altro angolo e raccolse una tela bianca, cominciando a tracciare il mio ritratto col mio stesso sangue. Schizzi, li aveva definiti, quel giorno alla galleria. E in inglese la parola era sketches, che mi aveva messo del tutto fuori strada.
Se avesse parlato in italiano, una parte di me ancora lucida avrebbe... Cosa? Intuito? Dubitato? Capito? No. Certe verità si rifiutano finché non imprigionano come un blocco di cemento ai piedi.
Lei, comunque, aveva il vantaggio dell’inglese. Invece in italiano tutto tornava e combaciava in un unico termine.
- Sangue - balbettai.
- Sì. E assume un’ottima tonalità bruna da acquerello. Ognuno di loro l’ho avuto in un posto diverso.
Vittime. E quelle striature sui loro corpi, i segni dello stilo. L’America che mi attraeva? Non abbastanza lontana.
Jeena smise di lavorare col mio sangue. Di ridurmi a quello che in fondo siamo sotto la pelle e il modo di presentarci agli altri.
Era sfinita, dopo essersi dimenata con movimenti da orgasmo. Si alzò e la vidi umida.
- Un po’ per volta - mugugnò. - Non ti voglio sprecare tutto subito. - E uscì dalla cantina.
Riuscii a liberarmi le mani, ma ero lontano da qualsiasi oggetto per liberarmi i piedi.
- Tutto a posto - mi rassicurò il commissario entrando nella cantina.
- Sapevi di quella stronza fin dall’inizio! - gridai con quanto fiato mi restava in gola.
Dietro di lui venne un gruppo di agenti, tra cui una donna, e dovetti sorbirmi anche la mia vergogna.
Infine ci furono le risposte.
Sì, il commissario sapeva.
- Una come Jeena, finisce per lasciare tracce indelebili - disse. - Lo sai come si chiamano?
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