La aiutai a infilare tutte le leccornie in buste di plastica e a gettarle fuori in un cassonetto dell’immondizia.

Con la mia utilitaria ci spingemmo fino a un agriturismo in collina.

- Quanto tempo?

- Cosa?

- Ti fermi?

- Chissà.

Al momento del ritorno, le chiesi in che albergo stava. Ce n’erano pochi e sporchi: mi vergognavo per questo posto che da una vita mi sta comunque bene addosso. Lei rispose che aveva affittato una vecchia casa in un vicolo del centro storico, dove non si poteva arrivare con l’auto.

- Nemmeno con la mia scatoletta? - insistetti.

- No. Ferma qui, grazie. Buonanotte. - Scese.

- Ci vediamo?

- Se vuoi.

Non è che eravamo arrivati al tu. In inglese non c’è differenza fra “tu” e “lei”, si sa. Sta tutto nelle intenzioni, mi diceva un professore.

Soltanto la mattina dopo, appena sveglio, pensai che non avevo degnato di un’occhiata i quadri di Jeena. Enormità di un errore. Lei doveva essersene accorta, e mi ero giocato tutto ancora prima di cominciare. Poi ragionai: mi aveva invitato a cena, aveva chiacchierato cordialmente con me per tutta la serata. Dunque, non poteva essersela presa. Semplicemente, aveva capito che lei mi interessava più dei suoi quadri. E c’era stata. Almeno fino a una cena in collina.

Comunque, dovevo rimediare. Anziché fare il solito giro, andai dritto alla galleria.

Fu allora che vidi per la prima volta i quadri di Jeena. Erano tutti nudi maschili ad acquerello, di un unico tratto bruno. Giusto. Perché sempre e solo nudi femminili?

Però quell’odore marcio e dolciastro che impregnava la galleria mi faceva guardare i quadri con un vago ribrezzo. Il loro realismo era eccessivo, e mi accorsi che dopotutto non apprezzavo tutta quella concentrazione dipinta di carne del mio stesso sesso.

- Ti piacciono? - Nella sua voce non c’era traccia di rancore nei miei confronti per non averli guardati la sera prima.

Così mi sentii incoraggiato alla sincerità: - Più che altro, non ne verrà fuori il solito articolo. - E le raccontai la storiella del “grande successo di pubblico all’inaugurazione della mostra di...”

Jeena ci si divertì tantissimo e io sperai dimenticasse che non avevo espresso alcun giudizio sulla sua pittura. Ma senza smettere di sorridere mi fissò dritto negli occhi: - E che scriverai dei miei quadri?

Ci pensai un po’, e alla fine confessai: - Niente.

- Sono così brutti?

- No. È che i tuoi quadri...

- In realtà sono schizzi...

- ...I tuoi schizzi sono diversi da tutte le porcherie che espongono i pittori del posto. Ecco, semmai dirò questo: è arrivata un’artista americana, che fa fare a tutti la figura di quelli che sono davvero, degli imbrattatele. Loro leggeranno il mio articolo e me li ritroverò contro. Alle prossime mostre non farò più scorpacciate di pasticcini e non m’importa affatto, perché vorrei fare solo una scorpacciata di te.

Ecco che significa lasciarsi trasportare dalla sincerità.

Il sorriso di Jeena diventò differente. Non capii se avesse gradito la mia ammissione o mi stesse canzonando per smorzarmi i bollori. Il fatto è che non reggevo troppo a lungo il suo sguardo, perciò dovevo contentarmi di quello che capivo nei primi secondi prima di distogliere gli occhi.

- Perché no? - le sentii dire, mentre fingevo di guardare un faretto.

Andò a finire che quella mattina non feci il solito giro. Per giunta, il pranzo si prolungò fino alle tre, perché tornai con Jeena in quell’agriturismo. Alle cinque avevo scritto solo un pezzo sulla sua mostra e rileggendolo scoprii che non parlava degli schizzi, ma solo di lei. Ed era illeggibile come una pagina da romanzetto rosa. Quando su un foglio di carta piombano i sentimenti personali, il risultato è un’accozzaglia di banalità.

Per fortuna il direttore arrivò tutto nero e mi comunicò: - Niente cronaca, oggi. Al Comune si parla di dimissioni del sindaco.

- Ma come, con tutte le notizie che ho rimediato - protestai con una faccia da schiaffi.

- Domani. Adesso fammi due o tre pezzi contro le magagne della maggioranza. Io preparo quelli contro l’opposizione. Il nostro è un quotidiano imparziale.