Reality (Gran Premio della Giuria al 65. Festival di Cannes) di Matteo Garrone, è un film magistrale! Cielo-terra all’inizio, terra-cielo alla fine.
Un piano sequenza, il primo, tra i più belli visti ultimamente; un veloce movimento in salita a prendere congedo dalla storia, il secondo. Due traiettorie antitetiche ad aprire e chiudere una storia ma soprattutto una riflessione “alta” su dove siamo giunti, volenti o nolenti, con la pancia piena, le ossa rotte, l’anima fottuta (e chi più ne ha più ne metta).
Siamo giunti (da un bel pezzo, se è lecito…) ai matrimoni seriali, al kitsch diffuso, alle solitudini profonde e disperate spacciate per assolute beatitudini, ai sogni di successo mai così effimeri e mai sembrati così a portata di mano.
Questa è la materia di cui è tratto Reality, il sogno di entrare nella casa più celebre del più celebre dei reality (il GF, proprio lui, ma tant’è, ogni epoca ha le celebrità che si merita…) solo che il sogno rimane ostinatamente tale mentre a farne le spese è tale Luciano (Aniello Arena), in arte pescivendolo, autoconvintosi di meritarsi un posto proprio lì, nella celebre casa, simile tra i simili ma con qualcosa in più.
Sul piano inclinato della chiamata che stenta ad arrivare inizia a scivolare la salute mentale del poveretto che volge ben presto vero la paranoia acuta che satura di sospetto ed allucinazioni la perenne attesa della chiamata agli altari del successo.
Garrone non giudica (troppo semplice e in fin dei conti inutile…). Piuttosto segue con dedizione assoluta il personaggio di Luciano giungendo spesso (molto spesso…) a sfocare il secondo piano perché sia chiaro chi è il fulcro di ogni cosa senza che ciò impedisca l’emergere di un ritratto, quello a metà tra il reale e il grottesco di usi e costumi entrambi degradati, di una larga fetta di paese dove al contrario di quanto accadeva in The Truman Show (dove scoperte le regole del gioco non si vedeva l’ora di fuggirne…), pur conoscendo le regole ancor prima di iniziare a giocare, si vorrebbe giocarle a tutti i costi.
Sul finale (in tutti i sensi giacché Garrone usa girare in sequenza e quindi il finale del film coincide con quello delle riprese…), nulla va anticipato salvo la risatina isterica che accompagna l’apparente coronamento autarchico della snervante attesa, un grande risultato per il povero (a questo punto…) Luciano…
Grande, certo, ma solo se vista da quaggiù, piccola piccola vista da lassù…
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