Torna Sean Connery. Ingrassato, con il parrucchino decisamente poco convinto. Eppure perché Una cascata di diamanti viene ricordato come uno dei grandi successi della serie? Il titolo azzeccato sicuramente. La canzone di Shirley Bassey di certo. Be’, il tonfo dell’episodio precedente favoriva un ritorno alle origini. Ma sicuramente la sceneggiatura di Richard Maibaum e Tom Mankiewicz messa in scena da Guy Hamilton ha giocato favorevolmente.

Il tema della vendetta di Bond contro l’odiato Blofeld che gli aveva ucciso la moglie era forte. Poteva, però, condurre a qualche problema. Magari ci si poteva immaginare un’estenuante mezz’ora d’inizio con un Bond inconsolabile, addirittura ubriacone che lotta per tornare se stesso. Niente di tutto questo.

            

Il pubblico voleva azione ed emozione, da subito, questo era chiaro. E in effetti la sequenza d’inizio con quella caccia che dal Giappone porta al Cairo sino a una spiaggia con una polposa figliola che si offre a un determinatissimo Bond è un capolavoro. 007 non si piange addosso. Reagisce e colpisce. Sino a eliminare Blofeld mentre sta creandosi dei sosia... tutto finito? No, come lo spettatore sospetta. Ma in seguito la vicenda si sviluppa con un dinamismo, una capacità di collegare il briefing sui diamanti e le operazioni di eliminazione della rete dei contrabbandieri davvero unica.

Emergono i killer gay Wint e Kidd, raggelanti nella loco capacità di uccidere e scherzare senza mai oltrepassare la sottile linea che divide il truce dal ridicolo. Poi entra in scena Jill St. Jones, una delle mie Bond Girl preferite, nel fisico e nel personaggio. Domina la scena incontrastata, unica rivale la popputa Plenty O’Toole [Lana Wood] che finisce prima in una piscina dopo un tuffo di dieci piani e poi con le scarpe di cemento al termine di una sequenza - forse inutilmente tagliata - in cui si capiva meglio il suo ruolo contrapposto a quello della St. Jones.

Jill St. Jones
Jill St. Jones
Personalmente non mi sono piaciute molto le sequenze nella base aeronautica ma è un problema mio. Si sa, le ambientazioni americane non mi esaltano. Ma la trama scivola via perfetta ad Amsterdam, a Las Vegas e anche i mafiosi da operetta ci stanno, perché alla fine è Blofeld a tenere campo. Charles Gray ha un volto nuovo per il super criminale, molti sosia e tanti gatti. Le sue intenzioni restano, però, sempre le stesse. Ricattare il mondo, questa volta con il super laser orbitante alimentato a diamanti, spunto che tornerà molti anni dopo ne La morte può attendere. Ma questo Bond marcia diritto con le lottatrici di catch, i tavoli da gioco e persino una strizzata d’occhio a Howard Hughes.

Sì certo, alcuni effetti di esplosioni (gli attacchi alle basi cinesi e russe) oggi risultano ridicoli e anche la battaglia finale sulla piattaforma petrolifera - che pure è un bel set - risulta un po’... come dire, realizzata al risparmio rispetto alla grandiosa battaglia nella caldera di Si vive solo due volte. Ciò che conta è aver rinsaldato con il pubblico quel legame che sembrava spezzato.

            

È anche ovvio che Una cascata di diamanti arriva al termine di un decennio in cui l’azione e l’avventura erano filmate in modo differente. Occorre un occhio nuovo per catturare i giovani spettatori. In questo senso Una cascata... resta ancorato al decennio precedente malgrado ogni tentativo di riferirsi alla grandezza di Hollywood.

Lo stesso Connery rappresenta un modello di eroe ormai maturo, di certo affascinante per certe signore ma poco appetibile per le ragazzine e non certo un modello per i ragazzi che ormai cercano nuovi eroi che il cinema di exploitation americano sta cucinando a decine.

Chiude quindi l’era Connery (Mai dire mai non è un brutto film ma è un remake e ha un tono completamente diverso) e lo si nota nelle scenografie sempre belle e in linea con il gusto degli anni ’60, ma che necessitano, come tutta la serie, di una spolverata.