E se non fosse Isaak Kohler il vero assassino? L'ipotesi sembra inverosimile. Decine di testimoni hanno visto il consigliere cantonale uccidere a revolverate un illustre professore universitario in un famoso ristorante di Zurigo. Ma Kohler convoca in carcere il giovane avvocato Spät e gli chiede di riesaminare il caso, partendo proprio dall'ipotesi che l'omicida sia qualcun altro. All'avvocato non sembra vero di poter iniziare una nuova vita con il ricco compenso offertogli dal condannato: non sa - ma lo scoprirà ben presto - che quella che gli è stata affidata non è una semplice indagine accademica, o un esercizio mentale commissionato da un individuo bizzarro che non sa come passare il tempo, ma una violenta sfida alla giustizia umana, capace di scardinare molti equilibri e di trascinare tutte le persone che vi saranno coinvolte in un gorgo denso e scuro come la pece.
Giustizia è una storia amara, amarissima, scritta da Friedrich Dürrenmatt a metà degli anni '80. Pur distante temporalmente dai suoi romanzi più noti di impianto noir (come il mai abbastanza lodato La promessa, che è del '58), ne mantiene il lucido disincanto, anzi, una vera e propria disillusione cosmica sulle cose della vita. Rispetto alle opere dei decenni precedenti è anche molto meno lineare nello sviluppo della vicenda, che qui è decisamente frammentata, come se fosse sempre più difficile mettere assieme i pezzi e farli quadrare in un impianto giallistico in cui alla fine il puzzle si risolva pienamente. Pure, il giallo propriamente detto c'è, ed è anche di squisita fattura, ma potrà essere risolto solo dopo numerosi cambi di prospettiva.
Nella narrazione si distinguono chiaramente tre parti: nella prima vengono introdotti il protagonista e lo spunto iniziale, nella seconda assistiamo alla lenta discesa dell'avvocato Spät nell'abisso del delirio e dell'alcool (e allora anche i suoi resoconti delle indagini, scritti in prima persona sotto l'effetto di sostanze, diventeranno sempre più allucinati e scomposti), nella terza Dürrenmatt mette in gioco se stesso e il classico espediente narrativo del "manoscritto ritrovato", in questo caso le confessioni dell'agente di polizia che seguiva il caso, per condurre il lettore a un fugace barlume di verità davvero in extremis. Le tre parti sono distanziate da alcuni anni, sia nella cronologia interna ala storia sia nella loro stesura da parte dell'autore, e svelano progressivamente una Svizzera non semplicemente corrotta, ma perdutamente tragica. E forse è proprio nella tragedia, quella di stampo greco, che va ricercato il genere di appartenenza più indicato cui ascrivere questo romanzo, con la non banale differenze che i personaggi di Giustizia non sono guidati dagli dèi o dal destino, ma dalle cieche leggi di un nichilismo radicale. Alla fine le vittime saranno molte, e tra queste quella più illustre sarà la giustizia stessa. Terrena o divina, poco importa: nella Svizzera di Dürrenmatt non c'è posto per la consolazione, solo per l'inquietudine.
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