1962-2012 Cinquanta anni di 007. Da buon “collega” Il Professionista non può non seguire a suo modo l’avvenimento. Lo so, ci sono esperti più qualificati di me per parlare di Ian Fleming e James Bond. Questa vuole essere solo una carrellata personale attraverso i film che hanno creato il mito, in attesa che esca Skyfall [a novembre in Italia]. Uno sguardo personale e molto affettuoso per un personaggio che più di ogni altro ha segnato il mio immaginario creativo e al quale Chance Renard deve moltissimo anche se, logicamente, ha preso la sua strada e in diciassette anni di vita ha assunto caratteristiche differenti.
Licenza di uccidere (questo il titolo italiano ma l’originale era Dr. No come nel romanzo originale) non fu il primo Bond che vidi. Come avrei potuto? Avevo un anno e, per quanto precoce... Scoprii il magnifico universo di 007 solo dieci anni dopo, quando la Bondmania aveva già raggiunto il suo apice ma ancora teneva.
All’inizio degli anni ’70 Segretissimo era ancora una delle riviste più vendute in edicola, ogni estate quando la produzione rallentava i cinema proponevano immancabili rassegne di vecchi film di 007 e dopo il breve ritorno di Sean Connery era iniziata l’era Moore che all’epoca per me fu carissima anche se, obiettivamente, negli anni ho ridimensionato l’entusiasmo. Sulla scia di quei primi film scoprii anche i romanzi originali.
Il primo che lessi fu Vivi e lascia morire perché si trovava con maggiore facilità grazie al lancio del film omonimo ma, pescando nelle librerie che avevano una sezione in lingua originale, recuperai proprio Dr. No. Fu il primo libro che lessi compiutamente in inglese.
Torniamo però a Licenza di uccidere che, visto per la prima volta durante una di quelle rassegne estive, mi colpì meno di altri che furono realizzati in seguito con budget superiori. Rivedendolo negli anni e in occasione di questa rassegna lo rivaluto in pieno, soprattutto nella versione Blu-ray che fa giustizia soprattutto dei passaggi televisivi e in VHS che avevano formati sbagliati e una definizione quantomeno discutibile.
La storia credo la conosciamo tutti. Entra in scena Bond con il viso duro di Sean Connery addestrato a muoversi e vestirsi con eleganza dal regista Terence Young che, nelle foto e nei filmati d’epoca, “era” 007. Invece di riassumervi la trama di un film che sicuramente avrete già visto e magari rivedrete in una delle immancabili repliche in occasione del cinquantennale, preferisco parlare di alcuni aspetti che già dal principio segnarono il successo della serie.
Prima di tutto occorre dire che Fleming scriveva dal ’52 e la narrativa di spionaggio cosiddetto “avventuroso” ossia basato su una forte figura di agente, sciupafemmine e combattente invincibile, risaliva al primo dopoguerra se non a momenti precedenti. L’agente con “licenza di uccidere” alla fine è figlio dell’occhio privato hard-boiled, vicinissimo a Mike Hammer e a Lemmy Caution e sicuramente il fatto che OSS117 fosse nelle prime storie un detective e poi un agente segreto significa qualcosa.
Il genere cinematografico aveva quindi le sue radici ben affondate nel terreno della narrativa d’evasione. Di Casinò Royale, il primo romanzo della serie, era stata realizzata dalla TV americana una versione di cinquanta minuti circa. Non male considerato che c’era Peter Lorre nel ruolo di le Chiffre e la storia era piuttosto fedele al romanzo. Mancava però l’idea della serie che è invece forte e chiara nel primo film. Sebbene il cast dei comprimari non sia ancora completo (per esempio il maggiore Boothroyd ossia Q è qui un interprete senza particolare rilievo, benché la gag dello scambio di pistola e conflitti tra l’eroe e la sezione tecnica siano suggeriti)
«Bond, James Bond» è, sin dall’entrata in scena, un personaggio che dice a chiare lettere «ricordatevi di me... tornerò». Si vede dalla cura con cui è presentato nell’aspetto esteriore, negli accessori, nelle allusioni ai rapporti con Moneypenny. In realtà essendo nota la serie di romanzi si poteva ipotizzare che ci sarebbero stati altri film. Forse nessuno immaginava la fortuna che avrebbero avuto ma di certo Broccoli e Saltzman erano convinti di aver messo a segno un buon colpo.
Connery è Bond. Su questo non si discute. Personalmente ritengo solo Pierce Brosnan vagamente all’altezza del modello originale. Gli altri sono, nel migliore dei casi, variazioni sul tema più o meno riuscite. Moore era una cover dei suoi personaggi televisivi e Craig è perfetto per la nostra epoca ma... semplicemente non è Bond. Chi vedrei oggi? Be’, sicuramente Michael Fassbender. Andate un po’ a vedervelo in una celebre sequenza di Knockout di Steven Soderbergh oppure in una scena di abbordaggio subacqueo di X-Men l’inizio.
Il resto del film comunque, azzecca il ritmo, la percentuale di esotismo, di erotismo e di violenza. Vediamo una delle prime scazzottate alla Bond, che sono un misto di spettacolarità ed efficacia con quella giravolta inventata dallo stuntman Bob Simmons (che è anche l’uomo nella canna della pistola dei titoli di testa...) che dava l’idea delle arti marziali, armi segrete di ogni agente, senza averci nulla a che fare. E poi la sequenza in cui Bond uccide freddamente il professor Dent, criticata ed edulcorata nei successivi film ma efficacissima nella caratterizzazione del personaggio nella mente degli spettatori.
La Giamaica irrompe con paesaggi, musiche e colori al ritmo del calypso e del tema Jump Up della band di Byron Lee, all’epoca famosa. Le donne, da Sylvia alla fotografa cinese sino a miss Taro (assente nel romanzo) a Honey, sono semplicemente fantastiche. Molti ricordano la scena della Ursula Andress che esce dalla laguna, e giustamente. Ma io rammento quella in cui si volta di scatto udendo Bond dietro di sé, vestita solo di attillatissimi pantaloni fruscia e di una camicetta cinese che “pudicamente” si stringe al petto. Esistono foto di scena scattate da John Derek e dalla fotografa ufficiale del film (che già aveva immortalato Betty Page) che con un semplice ma perfetto bianco e nero proiettano la Andress nella leggenda. Tanto che lo stesso Fleming ne restò abbagliato e la citò in un passaggio del suo successivo romanzo, Servizio segreto.
Il Dottor No, interpretato da Jospeh Wiseman, è l’epitome dei nemici di Bond. A metà tra Fu Manchu e Fantômas è apolitico. Viene presentato come agente della SPECTRE che i lettori già conoscevano e che non viene particolarmente spiegata. È un’entità malvagia che è lì e sicuramente tornerà. Soprattutto è utile per togliere ogni carica politica alla serie.
Certo 007 resterà il simbolo dell’agente segreto inglese attirandosi quindi l’antipatia del mondo comunista e, ovviamente, dei suoi sostenitori in Occidente, ma non v’è traccia di ideologia nella storia. Bond potrebbe essere un qualsiasi poliziotto, mandato a investigare sui crimini del diabolico dottore cinese. Jack Lord rinforza la parte di capitale americano che voleva soddisfazione per le sue platee. Era il protagonista di Hawaii squadra 5-0, show popolare all’epoca e non lontanissimo da certi esotismi presenti nel film.
Insomma tutto al servizio di una idea fortissima che viene ribadita a ogni passaggio, a ogni refrain musicale a ogni scambio di battute. Il pubblico voleva un Eroe. Duro, affascinante, l’uomo che gli uomini avrebbero voluto essere e che le donne (anche le più dichiaratamente ritrose) desideravano.
Di certo per Connery fu così. Ma era solo la prima missione.
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