Già altre volte su ThrillerMagazine si è sottolineata la triste e antipatica decisione della statunitense ABC di trasformare un telefilm squisitamente letterario in un prodotto amorfo che addirittura nega i princìpi su cui è nato. Sembra ci si voglia scagliare contro una serie televisiva - Castle. Detective tra le righe - che alla recente chiusura della quarta stagione risulta ancora seguita ed apprezzata: al di là della profonda delusione di vedere uno dei rarissimi prodotti che sapevano fondere mondo letterario e universo televisivo trasformato in un qualcosa di banale (se non addirittura pacchiano), è innegabile che la decisione della ABC funziona. È però doveroso tornare qui a far notare che Castle è un telefilm che tradisce se stesso.
Se qualcuno ancora non lo sapesse, Richard Castle è uno scrittore immaginario (interpretato in TV e nel web dall’attore Nathan Fillon) che, alla sua prima stagione, è piaciuto talmente tanto... da diventare anche un autore reale! Curiosamente, però, nessuno dei due Castle scrive libri: quello reale per il semplice motivo che non esiste un autore con quel nome e quindi ci si è affidati a dei ghostwriter, quello immaginario per l’altrettanto semplice motivo che... la serie ha cambiato format!
In origine Castle era un telefilm che raccontava le vicende di un ricco ed annoiato scrittore di successo che affiancava una grintosa detective perché voleva trarre ispirazione per un nuovo personaggio letterario, Nikki Heat. Dopo una prima stagione sfolgorante e una seconda claudicante, l’emittente prese una decisione curiosa: basta parlare di libri, basta parlare di letteratura.
A parte qualche riferimento sparso nella seconda stagione, Castle da ricco viveur diventa buffonesco tirapiedi della detective senza più una ragione di vita: non scrive mai e i suoi libri appaiono per immacolata concezione, visto che lui non fa nulla se non giocare come un bambinone un po’ scemo. Come se non bastasse, è iniziata la solita love story superficiale e noiosa - caduta di stile che in effetti la maggioranza dei telefilm vive in un momento ristagnante della propria vita - che (forse) non avrà mai fine.
Perché il rifiuto totale di parlare di libri in un telefilm con protagonista uno scrittore? Perché far scrivere libri come gadget della serie e poi non parlarne mai, preferendo ridicole sceneggiate buffonesche? La calda accoglienza del pubblico è la risposta: macché scrittori, noi in TV vogliamo vedere scemi che fanno i buffoni.
Da poco si è conclusa la quarta (e purtroppo non ultima) stagione del telefilm: per dovere di cronaca, avendo seguito la serie sin dall’inizio, dobbiamo dare conto degli pseudobiblia che per puro errore sono presenti nell’annata.
Per motivi noiosi e figli dell’aridità creativa che non vale la pena raccontare, la nuova stagione vede l’arrivo di un nuovo capo della polizia, personaggio che supera in inutilità quello precedente. La sua unica particolarità è che appena si insedia fa notare come «nel suo distretto non c’è posto per uno scrittore dilettante che gioca a fare il poliziotto». Ottima annotazione, ma poi Castle chiama il suo amicone, sindaco di New York (quale scrittore di successo non conosce il sindaco di una grande città?) e tutto torna come prima.
L’ultimo rimasuglio di cui noi bibliofili dovevamo accontentarci era la creazione di nuovo libro ad ogni stagione: anche questo ci viene negato. In un periodo ipotetico dell’immaginazione Castle ha scritto un nuovo libro, Heat Rises, e nella prima puntata lo troviamo... ad autografare le copertine! Ma una volta gli scrittori non autografavano l’interno dei libri? Forse non avevano i soldi per stampare una falsa prima pagina bianca...
Abbiamo notizie sparse sul passato dell’autore. La casa editrice Black Pawn (“pedone nero”: una citazione della Dark Horse?) gli ha pubblicato il primo romanzo, Pioggia di proiettili (In a Hail of Bullets); quando scriveva La caduta di Storm (Storm Rising) ha imparato ad aprire i lucchetti; in totale, afferma nel 13° episodio, ha scritto 27 romanzi, ma nel 17° esce fuori che nella sua stanza di casa ha scritto 20 bestseller... O gli sceneggiatori non ricordavano il numero, o sette romanzi di Castle non sono stati bestseller.
Nella doppia puntata Pandora (episodi 15-16) all’improvviso abbiamo un guizzo narrativo: finalmente gli sceneggiatori si svegliano dal torpore e si ricordano che il protagonista della serie è uno scrittore. All’interno di un incredibilmente banale episodio spunta fuori un nuovo personaggio: Sophia Turner, interpretata dalla sempre affascinante Jennifer Beals. L’attrice di Chicago negli ultimi anni si è specializzata in ottimi personaggi polizieschi su e più per serie televisive: dopo il successo dell’agente FBI ex moglie del protagonista di Lie to Me e l’ottimo ruolo da protagonista-poliziotta in The Chicago Code, la Beals passa ai panni “segreti” dell’agente della CIA in Castle... ma con qualcosa in più.
«Conobbi Rick quando faceva ricerche per il suo primo romanzo della serie Derrick Storm - racconta Sophia, riferendosi ad avvenimenti di dodici anni addietro. - Voleva seguire da molto vicino la vita quotidiana di un’agente donna della CIA, ed io approvai».
Gli stessi sceneggiatori all’improvviso si ricordano di un elemento che da ben tre stagioni viene totalmente dimenticato: la detective Beckett è una grande fan di Castle e ha letto tutti i suoi libri. «Quindi lei sarebbe Clara Strike, il personaggio della saga di Derrick Storm?» è il commento più della lettrice che della detective.
«Non posso dire di essere Clara Strike - risponde Sophia, - ma mi piace pensare che Rick si sia ispirato a me, almeno in parte».
«Lo trovo... interessante» è l’imbarazzato commento di Beckett.
Come se già non fosse banalissima la storia del doppio episodio, si aggiunge l’adolescenziale gelosia di Beckett per un uomo a cui non sembra interessata da ben quattro stagioni. Quando poi esce fuori che la storia di Castle con Sophia è durata un anno ed è finita in modo burrascoso, la patina da telenovela per bambini offusca ogni aspetto del telefilm.
Nella evidente impossibilità di far scrivere qualcosa a Castle, che è uno scrittore affermato, verso la fine della stagione gli sceneggiatori fanno scrivere un testo teatrale a sua madre, Martha Rodgers (interpretata da Susan Sullivan), che non è una scrittrice.
Quello che all’inizio nasce come una biografia, data l’incredibile quantità di fionzini finisce per diventare un pièce teatrale: Come fare tutto senza neanche provarci (How to do it all... without even trying).
«Questa commedia è molto importante per la nonna - è il commento della sempre più sdolcinata e zuccherosa figlia di Castle. - Mi ha fatto capire molte più cose su di lei... e anche su di te».
Abbiamo anche un estratto dalla commedia. «Richard ha sempre avuto una macabra immaginazione: era destinato a diventare un serial killer o uno scrittore di gialli»: non certo lusinghiero per il povero Rick!
L’arzilla mamma di Castle lavora di fantasia raccontando di come aver lanciato la carriera del figlio andando a letto con il suo primo editore: tutta finzione? Quasi... «È solo una trovata per renderlo più osé: in realtà sono andata a letto con lui dopo che aveva pubblicato il tuo libro!»
In una delirante orgia di idee nate morte - come quella del fumetto di Derrick Storm, realmente pubblicato e più volte pubblicizzato nella serie, sia nella terza che in questa quarta stagione - la produzione butta nel calderone anche il detective Ethan Slaughter, rude quanto asinino luogo comune pacchiano, interpretato dal comunque bravo Adam Baldwin (nessuna parentela con i fratelli Baldwin). Provare a riesumare Derrick Storm - personaggio “morto” nella prima puntata della serie! - non è servito, Nikki Heat ormai è un disco rotto, quindi è il caso di provare a presentare un probabile futuro nuovo personaggio.
L’unica cosa certa è che del nuovo Frozen Heat non viene che citato per sbaglio il titolo, e la serie si chiude senza che Castle ne abbia scritto una parola.
Il telefilm mostra come un’idea buona si perda nel tentativo di sfruttarla oltre i limiti della decenza.
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