Chi segue questa rubrica ha capito che quando una scrittrice è in cerca di ispirazione c’è solo una cosa che può fare: andarsene in una casa isolata, dove vivrà esperienze spaventose. A differenza dei molti esempi illustrati in precedenti numeri di questa rubrica (come per esempio qui rubriche/10838/ e qui rubriche/11734/) la protagonista di cui parliamo non incontra fantasmi, bensì persone in carne e ossa che le faranno ogni tipo di violenza: il tutto non finirà in un libro, come negli altri casi, ma in ulteriore violenza.
Stiamo parlando del film Non violentate Jennifer (1978), titolo italiano che cerca di mitigare l’originale più potente: I Spit on Your Grave, io sputo sulla tua tomba. (Già comunque all’epoca negli USA girava il titolo alternativo di Day of the Woman.) Scritto e diretto dall’esordiente Meir Zarchi (che in campo cinematografico in seguito non ha fatto molto altro), la storia si riallaccia al filone “violenza vera e sporca” inaugurato da L’ultima casa a sinistra (1972) di Wes Craven.
Jennifer Hills, per tutti Jenny, è una ragazza di New York che scrive racconti sotto pseudonimo per riviste femminili. Decide di fare il salto di qualità e scrivere un romanzo, ma è risaputo che per farlo ci si debba per forza allontanare dalla rumorosa città: quale posto migliore per scrivere se non una catapecchia sperduta in un bosco?
«Non sono proprio sola - specifica lei al giovane fattorino che le ha consegnato le provviste nello chalet, che infatti è stupito della scelta di solitudine della ragazza newyorkese, - sto con Mary Selby». E chi sarebbe questa Mary? «È qui, vive qui - dice Jenny indicandosi la tempia, - è il nome che avrà la protagonista del mio romanzo, quello che butterò giù proprio in questa casa».
La ragazza è dunque decisa a scrivere in solitudine, nei boschi, questo suo primo romanzo: eccone l’incipit. «Capitolo primo. Pagina uno. Finalmente, dopo settimane trascorse nel dubbio, in profonda meditazione, decise di prendersi una vacanza, lontana dagli affanni quotidiani. Intendeva impostare la sua vita per il futuro, dimenticare la grande città, il lavoro, gli amici, per crearsi uno scopo, un’etica. E furono giorni inquieti, notti insonni...»
«Ma doveva venire qualcuno destinato a fare l’amore con lei»: questa ulteriore frase, al contrario delle precedenti, la veniamo a sapere perché uno dei suoi violentatori la legge sul manoscritto trovato sulla scrivania. Sì, perché Jennifer viene aggredita da dei tipacci locali, ed essendo in uno chalet dimenticato dal mondo, è in loro completa balia.
Con grande stoicismo l’attrice Camille Keaton (nipote del celebre Buster Keaton) si concede completamente e senza alcun velo alla cinepresa del regista, più interessato a mostrare con dovizia di particolari le violenze - fisiche e morali - che i teppisti infliggono alla protagonista, prima che questa si vendichi spietatamente, piuttosto che a informarci se poi alla fine Jennifer l’ha scritto o meno il romanzo: ogni aspetto letterario del film finisce qui.
Visto che a quanto pare ogni film merita di conoscere un remake, e visto che nel 2009 è stato portato al cinema una nuova (e inutile) versione de L’ultima casa a sinistra (di cui si è discusso qui: rubriche/9157/), è quasi obbligatorio rifare Non violentate Jennifer. Ecco che così nel 2010 abbiamo I Spit on Your Grave, in cui Steven R. Monroe (specializzato in piccoli film, spesso televisivi) si cimenta nel dare veste moderna alla storia.
Jennifer Hills (interpretata dalla giovane attrice televisiva Sarah Butler) stavolta è già una romanziera, e nel villino di campagna isolato, a Mockingbird Trail, non vuole iniziare il suo primo libro, ma semplicemente un nuovo romanzo.
Arrivata con difficoltà a destinazione, come prima cosa Jennifer prepara sulla scrivania i suoi “ferri del mestiere”: carta e penna. Curiosamente, però, nella sequenza immediatamente successiva la vediamo battere sulla tastiera di un notebook! («... inches between myself and...») Che la carta e la penna siano semplicemente un omaggio al film originale, dove erano realmente usate dalla protagonista?
Il lavoro procede spedito, accompagnato dall’immancabile bicchierone di vino bianco, fedele compagno di ogni donna americana di cinema e TV.
La totale solitudine in un ambiente sconosciuto pare affascinare la donna, tanto da confessare ad un amica al telefono: «Sarei dovuta venire qui già per il mio primo libro».
Quello che segue è un susseguirsi di trovate assurde che rendono il film decisamente comico, rispetto all’originale. I cattivi che, per far vedere quanto sono cattivi, prendono a bastonate un pesce; la protagonista che mette fuori uso il cellulare lasciandolo cadere nel water; tranquille passeggiate in case abbandonate nel bosco, come se non si fosse mai visto un film horror... Tutto contribuisce a rendere questo film un classico sottoprodotto di infima qualità.
«Nessuno vuole una telefonata alle 2 del mattino. Quando hai 15 anni, è uno scherzo telefonico. Quando ne hai 21, è la chiamata di un amico ubriaco. Ma dopo i 25 di solito sono delle notizie veramente cattive. Ecco come ho scoperto che mio padre è morto»: ecco l’unico brano che si conosce del libro che sta scrivendo la protagonista: fra questo e il brano del film originale, possiamo dire che il mondo letterario non ha proprio bisogno di una Jennifer Hills...
Stuart Morse, alla sua prima (e unica!) sceneggiatura, ha cominciato a fare il remake di Non violentate Jennifer, poi s’è distratto un attimo e ha continuato con il remake de L’ultima casa a sinistra. Gli è scappata qualche scena dichiaratamente ispirata a Ring, poi dopo aver scopiazzato da tutto lo scopiazzabile, è passato a Saw fuso con Hostel. La cosa assurda è che quello che inizia come un remake all’acqua di rose, un film che ossessivamente evita qualsiasi ricorso alla violenza, negli ultimi venti minuti venga preso da immotivato delirio e si trasformi in un porno torture! La tomba su cui sputare, come recita il titolo, è quella di certo cinema americano contemporaneo.
Comunque anche qui l’aspetto letterario si ferma ad una semplice constatazione: quando una scrittrice cerca ispirazione in una casa isolata, succede sempre qualcosa di spiacevole.
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