Che la storia gialla, mystery, thriller o comunque la si voglia chiamare, sia uno dei frutti della modernità è opinione ormai consolidata. Tanto da far arrivare alcuni critici entusiasti, spinti dal lodevole desiderio di nobilitare in qualche modo la materia, a dichiarare che proprio questo genere sia anzi “il” genere per eccellenza dei tempi nostri, lo scandaglio esatto con cui penetrare nelle viscere della nostra società ammalata e contraddittoria.
Una società ormai completamente laicizzata, in cui il male ha perduto ogni suo aspetto metafisico o componente religiosa per ridursi a puro epifenomeno patologico di un grande conflitto di classe, scatenato intorno al possesso o al controllo di beni materiali. Oppure al dominio dei sentimenti e del corpo dell’essere amato, altra forma di “merce” che può essere scambiata, sottratta, rapinata. Di quanti omicidi (e che siano sempre omicidi e nulla di meno, secondo le auree regole di S.S. van Dine) abbiamo letto intorno ad un’eredità contesa, quante ville nella brughiera sono state funestate da un tradimento subdolo, foriero poi di violenza. Un figlio segreto da occultare, un diamante nefasto da nascondere, una moralità corrotta dal vizio del gioco da salvare dal pubblico ludibrio: tutte violazioni di un codice moderno che difficilmente troverebbero posto nel manuale delle penitenze di un confessore secentesco.
Una società, la nostra, disertata ormai dagli dei, in cui il sulfureo peccato è stato sostituito dal più modesto e borghese delitto. E se questa è la nostra condizione, allora è ovvio come allo ierofante, al filosofo o all’esorcista, medici della corruzione delle anime, si sia sostituito il poliziotto o l’investigatore, terapeuti di un male molto più banale e accessibile.
Che insomma i nonni siano della gran brava gente, con i loro baffi a manubrio e le loro lenti d’ingrandimento nelle tasche interne dei gabbani, ma troppo teneri per darci davvero un quadro del mondo nostro: tanto che i francesi, sempre abili nell’escogitare formule, hanno dovuto inventarsi il “noir” per trovar casa ai moderni. E gli inglesi il termine “cozy” per catalogare invece gli antichi e i loro continuatori, con tutto il bric-à-brac di teiere, vecchie zie ficcanaso, aiuole di giacinti con cadavere sotterrato.
E per di più partoriti dalla fantasia degli scrittori fin de siècle in un numero esorbitante e insospettato, anche per i frequentatori più incalliti di librerie specializzate.
Ovviamente, come per tutte le famiglie numerose, esiste anche in questo caso un capostipite, un archetipo narrativo la cui impronta genetica si riscopre via via nei discendenti alterata e mescolata, ma sempre riconoscibile. E trattandosi non a caso di un genere letterario dalle origini segnatamente anglosassoni, non è strano che sia proprio uno dei peggiori esempi della razza di Albione a svolgere questo ruolo: l’immortale Riccardo III.
Kipling ha scritto che mai l’Occidente e l’Oriente si daranno la mano. Ma pochi versi dopo ha scritto anche che non c’è Oriente o Occidente, quando due uomini forti si guardano in faccia.
E che succede quando a farlo sono due menti superiori e malvagie?
(à suivre)
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