In La piccola Lola di Bernard tavernier, il problema del turismo delle adozioni è affrontato in modo superficiale e gigione senza che il chirugo inserisca il bisturi nella ferita per cavarne l’infezione. Si mostrano le lunghe ombre della prospettiva di un’adozione internazionale che finisce con l’essere appannaggio esclusivo di chi ha danaro e che nemmeno basta se confrontato alle scorciatoie privilegiate della classe politica. Si denuncia in modo naive l’indotto, la corruzione, lo sfruttamento che costituiscono il rovescio della medaglia anche delle intenzioni più nobili che prosperano attorno agli orfanotrofi. Sia la nazione o il sistema di leggi che favoriscono più o meno le adozioni all’estero, sia i viaggiatori che vorrebbero tornare a casa col bambino/trofeo, finiranno con l’imbattersi contro un fenomeno incontrollabile e ingestibile. A cominciare dalle disamina delle proprie intricate motivazioni che spingono a percorrere una strada del genere, sino ad arrivare a una vera e propria organizzazione ai limiti della legalità per ottenere documenti e bambini. Bando a ogni moralismo o giudizio, non fa nessuna differenza l’esser mossi da intenti altruistici o da profondo egoismo se alla fine l’averne salvato uno, crea l’illusione per le coscienze di aver fatto qualcosa per migliorare la vita di una possibile vittima della povertà. Si tace quindi sull’interezza del problema che è alla radice e qui, non si sradica nulla. Siamo in Cambogia sotto piogge torrenziali, umana disperazione, umane privazioni e la piccola, bellissima Lola dopo estenuanti ricerche e lunghissimi disbrighi burocratici, emorragie di denaro dette altresì donazioni (perché i soldi si utilizzano ma non si nominano) il rifiuto da parte di due potenziali genitori perché non perfetta – ha delle macchie sulla testolina - trova un futuro di amore e dedizione tra le braccia di due coniugi francesi alla mercè dei proprio fantasmi irrisolti che sì, saranno due bravi e genitori e crederanno di aver fatto la cosa giusta.
Daniela Losini
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