Quando il 16 aprile 1909 Robert Peary piantò la sua bandiera nel ghiaccio del Polo nord, sul proprio diario annotò una semplice frase: «The Pole at last», finalmente il polo. Che cosa voleva dire trovarsi in un punto dal quale, in qualsiasi direzione si procedesse, si poteva andare sempre e solo verso sud? «Naturalmente sapeva benissimo che il polo è un punto matematico, ma proprio il fatto che si trattasse di un’astrazione rafforzava ancor di più la sensazione di irrealtà. [...] Era arrivato al punto zero della geografia».
La conquista del Polo Nord è avvincente quanto un romanzo d’avventura - e L’uomo che inventò il Polo Nord di Philipp Felsch si legge con l’immenso piacere che nasce proprio da una narrazione avventurosa - ma le implicazioni sono di gran lunga superiori: una guerra fredda (e mai aggettivo fu più calzante) è pronta a scoppiare il giorno in cui saranno accessibili i giacimenti petroliferi che i ghiacci del Polo proteggono.
Bisogna però andare ancora indietro, perché prima del sangue ci sono le parole, e prima delle parole le idee: l’epica corsa al Polo Nord non sarebbe mai avvenuta - il sangue di centinaia di marinai non avrebbe mai macchiato i giacchi artici - se prima di tutto non fosse nata l’idea di un Polo Nord. Questa arrivava dall’antichità classica, che pensò sempre ci fosse una terra paradisiaca oltre i freddi confini del nord: nessuno però si era mai sognato di andarci a navigare.
L’idea che cambiò il mondo, l’idea protagonista di questo meraviglioso saggio, arrivò da un uomo che il pianeta lo esplorò sulla carta: un uomo che infiammò il mondo dando per certo che si potesse attraversare il Polo Nord. È la storia di August Petermann, «armchair geographer» (geografo da salotto), illuminato cartografo che già a vent’anni considerava il mondo «come una carta geografica, ma realizzata peggio: una carta non chiara, con colori sporchi e in una scala troppo grande per rendere facile l’orientamento».
«Joseph Conrad inseguì “gli eccitanti spazi lasciati in bianco sulla carta” fin nel cuore della tenebra. Petermann no: rimase fedele al suo primo amore. Invece di osare il balzo dalla carta nel mondo, dalle carte si lasciò avvincere completamente».
Non fu certo facile per dei vecchi lupi di mare come gli inglesi ricevere lezioni da un tedesco che il mondo lo conosceva sulla carta. «August Petermann, il topo di biblioteca che pensava di realizzare a tavolino la topografia dell’Artico, anche se non era mai stato più a nord di Edimburgo, non ebbe vita facile [...]. Non era un esploratore. Era un teorico e in quanto tale già prestava il fianco alle critiche».
L’Ottocento è un secolo turbolento di grandi desideri di scoperta. Appena finite le guerre napoleoniche, l’Europa ha voglia di agire, di muoversi e, se non ci sono altre guerre navali da fare, di scoprire. La tragedia di sir John Franklin dimostra però che l’esplorazione artica non è una gita, e che anzi può rivelare un “cuore di tenebra”, dal titolo di un romanzo che Conrad scrisse proprio per testimoniare le mutate opinioni sul colonialismo.
Oggi noi conosciamo il mondo grazie alle foto e ai video che ci arrivano da satelliti nello spazio: a metà Ottocento il mondo si conosceva grazie alle mappe, e le migliori provenivano dalla sperduta provincia tedesca in cui abitava e lavorava August Petermann. Noi oggi conosciamo la foto del mondo, mentre Petermann forniva la conoscenza del mondo: questa è la sua storia.
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