In questi giorni quotidiani e telegiornali, trattando del maggiordomo di Benedetto XVI accusato di aver fatto trapelare “segreti” vaticani, si sono rimbalzati un unico curioso epiteto: il Corvo.
Identificare vizi umani con nomi di animali è antica usanza, ma finora era più facile sentir chiamare “talpa” chi dall’interno fa trapelare informazioni a chi di dovere. Come mai la scelta di questo nome?
Ci spiega tutto, per filo e per segno, Francette Vigneron nel suo saggio appena apparso in italiano per la casa editrice Nutrimenti: Le calligrafie del Corvo.
Utilizzare l’espressione “il Corvo” per indicare chi scriva lettere anonime deriva da un film del 1943: Il Corvo (Le Corbeau), appunto. Diretto da Henri-Georges Clouzot e fatto sparire dalla censura in tempo di guerra, quando nel 1947 il film ebbe larga distribuzione colpì in modo deciso l’immaginario collettivo francese, perché si sapeva che era ispirato ad una storia realmente accaduta.
La storia si rifaceva - in modo comunque sommario - ad un fatto di cronaca che infiammò il paesino di Tulle, nella prefettura di Corrèze, intorno al 1920. Un anonimo scrittore iniziò a recapitare lettere infamanti ai propri concittadini, costruendo man mano una rete di odi e malignità che esplose in casi di pazzia e di suicidio. Un atto all’apparenza non molto criminoso che invece ha l’effetto di una peste che dilania un intero paese.
Mentre all’inizio il misterioso Corvo - che si firmava Occhio di Tigre - faceva arrivare lettere diffamatorie ai diretti interessati, che ovviamente le facevano subito sparire, il danno fu letale quando invece queste lettere divenivano di pubblico dominio: erano piene di falsità e di insinuazioni maligne, ma proprio queste cose fanno infiammare un intero paese. Storie di tradimenti, di furti, di azioni subdole: tutto falso, ma (come dice l’antico proverbio) a pensar male ci si azzecca sempre.
Francette Vigneron ricostruisce - atti giudiziari e giornali alla mano - l’intera vicenda che mise in ginocchio Tulle e provocò alcune morti.
Solo dopo il film di Clouzot il “cattivo” di questa vicenda venne soprannominato Corvo, e sicuramente l’eco cinematografica del fatto di cronaca dovette arrivare fino negli Stati Uniti. Chissà infatti se il celebre Richard Matheson aveva in mente la trama del film (e quindi dei fatti di Tulle) quando scrisse il suo racconto Il dispensatore (The Distributor, 1957). In questo un uomo, tramite la diffusione di malignità e la sobillazione, fa sì che gli abitanti di un quartiere si mettano a tal punto gli uni contro gli altri... da giungere ad uccidersi a vicenda!
Una soluzione molto forte, ma che dovette colpire la fantasia di uno dei grandi estimatori di Matheson: Stephen King. Una vicenda straordinariamente simile la si ritrova all’interno del romanzo Cose preziose (1991).
«Per dire un male che appare più che umano - scrive Goffredo Fofi nella nota finale, - gli umani ricorrono spesso a metafore animali o addirittura minerali, esorcizzano il loro male attribuendone l’origine a qualcosa che umano non è. [...] I fatti di Tulle sono stati in Francia occasione di discussioni a non finire sul fondo malsano di una specifica società o sulla innata cattiveria del genere umano».
Un saggio completo, questo di Vigneron, nonché una “caccia al colpevole” appassionante come un thriller.
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