Mi avvicino a questa puntata di spy comics con un po’ di commozione. Torno indietro nel tempo, alle radici della mia formazione immaginaria. I primi anni  ’70, il tempo delle mie prime prove di scrittura: forse ancora un po’ ingenue ma colme di entusiasmo per tutto ciò che avevo assorbito e amato in quegli anni. James Bond e il kung fu, Bruce Lee e Segretissimo.

Nel1974 la Marvel decise di  sfruttare la grandissima popolarità delle arti marziali e dei film di kung fu negli Stati Uniti e nel mondo. Ne uscirono vari prodotti: Pugno d’acciaio (Iron Fist), i Figli della Tigre ma soprattutto Shang Chi, maestro del Fung Fu.

           

Di base la serie non era di spionaggio ma si presentava come un curioso ma riuscito mix tra la saga televisiva con David Carradine (Kung Fu), i film di Bruce Lee, la dilagante passione  degli americani per la cultura marziale e le sue filosofie paradossalmente non violente... e in più c’era da parte dello sceneggiatore Doug Moench una ricerca accurata che lo aveva portato alle radici del racconto popolare. Rievocava infatti il mitico Fu Manchu dei film con Christopher Lee ma soprattutto dei romanzi originali di Sax Rohmer in cui apparivano il Dottor Petrie e sir Denis Nayland Smith che, nella serie a fumetti, erano agenti dell’MI6 in lotta con il Si-Fan l’organizzazione “simil Spectre” comandata dal signore del Male orientale.

Chi mi conosce sa quanto tutto questo abbia avuto influenza sul mio immaginario con i risultati che oggi vedete nei romanzi del Professionista. Dopo qualche numero però la serie subì una svolta.

              

Incaricato di realizzare una serie di avventure a se stanti venne chiamato Paul Gulacy, giovane disegnatore che s’ispirava a due grandissimi: Jim Steranko (quello di Nick Fury nella spy futuristica Chi è Scorpio? [1968]) e Barry Windsor-Smith (Conan). Per me quel numero di Shang Chi, nella versione della Marvel Corno in bianco e nero in grande formato, fu una folgorazione. Non solo il disegno quasi “fotografico” dava a Shang Chi caratteristiche molto simili a Bruce Lee ma c’era un mix tra 007 e il kung fu che trovai subito eccezionale.

Evidentemente non solo io perché la serie proseguì inserendo sempre più avventure spionistiche, in stile Marvel naturalmente, ossia molto futuristiche ma perfette negli intrighi e nelle tavole. Shang Chi conservava il suo carattere anarchico (dopotutto era un figlio della beat generation e la sua è pur sempre la difficile strada del figlio contro il padre...).

Riluttante alla violenza si trovava a combattere suo malgrado nel mondo di inganni dei servizi segreti. E le sequenze marziali poi... riprodotte con tutta la spettacolarità dei film di kung fu dell’epoca...

E insieme a Patrie e a Nayland Smith apparvero altri personaggi di contorno. Il gigante Black Jack Tarr, Reston l’agente dell’MI6 più tradizionale e soprattutto Leiko Wu, che era una Nikita ante litteram, bellissima e mortale.

Ovviamente anche i nemici erano memorabili. Ricordo Razor-Fist, poi c’era Ducharme e Fah Lo Suee, la figlia di Fu Manchu in lotta con il padre per il controllo del Si-Fan.

             

La serie proseguì sino al 1977, forse pasticciandosi un po’ negli ultimi episodi, ma tornò in seguito con uno special - Apocalisse infernale (Hellfire Apocalypse, 2002) - pubblicato da 100% Marvel nel 2003.

Moench e Gulacy hanno poi realizzato una versione di 007 e altre serie anche per la DC Comics, ma Shang Chi versione spy resta una delle mie serie preferite. Vi si respira tutta l’atmosfera di quella spy story avventurosa orientale, esotica, visualizzata come la sognavo all’epoca.

Un fumetto fortemente influenzato da suggestioni cinematografiche che sicuramente piacerà agli amanti dell’azione.