Il saggio risponde ad una semplice domanda: «Che cosa fanno realmente gli investigatori privati?»
L’autrice Gini Graham Scott - prolifica saggista - confessa di essere «sempre stata affascinata sia dall’aspetto romanzesco che da quello pratico». Durante il processo di formazione per diventare investigatrice, la Scott incontra sul suo percorso un personaggio davvero particolare.
Chi è Sam Brown? Così lo descrive la Scott: «sembrava lo stereotipo del detective privato: alto, robusto, sui trentacinque anni, una combinazione di James Bond, Burt Reynolds, Jack Webb, Dashiell Hammett e del tipo cinico e incallito alla Mickey Spillane riuniti in una sola persona. Perfino il nome era perfetto: Sam Brown, simile all’archetipico Sam Spade.»
Insieme al suo valido aiuto, l’autrice scrive un saggio che dà voce a vari professionisti del settore, ognuno con le sue storie e le sue esperienze realmente vissute. «Tutti questi detective svolgono l’attività da almeno sei anni [...]. Per amor di varietà, sono stati scelti in base a diversi settori di competenza o, nel caso di professionisti generici, le interviste si sono concentrate su aree specifiche non trattate da altri IP.»
«In contrasto con il tipo duro, pronto all’azione e dal grilletto facile presentato nella letteratura di genere, quasi tutti i detective da me incontrati erano uomini e donne riflessivi, sensibili, preparati e curiosi che ottenevano le loro informazioni mostrandosi solidali verso coloro con cui avevano a che fare, senza costringerli a parlare con la forza o con l’inganno. Alcuni avevano un atteggiamento piuttosto filosofico riguardo al proprio lavoro e si esprimevano con molto buonsenso su argomenti come verità, giustizia e il significato di ciò che facevano.»
Apre la fila Sam Brown stesso, all’epoca trentaseienne e con ben 14 anni di esperienza sulle spalle. «Dopo tre anni in marina, incluso un periodo di otto mesi nel golfo del Tonchino, si iscrisse al City College di San Francisco per studiare criminologia, specializzandosi poi in psicologia». Il suo lungo curriculum di studi specializzati dimostra che investigatori non ci si improvvisa.
La sua testimonianza personale è davvero illuminante. «Ricordo che quando conseguii la licenza sette anni fa, c’era un certo fascino generato dall’immagine letteraria, televisiva e cinematografica. Sai, auto veloci, donne facili, il genere di cose alla James Bond. E [nel settore] c’erano molti più uomini che donne rispetto a oggi, e molti più tipi con la grinta da poliziotto, il che manteneva viva l’idea. Ma ora le cose sono cambiate. L’attività sta diventando più professionalizzata e, sebbene molte persone possano essere attratte da qualcosa che hanno visto in un programma televisivo o in un film, in realtà essa consiste soprattutto nel raccogliere, mettere insieme e sviluppare dati. Significa lavorare con compagnie di assicurazioni e avvocati per preparare prove da presentare in tribunale. E attualmente si raccolgono molte più informazioni tramite database e Internet.»
Seth Derish fa il detective a San Francisco insieme alla moglie. Si occupa soprattutto di indagini finanziarie e casi di lesioni personali, in cui gran parte del lavoro consiste in ricerche patrimoniali pregiudiziali e postgiudiziali. «Sono sempre dalla parte del querelante o dell’aggressore, nelle cause per lesioni personali o per frode patrimoniale. Io sono così. Voglio lavorare a difesa della persona che è stata privata dei suoi diritti dal sistema, o di un’azienda che non ha la possibilità di operare o viene sfruttata da qualcun altro. Mi piace andare a caccia dei pezzi grossi e cercare di riavere indietro qualcosa.»
Jon Berger e Naomi Thomas in genere lavorano insieme sui casi nei loro uffici situati nel Distretto di Fillmore di San Francisco. «Spesso per il cliente noi siamo l’ultima risorsa. Invariabilmente, la polizia ci ha già lavorato su senza approdare a nulla oppure, come in un caso di cui ci stiamo occupando, è arrivata a conclusioni sbagliate che hanno portato un innocente a essere condannato».
Terry Finn e Cameron Rolfe sono specializzati in indagini ad alta tecnologia e aeronautiche, nel grande deposito di un edificio che somigliava a un enorme hangar. «Una delle principali fonti di pericolo è rappresentata dai convegni tra società e industriali, quindi gran parte del suo lavoro si svolge negli hotel e nei casinò per proteggere le stanze in cui le persone soggiornano o si incontrano».
Pat Buckman, di San Francisco, ricorda i “bei tempi andati”. «Nei giorni in cui si poteva divorziare per colpa, avveniva che uno dei coniugi, in genere il marito, volesse sapere qualcosa sulla moglie per non dover pagare gli alimenti e magari finire per vivere in una stanza d’albergo mentre lei si godeva la casa. Quindi noi ci divertivamo alla grande mentre pedinavamo il coniuge benestante, di solito la moglie, cercando di coglierlo in fallo. Una volta mi capitò di seguire in viaggio la moglie di un famoso proprietario di casinò per otto settimane. Andammo alle Hawaii, in Messico, a Washington, in Florida e in altri posti del genere, roba di lusso, una vacanza in grande stile.»
Jordan Douglas, investigatore assicurativo specializzato in casi di lesioni personali. «È un’attività strana, perché hai a che fare con persone disperate o che operano per conto di qualcuno che è disperato o ha qualche altro tipo di problema. Eppure, per me la ricompensa del lavoro viene dalle sfide. Ad esempio, cercare le persone mi diverte da matti. È come giocare al gatto e al topo, e ovviamente il gatto sono io, e mi piace cacciare. Inoltre, è molto gratificante mettere insieme tutte le informazioni di cui disponi su un caso in un quadro logico, obiettivo e basato sui fatti, quasi come un puzzle».
Anne Davis, specializzata nella difesa penale. «Penso che talvolta una donna sia avvantaggiata nell’intervistare testimoni e altre persone perché riesce a ottenere informazioni meglio di un uomo; molti avvocati lo sanno e spesso preferiscono servirsi di investigatrici. La ragione è che una donna appare più intuitiva e comprensiva, quindi la gente è più disposta a parlare. L’approccio più usuale ed efficace per procurarsi informazioni non passa attraverso lo stereotipo del detective duro che dice con aria intimidatoria: “Farai meglio a dirmi ciò che sai”, per poi sbattere al muro o trattare con simili modi da macho un testimone o un sospetto allo scopo di farsi dire ciò che vuole sapere. In genere, è più proficuo adottare un approccio solidale, che mostri la volontà di comprendere, magari facendo appello alla correttezza, il che costituisce esattamente il mio modo di lavorare».
«L’investigatore privato non fa nulla che chiunque altro non possa fare. Ma la principale differenza è che egli sa cosa fare e come farlo»: parola di Sam Brown.
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