Parlare di Modesty Blaise e del suo creatore, Peter O’Donnell, è, per citare il collega e stimatissimo maestro Serge Brussolo, «fare dell’archeologia sul proprio immaginario fantastico».
Nella carrellata di serie e personaggi che popolano il fumetto animandolo con lo spirito della spy story questa puntata richiede al lettore di compiere un balzo agli anni ’60 e forse anche più indietro.
Modesty Blaise esplode come fenomeno fumettistico prima che letterario e cinematografico in piena era Bond. Non solo. Sono i favolosi anni ’60 in cui lo spionaggio è genere guida anche nella cultura pop. Gadget, scenari esotici, congegni inverosimili ma divertentissimi. Ma prima di lei viene il suo autore.
Peter o’Donnell è inglese. Nasce nel gennaio 1920 e sin da ragazzino mostra la spiccata tendenza per la narrativa e l’avventura vissuta in prima persona. Uno scrittore pulp in tutto e per tutto e già questo ce lo rende simpatico. Uno di noi. Dai quattordici ai sedici anni sforna una incredibile quantità di racconti che poi lo conducono rapidamente a una via professionale. Scrittura su riviste specializzate, quotidiani, la trafila classica. Pochi soldi ma molto onore ed entusiasmo.
Nel 1938 si arruola nel genio della marina e intraprende una nuova attività, si favoleggia nel mondo dell’intelligence. Di fatto nel 1942 O’Donnell si trova in Persia, poi in Egitto e da lì gira un po’ tutto il Nord Africa in guerra sino ad approdare in Grecia. Lo scenario tipico della grande spy story di quell’epoca, la stessa che ispirò i romanzi levantini di Eric Ambler (La maschera di Dimitrios così amata da Ian Fleming e dal suo eroe).
I venti di guerra non gli impediscono però di coltivare la passione per la narrazione. Scrive novelle e racconti. Di spionaggio, di guerra, d’avventura e anche dei romance. Di questa produzione O’Donnell vive per alcuni anni alla fine della guerra scrivendo per giornali femminili e infantili. Pare abbia scritto anche un romanzo dichiaratamente d’amore di cui però non si trovano molte tracce se non indizi sparsi qua e là.
Negli anni ’50 la sua vena narrativa arriva al fumetto. Per il periodico Garth comincia a sceneggiare storie di vari generi sinché non stabilisce i sodalizio con il disegnatore Jim Holdaway con cui crea dapprima il personaggio di Romeo Brown.
Nel 1963, però, arriva la grande idea. Un agente segreto donna con tutte le carte in regola non solo per affascinare ma anche per suonarle ai colleghi maschi. Modesty Blaise nasce appunto sulle strisce quotidiane con Holdaway e verrà ripreso negli anni Settanta e successivamente con la collaborazione di Enrique Badia Romero.
Ma torniamo a Modesty.
La conosciamo per la prima volta a sei anni sull’isola greca di Kalyros. Sconvolta, senza memoria, forse ha subìto un trauma che vuole dimenticare. In effetti i suoi genitori sono morti. Al momento conta solo l’istinto di sopravivenza che è già fortissimo. Ruba, impara a servirsi di tutto ciò che la strada le insegna, e intanto cresce.
A dodici anni è già una donna. Una donna terribilmente affascinante che suscita desiderio negli uomini. Fortunatamente incontra un uomo che le fa da pigmalione, non abusa di lei e quindi non genera che un sospetto nei confronti dell’altro sesso, non un odio viscerale. Modesty resterà sempre una dura ma sempre capace di amare.
Nel frattempo deve sopravvivere a mille avventure. Un po’ come Diabolik apprende le arti del’assassinio in una setta in Siria, poi alla morte di Lob, il suo mentore, si ritrova sola ma non inerme. Adesso ha anche un nome. Modesty è un appellativo ingannevole. Indica una qualità morale che cela freddezza e capacità di uccidere al momento opportuno. Blaise viene dal nome di un odei maghi tutori di Merlino. E le sue avventure continuano prima al servizio di un’organizzazione chiamata la rete in cui incontra Willie Garvin. Willie è bello atletico ma destinato a essere sempre e solo una spalla. Mai un vero amante, sempre un amico.
L’amore fisico Modesty lo riserverà ad altri uomini caratterialmente più deboli di lei, uomini giusti, onesti, che finiranno quasi sempre per fare una brutta fine. Lo stereotipo dell’eroe al contrario. Che incontrò un tale successo da spingere il suo autore a scriverne anche le avventure in una serie di romanzi (alcuni tradotti anche in italiano) che inizialmente appariranno come feuilleton sui giornali e poi saranno raccolti in volumi da libreria.
E poi il cinema, anche se il film di Joseph Losey con Monica Vitti [Modesty Blaise. La bellissima che uccide, 1966] tradisce una vena forse troppo comica e parodistica, mentre quello prodotto nel 2004 da Tarantino [Il mio nome è Modesty (My Name is Modesty) di Scott Spiegel] sinceramente risulta poco convincente sia nell’interprete [Alexandra Staden] che nella messinscena.
Malgrado la buona fortuna dei romanzi, Modesty Blaise resta quella dei fumetti. Bruna, sensuale, micidiale, disegnata con quei tratti forse un po’ legnosi dei fumetti per i giornali, merita una rilettura anche se non tutte le storie sono di spionaggio. Ma quello che conta è il carattere del personaggio, la sua aggressività sessuale che è poi solo una sfaccettatura di una sensualità che non rinuncia all’indipendenza.
Alla fine Modesty Blaise è un’icona pop di quegli anni ma anche molto di più, un personaggio che dimostra come un filone che si ritiene per soli uomini in realtà non sia così. Eppure si contamina anche con le supervixens di Russ Meyer e, oggi, con le maschiacce armate pesantemente del cinema di Hong Kong.
Varrebbe la pena di riportarla ancora sullo schermo in modo più aderente ai romanzi e ai fumetti. È una vera spy girl d’autore.
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