Caro Massimo, vuoi raccontarci come sei stato reclutato nella "Segretissimo Foreign Legion"?
Certo.
La responsabilità del mio reclutamento è tutta di Sandrone Dazieri. Quando stava mettendo insieme la sua squadra di autori italiani, il nostro simpatico “Gorilla” mi ha proposto di inventarmi una nuova serie con protagonista femminile. Inutile dire che ho accettato al volo, sia per cogliere l’occasione di un utile addestramento alla scrittura commerciale, sia per misurarmi con un genere divertente e ricco di possibilità.
La tua serie firmata Frank Ross è intitolata QUANTUM AGENCY. Due i capitoli finora pubblicati: AQUARIUS e GOLPE. Parlaci dello spirito della serie e dei personaggi che la animano.
La serie ha un’impostazione tematico-divulgativa, un po’ come i bestseller alla Michael Crichton, per intenderci. Crichton costruisce i suoi romanzi intorno a un argomento di forte attualità che vuole portare all’attenzione del pubblico (la manipolazione genetica in Jurassic Park, i viaggi nel tempo in Timeline, le nanotecnologie in Preda), unendo divulgazione e “denuncia”. Così ecco le sette religiose in Aquarius, le dittature militari in Golpe, il neonazismo nel prossimo Ultima Thule: questioni più generali che, legate al passato, hanno o potrebbero avere un peso importante anche nell’oggi, come pericoli sempre in agguato. Più che in uno stretto legame con la realtà, il mondo rappresentato vive in una dimensione di attualità sospesa: i personaggi sanno che c’è stato l’11 settembre, o come vanno le cose in Iraq, ma questo non li condiziona in alcun modo, perché in quegli stessi momenti si trovano in Estremo Oriente o in Sudamerica a occuparsi d’altro. Di qui l’atmosfera vagamente fantastica che credo si percepisca nelle storie.
L’eroina è una ex giornalista, Margot de Weers, costretta ad abbandonare la professione per avere messo il naso dove non avrebbe dovuto. Per la sua capacità di procacciare informazioni è stata ingaggiata come consulente da un’organizzazione che offre ai clienti soluzioni efficaci a problemi “delicati”: strappare la figlia di un magnate mediorientale dalle grinfie di una setta, fornire strategie e logistica a un colpo di Stato, oppure smantellare con metodi non ortodossi una rete neonazista. La Quantum Agency non fa riferimento ad alcun governo o altro potere pubblico o privato; persegue finalità esclusivamente commerciali ed è a disposizione di chiunque sia in grado di pagarne i servizi. È l’emblema, molto fumettistico per la segretezza e l’inafferrabilità quasi sovrumane dei suoi capi, di uno spionaggio che ignora confini e interessi nazionali per collocarsi sul mercato. Un’entità che sfugge alla cognizione perfino di chi ne fa parte. Margot è affascinata dall’idea di risalirne la gerarchia fino al vertice, un misterioso personaggio noto come Caliban, e questa fascinazione le fa imboccare una strada estremamente insidiosa...
Mi ha colpito molto il tuo interesse per la situazione geopolitica. In tal senso, va apprezzatolo sforzo di stimolare l'attenzione del lettore verso fatti storici a noi vicini, non sempre noti a sufficienza.
Un lavoro che si è ben concretizzato attraverso alcuni riusciti espedienti narrativi, solo in qualche raro punto vagamente didascalici. Che mi dici in merito?
Nel caso di Golpe, sul rovesciamento di un’ipotetica dittatura in Paraguay, si imponeva di dare alla vicenda uno sfondo geopolitico verosimile. In Aquarius, invece, il piano terroristico di un santone indiano offriva lo spunto per un viaggio tra le sette assassine (che, a scanso di equivoci omografici, non sono sei donne più una che uccidono in gruppo). In presenza di un’ampia documentazione, vera costante della serie, mi è capitato di eccedere nella “spiega”, come osservi giustamente: gli articoli di Margot a cui è affidato il nobile compito di rinfrescare (in modo un tantino sensazionalistico) la memoria storica del lettore, per esempio, sono corpi estranei al flusso narrativo. Anche se diverse persone hanno apprezzato proprio quei brani, resta il fatto che la lettura ne viene senza dubbio frammentata e rallentata. Posso comunque anticiparti che l’impianto “didattico” verrà drasticamente ridimensionato già dal prossimo episodio. Di fronte a uno schema troppo vincolante e a un lavoro di ricerca francamente sproporzionato, ho sentito il bisogno di maggiore libertà, di leggerezza, e con Ultima Thule ho cambiato direzione a favore del puro racconto. Del resto, gli ultimi sviluppi della vicenda di Margot giustificano e forse addirittura richiedono un cambiamento.
Il personaggio seriale: come affrontarlo? E ancora: opportunità e pericoli di questa scelta.
Nei casi più rari e fortunati, quando il personaggio seriale si trasforma in un’icona, il vantaggio è che le storie si scrivono da sole; da quel momento basta il suo nome a trascinare il lettore. Negli altri casi rimane una creatura a due dimensioni, un nome e basta. Non si contano gli eroi nati a tavolino, costruiti attraverso una somma aritmetica di abilità peculiari, hobby più o meno stravaganti, destini segnati nel passato da qualche trauma incancellabile. Per poter competere con i tanti colleghi cercano di ritagliarsi uno spazio in un mercato già affollato, ma alla fine si somigliano tutti. Be’, conscio di non saper creare un nuovo Bond e volendo d’altra parte evitare l’ennesimo clone, ho preferito concentrarmi sull’intreccio. Nella serie QA non ci sono figure memorabili: ogni personaggio è funzionale al meccanismo e non ha altre pretese. La scelta della continuity all’interno della struttura seriale permette poi, sacrificando qualcosa in termini di leggibilità, di imprimere al personaggio un barlume di “sviluppo” da un’avventura all’altra. Ma, ripeto, il mio interesse principale è focalizzato sul congegno narrativo.
Lo sai che Segretissimo ospitò già un Frank Ross, in passato?
Sì, negli anni Settanta. Ti confesso di averlo scoperto quando avevo già scelto il mio pseudonimo e mi ci ero ormai affezionato (Frank stava per Sinatra, una mia passione musicale, e Ross perché suonava bene). Facciamolo passare per un omaggio. Comunque, per chi volesse conoscere più da vicino il “mio” Frank Ross, una sua intervista è apparsa su “Segretissimo” 1467.
Pure di Massimo Mazzoni vorremmo saperne di più... A meno che tu non preferisca fare il misterioso, cosa plausibile visto che trovarti non è stato facile.
Ormai la copertura è saltata. Classe ’71, Massimo Mazzoni non ha avuto una vita avventurosa, sotto nessun aspetto. In compenso ha sempre viaggiato moltissimo nei libri. La sua biografia è in fondo l’elenco delle sue letture. Già a 9 anni sosteneva che avrebbe fatto lo “scrittore di successo”, ma oggi si accontenterebbe di realizzare anche solo la prima parte di quel lucido piano infantile. Nell’attesa si è infiltrato nell’ambiente editoriale, collaborando a vario titolo con la Mondadori. Ma basta così, nessun agente parla volentieri di sé.
Con Simone Bedetti, hai scritto LA HOLLYWOOD D'ORIENTE / Il cinema di Hong Kong dalle origini a John Woo (Ed. PuntoZero).
Quanto è importante il cinema d'azione per l'autore di action thriller spionistici?
È determinante, per forza di cose. Ognuno di noi ne è stato imbottito al punto che, lo voglia o no, “vede” l’azione secondo i canoni imposti dagli action movie, statunitensi in primis. Spesso i romanzi sembrano novelization, tanto ogni scena ne replica altre viste in decine di film. In Italia poi ci troviamo a vivere una doppia sudditanza, dai modelli cinematografici e da quelli letterari d’importazione. Se ci aggiungiamo il vezzo del citazionismo, dell’omaggio più o meno esplicito, escamotage “raffinato” per la mancanza di idee, tutto appare omologato. Nella mia piccola serie cerco di evitare sempre più certi cliché, ma non è facile. Si finisce bene o male col ricadere nel già visto. Quanto al libro che hai voluto gentilmente citare, il primo uscito in Italia sull’argomento, senza dubbio il cinema hongkonghese è diventato un punto di riferimento per gli action thriller. John Woo & C. hanno fatto scuola.
La tua narrativa è più influenzata da... ?
Sarà forse per la mia formazione, avvenuta in gran parte sui classici della letteratura, ma ho un’impostazione molto tradizionale. Nell’ambito del genere in questione credo che la maggiore influenza l’abbiano avuta i vari Forsyth, Follett, Clancy, quelli che ho letto di più, soprattutto per quanto riguarda costruzione e documentazione tipiche del “formato bestseller”. Non posso però darti una risposta esauriente, perché tendo a spostare il tiro di volta in volta, adeguandomi alle necessità del singolo caso. È una violazione delle regole, lo so, ma mi piace considerare ogni episodio come un romanzo autonomo dagli altri, pur nel contesto seriale. Mentre Aquarius, quasi un telefilm per la scontatezza della vicenda, ha uno stile anonimo, superficiale, in Golpe, che è un romanzo “di posizione”, un prolungato disporsi delle forze sul campo in vista dell’evento cruciale, la scrittura è più corposa per sostenere un impianto più elaborato. Individuare le influenze con precisione mi risulterebbe però difficile, date le massicce dosi di immaginario assunte in anni e anni di dipendenza da libri, film e fumetti.
Siamo ospiti di Thriller Magazine. Cos'è, per te, un thriller?
Una macchina infernale che deve impedirmi di scendere prima della fine corsa. L’obiettivo primario di qualsiasi thriller, etichetta con la quale ormai si vende un po’ di tutto, è farsi leggere d’un fiato: se l’obiettivo viene centrato, sono disposto a perdonare volentieri l’eventuale sciatteria della scrittura, o la piattezza dei personaggi, la banalità dei dialoghi, eccetera. È meccanismo allo stato puro, al quale non è richiesto altro che di funzionare. La sovrastruttura con cui l’autore sceglie di rivestirlo è accessoria: l’ambientazione più esotica, i tormenti esistenziali dell’eroe o la divulgazione più interessante non sostituiranno un ingranaggio difettoso.
I tuoi titoli preferiti nel thriller e affini? D'importazione e nostrani.
Nelle mie letture sono sbilanciato all’indietro, verso il passato, il che vale anche per thriller e affini. Sarei perciò costretto a farti un elenco di “fondamentali”. Se devo citare un autore che ho amato più di altri, sicuramente si tratta di Eric Ambler. Benché abbia letto anni fa i suoi titoli principali, continuo a raccogliere anche quelli meno noti. Di recente, per esempio, ho trovato su una bancarella Un pericolo insolito, nella “Serie Gialla” Garzanti degli anni ’50. Il fascino del suo universo balcanico-mediorientale, popolato da un’umanità così vividamente raffigurata, e la sua ironia rimangono insuperati. Ma non sono un frequentatore assiduo di questi territori letterari. Per darti un’idea delle mie rare incursioni nella produzione recente del thriller, inteso in senso lato, potrei ricordare L’alienista di Caleb Carr, The Company di Robert Littell, oppure Il velocista di Christopher Reich. O ancora, un paio di romanzi della Cornwell, uno di Grisham, qualcosa di Robert Harris... Ma non li chiamerei i miei preferiti: sono gli unici che ho letto.
Ritorniamo alla spy story. Come vedi la situazione dello spionaggio (canonico, contaminato o contaminante) di produzione italiana? Uno sguardo al presente, una previsione per il futuro.
Essendone un po’ al di fuori, ammetto candidamente di non conoscere la situazione. Non mi pongo il problema di tenermi aggiornato, per la spy story come per altro, e dunque preferisco astenermi da sguardi e previsioni. Posso tutt’al più augurarmi che questa narrativa riesca a svincolarsi da modelli ormai esauriti, per aprire nuove vie e magari indicarle anche agli altri. Continuare a battersi sul terreno altrui è davvero un inutile spreco di risorse.
Cosa stai leggendo e, soprattutto, cosa stai scrivendo?
In quest’ultimo periodo di intenso lavoro editoriale ho letto per lo più racconti, che sopportano meglio dei romanzi pause anche lunghe.
Adesso sto leggendo Gente di Dublino, una lacuna “inconfessabile” che desideravo colmare da tempo. Purtroppo Joyce è uno di quei giganti che ti fanno sentire uno gnomo. Quanto allo scrivere, sto finendo Ultima Thule. Poi dedicherò le mie notti a una produzione di tutt’altro tipo, che per ora si limita a vagare tra i miei affaticati neuroni.
Ti saluto e ti ringrazio. Come ai tuoi "colleghi" che ti hanno preceduto nelle scorse puntate, anche a te lascio l'onere e l'opportunità di chiudere l'intervista. Questa missione è sostanzialmente conclusa. Hai l'ultima cartuccia prima di ripiegare. Usala, se lo ritieni opportuno.
Studiare, studiare sempre. Chi pensa di saper scrivere è molto lontano dalla verità.
I LINK per le altre puntate sono alla vostra destra, eccone l'elenco:
Segretissimo Italiano [7]. Giancarlo Narciso
Segretissimo Italiano [6]. Alan D. Altieri
Segretissimo Italiano [5]. Andrea Carlo Cappi
Segretissimo italiano [4]. Secondo Signoroni
Segretissimo italiano [3]. Stefano Di Marino
Segretissimo Italiano [2]. Gianfranco Nerozzi
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