Stavolta non parliamo di una serie poliziesca in uscita, ma appena terminata: dal 12 marzo allo scorso 21 maggio è andata infatti in onda su RaiDue il sabato in prima serata Cold Case. Omicidi irrisolti.
L’idea centrale della serie è quella di proporre vecchi casi (“freddi”, appunto) che la polizia ha archiviato e che, per circostanze per lo più casuali, vengono ripresi in mano da un’apposita squadra e, naturalmente, risolti.
E noi, bizzarramente fedeli a questa filosofia produttiva, ci accingiamo a scriverne ora, “a freddo”.
Quella andata in onda in Italia è la prima serie, trasmessa negli USA da settembre 2003 a maggio 2004, per un totale di 22 episodi più il pilot: è stata collocata al sabato sera, destinato da anni tradizionalmente da RaiDue ai flim tv e/o alle serie poliziesche; e, seguendo un costume che ormai ha attecchito in Italia sia in Rai che in Mediaset, la rete ha programmato due episodi alla volta ed eccezionalmente, per esigenze di palinsesto, anche tre.
Diciamo subito che la collocazione non ci ha affatto convinto: il pubblico a cui ci si rivolge in quel giorno e in quella fascia oraria è di preferenza anziano e, per vari motivi, non può optare per alternative culturali più impegnative; è per certi versi complementare a quello che, sulle reti ammiraglie, si lascia attirare dalle sirene del varietà (più o meno riesumato dal repertorio dei network).
Invece Cold Case è prodotto da Jerry Bruckheimer a cui si deve anche Senza traccia (già trasmesso sempre da RaiDue il sabato) e, soprattutto, C.S.I. con i suoi (per ora) due spin-off: serie tutt’altro che tradizionali e niente affatto per palati di bocca buona.
L’andirivieni tra passato e presente consente infatti al regista di sbizzarrirsi in continui flash-back che movimentano la narrazione; l’inchiesta è affidata a una donna, Lilly Rush, dal passato sofferto (l’attrice Kathryn Morris apparsa accanto a Tom Cruise in Minority Report), coadiuvata da quattro colleghi della Squadra Omicidi di Philadelphia (altra novità): il capo, il tenente John Stillman, un padre per tutti; e i detective Scotty Valens (che ama una donna afflitta da problemi mentali), il duro Nick Vera e il saggio Will Jeffries; gli argomenti sono abbastanza duri (pedofilia in un collegio militare, rapimento di un neonato, solo per citare gli ultimi episodi) e nei 45-50 minuti di ogni singola puntata vengono concentrati una serie di avvenimenti abbastanza complessi: l’azione è preminente ma gli sceneggiatori non dimenticano il privato dei singoli detective a cui alludono magari anche con solo un paio di frasi apparentemente gettate lì senza impegno, ma che aprono interessanti finestre sulla psicologia dei personaggi.
Il prodotto è quindi sofisticato, poco adatto a un pubblico in cerca di facile evasione: occupa in una parola la fascia alta delle fiction tv, quella che, pur non tradendo la sua funzione principale di intrattenimento, non dimentica il contesto sociale e intimo in cui gli avvenimenti si situano. Kathryn Morris, poi, dà alla sua Lilly Rush uno spessore psicologico notevole con il suo volto asimmetrico, ma espressivo e i suoi occhi che oscillano tra pietà e disincanto.
Ci saremmo dunque attesi una collocazione più consona (perché non giocarsela con il “cugino” C.S.I. il venerdì?) e una promozione più mirata. Invece si è mandata allo sbaraglio una buona serie di cui, al momento, non sappiamo se verrà trasmessa la seconda stagione.
Per fortuna che anche sul mercato italiano stanno comparendo (e avendo successo) i cofanetti in DVD contenenti intere stagioni dei telefilm più amati o anche, bisogna pur dirlo, maltrattati dalla tv generalista (basti pensare a N.Y.P.D. o a I Soprano): un’ottima occasione per chi si fosse perso Cold Case.
Voto: 7.5
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