Quante persone si sono perse al tavolo verde? Quante persone sono vittime del vizio del gioco che quel colore rappresenta? Quante vite sono state segnate da vincite o (più probabilmente) da perdite? Un tavolo verde però ha due lati: c’è chi si siede a giocarsi la vita e c’è chi rimane in piedi... a giocare con la vita altrui.
Ecco due storie ai lati opposti di un tavolo verde.
“Il colpo - Anatomia di una rapina” è il ridicolo titolo italiano dell’ottimo film “Croupier” (1998), diretto da Mike Hodges e magistralmente sceneggiato da Paul Mayersberg: la pellicola è stata riscoperta recentemente in Italia solo dopo il successo dell’attore britannico Clive Owen in film come “I figli degli uomini” e “Shoot ’em Up”.
Jack Manfred è un uomo invidiabile per l’infinita resistenza al gioco: lui non gioca mai. Paradossalmente è nato e cresciuto nei pressi di un casinò ed è un croupier di incredibile talento in quanto addestrato alla scuola sudafricana, la migliore nel genere. Ma il suo sogno è diventare uno scrittore: ha visto il padre rovinarsi al tavolo verde e vuole tenersene il più lontano possibile.
Non è però che il mondo dell’editoria lo stia aspettando a braccia aperte. «In questo momento voglio un romanzo sul calcio – gli dice Giles, un editore molto maneggione, - in cui magari un magnate del petrolio compra una squadra pessima e la porta fino in vetta. Ingaggi da sette cifre, corruzione, ragazze, violenza sia sul campo che fuori, steroidi... Potrebbe anche essere coinvolta la mafia. Allora, hai qualche idea?»
Non è a questo che Jack pensava, così rinuncia subito alla collaborazione con Giles e accetta svogliatamente il posto di croupier, mansione per la quale sembra geneticamente ben portato.
Ma l’idea del romanzo non si infrange contro lo scoglio di un editore poco limpido, bensì inizia a vivere di vita propria: tutte le vicende del film sono narrate in prima persona dalla voce narrante dello scrittore, ed è come se stessimo leggendo le pagine di un libro mentre queste vengono scritte. In effetti è proprio così, visto che il risultato degli sforzi di Jack sarà il libro “Io, croupier” (I, Croupier), anche se il nome dell’autore sarà sostituito da un misterioso “anonymous”.
Jack davanti a noi si trasforma in Jake, il personaggio del libro. È cinico e disincantato perché ogni volta che crede di capire le persone, queste gli dimostrano che ha ragione. Nessuno cambia, chi perde perderà ancora, chi cede al vizio gli cederà sempre. Jack sa che il tavolo verde è l’unico posto veramente giusto a questo mondo: non importa chi sia il giocatore, non conta quanto sia importante o quali siano le sue virtù... si giocherà fino all’ultimo soldo e cederà al vizio come chiunque altro.
L’umanità sfila sotto gli occhi di Jack ed egli diviene sempre più Jake, distaccato come può esserlo il documentarista davanti al comportamento delle belve in gabbia: non ha interesse perché già sa esattamente come si comporteranno. Lui è il croupier, lui tira i fili e tutti cadono.
La sua fidanzata non è certo contenta di questa trasformazione: lei amava un romanziere un po’ sognatore ed ora si ritrova al fianco un cinico burattinaio, che ogni notte si fa strumento di miserie umane. «Aveva un personaggio meraviglioso, prima – gli rimprovera la donna, riguardo al romanzo che il protagonista ha riscritto durante il film. – Il giocatore era così romantico...»
«Era un perdente - la corregge aspro Jack. - Questo qui è un croupier: non può perdere. È stato trattato di merda per tutta la sua vita, ma ora ha lui il controllo: è un vincente.»
«Non c’è speranza, lì dentro - conclude la donna, riferendosi al romanzo ultimato. – Senza speranza non vale la pena di fare niente». Ma Jack è inamovibile e la filosofia del tavolo verde – dove tutti pagano, senza sconti né favoritismi – ormai è nelle sue vene.
Perché però non firmare il romanzo “Io, croupier”? Perché probabilmente neanche lo scrittore non sa più se è Jack o Jake: non sa più chi sia in realtà. Si accorge però di qualcosa a cui non aveva pensato, che lo folgora: giocare con la vita delle persone infrange il suo voto di non giocare mai...
Il libro è giusto che rimanga anonimo e soprattutto figlio unico: «Jack sapeva la verità su se stesso – dice la voce narrante del protagonista: - era un autore da un libro solo. Una meteora che aveva abbandonato il gioco quando vinceva». Ma nel cinico mondo di Jack/Jake, il cadere in piedi non è segno di vittoria, perché in un modo o nell’altro si è sempre caduti...
Un’ultima parola per Giles, l’editore magheggione: ha fatto successo lanciando il libro di Habib, sedicente terrorista che ha scritto “Death Squad”, un libro del genere “uccido e racconto tutto” (kill-and-tell book)...
«Con la tua fortuna dovresti trovarti da questo lato del tavolo» dice un giocatore al Jack croupier: ma quella parte del tavolo non è davvero una postazione invidiabile.
Ne sa qualcosa il povero Fëdor M. Dostoevskij, maestro di Pietroburgo che spese ogni singolo copeco guadagnato nella sua vita sul tavolo verde, dovunque questo si trovasse. Nei diari tenuti dalla seconda moglie, Anna Grigor’evna, si legge la storia di una ossessione profonda impossibile da sradicare, di un gorgo in cui lo scrittore russo cadde fino alla fine dei suoi giorni. A noi rimane solo una consolazione: per pagare i suoi eterni debiti, fu costretto a scrivere molto più di quanto avesse voluto, e da questo l’umanità non può che uscirne più ricca.
Dostoevskij non si lanciò in giochi pseudobiblici, ma curiosamente nel 1949 Robert Siodmak portò in un film hollywoodiano la vita dello scrittore, fondendola con la trama di una sua nota opera: il risultato è “Il grande peccatore” (The Great Sinner). Un ottimo Gregory Peck si presenta prima come scrittore educato e morigerato, poi però avviene una trasformazione: arrivato al tavolo da gioco si rende conto che dentro di sé c’è una forza che lo opprime, che lo spinge a giocare ancora, ed ancora, ed ancora...
L’aver conosciuto - come ogni grande giocatore ha conosciuto - persone distrutte dal gioco, costrette alla miseria a vita o al suicidio solo dopo qualche minuto al tavolo verde non vale assolutamente nulla: un vizio è un vizio. Il protagonista del film in realtà gioca molto meno di quanto giocò il vero Dostoevskij, anche perché il film fonde la biografia con la fiction, cioè con il romanzo “Il giocatore” (Igrok, 1866), non tenendo fede in realtà a nessuna delle due.
Il film, curiosamente, riesce ad essere più pseudobiblico di quanto non fu mai il maestro di Pietroburgo. Egli infatti più volte dichiarò di voler scrivere una grande opera, “Vita di un grande peccatore”: non vi riuscì mai, semplicemente perché le idee in essa contenute vennero divise e seminate in altre opere. Il film invece dà vita a questo desiderio e il Dostoevskij di celluloide, dopo aver tanto sofferto al tavolo verde, dopo aver vissuto esperienze di miseria e di abiezione, finalmente riesce a liberarsi scrivendo tutto in un libro: “Confessioni di un peccatore” (Confessions of a Sinner).
«Tutto finisce in un libro», diceva saggiamente Stehan Mallarmé, anche le esperienze che si acquisiscono ad un tavolo da gioco.
Jack Manfred e Dostoevskij sono entrambi scrittori, entrambi non vorrebbero stare al tavolo verde – anche se in posizioni diverse – ma quello è il posto che la vita, anzi la letteratura ha assegnato loro. Qualunque sia il gioco, chiunque dia le carte, qualsiasi sia la posta in gioco, tutti perdono: quello che conta... è il libro che si scriverà alla fine.
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