Il 14 ottobre del 1887 Nikolaj Aleksandrovič Notovič, aristocratico ed ufficiale cosacco, iniziò un lungo viaggio commerciale fra India e Pakistan: visto che pare sia stato anche una spia, è facile immaginare quale tipo di affari stesse in realtà portando avanti.

Il suo viaggio lo portò a visitare luoghi affascinanti e pieni di mistero, e durante il suo soggiorno a Leh, capitale del Ladakh (nel Kashmir), conobbe il monastero buddhista di Hemis, ancora oggi meta di turismo di una zona chiamata “Piccolo Tibet”. Impicciandosi un po’ di questo, un po’ di quello, trovò un monaco che cominciò a parlargli di un santo di nome Issa: ma guarda a volte la coincidenza, uscì fuori che questo “santo” altri non era che Gesù Cristo - che i vicini arabi chiamano Isa.

«Il nome di Issa è molto rispettato presso i buddhisti» spiegò il monaco, stando a quanto ci racconta il buon Notovič, «ma è conosciuto solamente dai lama superiori, i quali hanno letto i testi che raccontano della sua vita. È esistito un infinito numero di Buddha come Issa e gli 84.000 rotoli esistenti sono ricchi di dettagli concernenti ognuno di essi.» La bomba è sganciata: esiste un’opera esageratamente corposa che narra anche della vita di Gesù... e nessun occidentale lo sapeva!

Notovič, compresa la portata di quell’informazione, cominciò a pressare il monaco per poter vedere di persona questi rotoli di papiro (o corteccia) che, a quanto gli viene detto, arrivarono dall’India passando per il Nepal. Il monaco, davanti alle insistenze del russo, tirò fuori la scusa più vecchia del mondo: «Al momento non saprei dire dove si trovi il manoscritto: se mai tornerai a passare per il monastero, sarò felicissimo di mostrartelo.»

Il monaco, furbo siccome una volpe, credette in questo modo di essersi liberato dello scocciatore: quando mai sarebbe capitato di tornare in un monastero buddhista sperduto nel Kashmir? Ma non aveva capito quanto in realtà Notovič volesse mettere le mani su quell’opera così incredibile: caso volle, infatti, che iniziato il viaggio per lasciare il monastero dopo poco il nostro eroe venisse disarcionato dal cavallo, cadesse e si rompesse una gamba. Che vogliamo fare, lasciare un soldato cosacco lì ad agonizzare in mezzo al nulla? Il monastero di Hemis dovette ospitarlo di nuovo, e la degenza costrinse il monaco riluttante a sorbirsi ulteriori pressioni di Notovič.

Monastero di Hermis in una illustrazione del 1876
Monastero di Hermis in una illustrazione del 1876
«Alla fine - ci racconta il russo, - cedendo alla mia ardente insistenza, lui [il povero monaco] mi portò due grossi libri dalle pagine fatte di carta ingiallita dal tempo, dai quali mi lesse la biografia di Issa, che io trascrissi sul mio notebook da viaggio seguendo la traduzione del mio interprete.» Ma come “due libri”! Ma non erano rotoli? Non è che il monaco, stanco di quello straniero petulante, gli stava rifilando una bella patacca?

Notovič non sembrò accorgersi della sostituzione - una cosa sono i millenari rotoli di papiro o corteccia, un’altra i recentissimi libri, anche se manoscritti - prese più appunti che poté e al terzo giorno, neanche fosse lui stesso Issa, si sentì rinato e in grado di affrontare il viaggio di ritorno, togliendo il disturbo: nessuno lo trattenne.

Il risultato di quest’avventura degna di un feuilleton è che nel 1894 in Francia il Notovič pubblicò un libro dal titolo “La vie inconnue des Jésus-Christ”, ristampato ancora oggi. (Anche in italiano, “La vita sconosciuta di Gesù”, Amrita 2000). Perché un russo stampò in francese? Quella all’epoca era lingua franca dell’Occidente (come oggi l’inglese) ma non è ben chiaro perché il libro sia uscito prima in un paese così lontano dalla Russia. Ce lo spiega una fonte non propriamente super partes: il guru Sai Baba. «Siccome Notovič ebbe la premonizione che la sua storia della versione buddhista della vita del Cristo non avrebbe superato la censura russa, viaggiò fino in Francia». Evidentemente la “premonizione” del russo fu sbagliata, perché - continua Sai Baba - «subito dopo la pubblicazione [in Francia], degli estratti dal libro furono pubblicati su un giornale russo, Vera I razum [Fede e ragione] (n. 22, pagine 575-614). Passò la censura.» (“Sai Baba speaks of Jesus” di Luc J. Courtois, 2008.)

Se si esclude il particolare che Sai Baba tace l’episodio della gamba rotta e che aggiunge una fantomatica «illustrazione del santo [Issa] che assomigliava incredibilmente a Gesù», è lui a raccontarci cosa accadde al russo dopo la pubblicazione: minacce e qualche anno di Siberia fecero passare al Notovič la voglia di continuare a scrivere di Gesù, e dopo qualche altro libro in russo lo scrittore non diede più notizie di sé e scomparve nel nulla. Chissà, magari è tornato a scocciare il monaco buddhista!

                                         

Quanto c’è di vero nella storia fin qui raccontata? Chi segue questa rubrica sa che di storie simili, nel mondo dei libri, ce ne sono a iosa, e tutte con un solo piccolo difetto: sono false. Cosa c’è quindi di vero in questa storia? Solamente ciò che è provato: quasi niente.

Il buon Notovič – che come nome d’arte assunse quello occidentalizzante di Nicolas Notovitch – è persona vera (sebbene si ignori la data della sua morte) e pare sia stato veramente nei luoghi che cita, ma della storia della gamba, del monastero, del monaco che prima promette rotoli e poi tira fuori libri e dell’opera in 84.000 volumi... be’, ovviamente non esiste uno straccio di prova. Visto l’enorme e controverso successo che il libro ebbe appena uscito (otto ristampe in Francia, una in Inghilterra e tre negli USA in tempi record) nel 1896 il giornalista J. Archibald Douglas venne incaricato dal giornale The Nineteenth Century di ripercorrere il viaggio descritto dall’autore russo e chiedere a tutti se si ricordassero del passaggio del buon Notovič: c’è bisogno di dire che non trovò nulla? Arrivò fino al monastero di Hemis, dove il lama capo lo guardò stupito: ma chi era mai questo Notovič di cui parlava? (Secondo “Neo-Hindu views of Christianity” di Arvind Sharma, pare addirittura che il lama, informato di tutta la storia, abbia chiesto al giornalista quali pene in Occidente fossero previste per certi truffatori!). Ma noi sappiamo cos’è veramente successo: è stata la vendetta finale del monaco nei confronti del russo scocciatore!

Scherzi a parte, potremmo dire che quanto Notovič racconta in prima persona nell’introduzione del suo libro sia solo una trovata pubblicitaria per dare un aspetto esotico a quello che altri non è se non uno dei tanti Falsi Vangeli già incontrati in questa rubrica, con ovviamente una piccola differenza: questo pretende di essere vero! Comunque, messo di fronte alle evidenze, Notovič gettò la maschera ed ammise di aver inventato tutto: il viaggio l’ha fatto veramente (un dentista occidentale della città di Leh si ricorda di averlo curato per un ascesso) ma i rotoli/libri sulla vita di Gesù se li è inventati.

Quindi la roboante storia del monastero di Hemis e del segreto che custodisce – la vista sconosciuta del giovane Gesù – sono solo una finzione, una truffa? No, diciamo noi, sono qualcosa di più: è quella che già altrove, in questa rubrica, abbiamo chiamato la sottile arte del plagio.

Nell’avventuroso racconto che Notovič propinò ai suoi lettori c’era un omaggio segreto, una piega nella tela della finzione che celava l’ossatura stessa della letteratura: il plagio. Cosa pensò Notovič quando lasciò la prima volta il monastero a bocca asciutta? Lui non lo dice, ma lo riveliamo noi: appena iniziato il viaggio decise che doveva fare qualcosa per tornare indietro e farsi dare il testo misterioso. Novello San Paolo, Notovič fu folgorato sulla strada (anche se non di Damasco): ricordò qualcosa che aveva letto e che ora gli tornava dannatamente utile. Gli venne infatti alla mente una storia letta nella “Iside svelata” di Madame Blavatsky.

                                     

Madame Blavatsky
Madame Blavatsky

Helena Petrovna “Madame” Blavatsky era una scrittrice ucraina, fondatrice della teosofia, che dal 1848 al 1875 pare girò il mondo per ben tre volte (forse le era sfuggito qualcosa) prima di produrre una delle opere per cui è meglio conosciuta: le mille e passa pagine di “Isis Unveiled” (1877). Diviso in due volumoni, in questa titanica opera di esoterismo l’autrice inserì «un gran numero di informazioni su soggetti occulti mai pubblicate prima», stando a quanto afferma lei stessa in “My Books” (1891). Quello che a noi interessa è un brevissimo passaggio, una nota fugace la cui memoria sovvenne nella mente di Notovič mentre lasciava il monastero a mani vuote.

«Essendosi ferito alla gamba mentre scendeva dal batiscafo nella barca che lo avrebbe portato al Monte [Athos, in Grecia], venne assistito dai monaci e, durante la convalescenza – attraverso doni di denaro e regali vari – divenne loro grande amico, e finalmente entrò nelle loro grazie» (primo capitolo della seconda parte, L’“infallibilità” della religione moderna). Così, ci informa la Blavatsky, un «testimone degno di fede, senza alcun interesse ad inventar storie» racconta della sua incredibile scoperta. Sul Monte Athos, infatti, una volta “comprati” i monaci a suon di soldi e regalini, questo “testimone” tentò il colpo grosso: chiese sfacciatamente alcuni libri in prestito e venne condotto da un monaco benigno in un locale strapieno di antichi manoscritti – tutti, manco a dirlo, rarissimi. Eccitatissimo dalla scoperta, l’uomo cominciò a sfogliarli e scoprì il perduto Lògos alethès, cioè La vera dottrina di Celso, a noi noto solo perché Origene in una sua invettiva contro il filosofo greco ne cita abbondanti estratti.

                                          

Questa storia la Blavatsky la scrive in una nota a piè di pagina che non tutte le edizioni di “Isis Unveiled” riportano: facile però che la prima, quella del 1877, ce l’avesse e che il solerte Notovič l’abbia letta lasciandosene ispirare. La mossa falsa di alternare rotoli con libri potrebbe essere addirittura un ulteriore omaggio ad un fatto curioso: l’errore nal testo della teosofa ucraina.

Forse sarà stata colpa di editori e stampatori poco accorti, o forse il “testimone degno di fede” citato dalla Blavatsky – a causa della forte emozione – si confuse un po’ nel riportare il titolo del libro scoperto sul Monte Athos. Mentre in inglese non ci sono problemi a riportare “True Doctrine”, l’opera di Celso in greco non si riesce proprio a scriverla bene: a seconda delle edizioni, il titolo è errato in modo diverso. Non si può stabilire se già nella prima edizione l’autrice non si peritò di controllare le bozze, comunque nel tempo si è creato il curiosissimo titolo Aogos ale thes (la lambda maiuscola, Λ, in effetti sembra una A senza trattino in mezzo, così Logos diventa Aogos); addirittura la bella edizione 2008 della Forgotten Books confonde la eta greca (η) con un’acca latina (h) e quindi il fantomatico libro risulta essere un ridicolo e insensato Aogos ale tees... (pag. 647).

Ammettendo che la donna abbia originariamente scritto giusto il titolo dell’opera del povero Celso (che non era difficile da controllare, neanche in un’epoca pre-Internet come la fine dell’Ottocento), i suoi editori e seguaci non si sono peritati di correggere un titolo sbagliato ai massimi livelli: come si può dar fede a queste testimonianze? L’unica è fare come il buon Notovič e inventarsene altre!

                                    

Ma quando si parla di pseudobiblia? “La vita sconosciuta di Gesù” è un libro più che esistente. Stesso dicasi per “Iside svelata” della Blavatsky, più volte ristampato anche in Italia.

La difesa è d’ufficio: questa rubrica si occupa anche di giochi letterari e di quelle operazioni che i privi di fantasia chiamano truffe ma che noi invece crediamo affondare le radici nella più pura interpretazione della letteratura... la più vera delle finzioni.

C’è chi crede degne di fede le parole tanto di Notovič quanto della Blavasky: noi non siamo fra quelli. Noi apprezziamo il delizioso divertissement letterario per cui si scoprono sempre ed esclusivamente testi perduti o inesistenti e mai che si scopra un’opera nota; che si vada in luoghi esotici a fare scoperte e mai in posti squallidi; che si trovi sempre e solo materiale sfuggente a qualsiasi analisi e soprattutto privo di qualsivoglia prova oggettiva. Insomma, cosa c’è di più veramente letterario della falsa saggistica?