Tempo di somme per questo piccolo speciale sugli “scrittori fantasma”, cioè su chi fisicamente scrive romanzi che poi porteranno la firma di qualcun altro. È una professione che esiste da quando esiste la scrittura – difficilmente furono gli apostoli stessi a scrivere fisicamente i Vangeli che portano i loro nomi! - eppure non è un argomento che venga trattato con leggerezza né alla luce del sole, per quanto sia noto e risaputo. Si può dire che venga considerato alla stregua di una funzione corporale: tutti sanno che esiste, ma parlarne è volgare.

L’imbarazzo della “scrittura fantasma” è testimoniato dalla nebulosità che avvolge i termini per indicare chi la eserciti. Il mondo francofono pare sia stato il primo a coniare un termine ad hoc, utilizzando un più che eloquente “nègre”. A volte, in periodi di political correctness, si può trovare nella forma di “nègre litteraire”, ma rimane evidente il richiamo al lavoro forzato, umiliante, sottopagato e soprattutto non riconosciuto. (Ovviamente non era sempre così, ma il termine rendeva bene il concetto.) Il primo uso di questo termine sembra risalire al 1757, ma non esistendo fonti certe si può benissimo dire che il vero trampolino di lancio sia avvenuto nel 1845, quando - come abbiamo visto nel precedente articolo - Eugène de Mirecourt accusò Alexadre Dumas di utilizzare dei nègres per i suoi romanzi.

                                       

Parallelamente a questo termine - se non addirittura precedentemente - si usava anche “teinturier”, tintore. «Dicesi, per similitudine - ci racconta il “Petit trésor” della lingua francese curato nel 1821 da Giuseppi Filippo Barberi, - di chi corregge e colora le altrui opere. Egli pare che quegli che corregge gli altrui scritti dia loro una certa sua tinta, un certo suo colore particolare, siccome il tintore dà del colore alle stoffe, e alle tele.» Non sfugga il gioco di parole settecentesco con cui Voltaire veniva definito “blanchisseur” in quanto “ripuliva” le altrui opere.

Malgrado dall’inizio del Novecento il mondo anglofono cominci ad utilizzare e ad esportare il più delicato “ghost writer” - che anche in Italia dagli anni Sessanta pare abbia sostituito l’autoctono “negro” - il mondo francofono ha l’invidiabile abitudine di amare la propria lingua e i propri termini. Così non solo utilizza ancora nègre, ma non dimentica che il settecentesco teinturier oltre che tintore e scrittore fantasma voleva dire anche “alchimista” - come ci informa il “Dictionnaire mytho-hermétique” (1758) di Dom Pernety.

State attenti al “nègre litteraire”, perché conosce mille trucchi...

                             

Lo scopre sulla sua pelle e la sua carriera la scrittrice di successo Judith Ralitzer, che nell’immagine iniziale del film “Roman de gare” (2007) viene accusata di aver ucciso il proprio ghostwriter. Come potevo sapere che «il mio nègre ubriaco non sapeva neanche nuotare?» è la sua difesa...

Fanny Ardant nei panni della "falsa" scrittrice Judith Ralitzer
Fanny Ardant nei panni della "falsa" scrittrice Judith Ralitzer
Durante le riprese di questo film, malgrado nel cast spiccasse una stupenda e bravissima Fanny Ardant nel ruolo principale, nessun giornalista si è interessato di chi fosse mai Herv Picard, regista sicuramente alle prime armi visto che nessuno l’aveva mai sentito. Al momento di distribuire il film finito, però, beghe legali e le richieste dei produttori spinsero il Picard a togliersi la maschera e a dichiarare la propria vera identità: Claude Lelouch, il nègre di se stesso...

Stanco della notorietà, il celebre regista si era nascosto per vedere se la gente amava più i suoi film o più la sua firma: l’esperimento è più che riuscito, visto che di “Roman de gare” non si interessò nessuno finché non uscì fuori Lelouch alla regia.

Alcuni critici in passato hanno accusato il regista di scrivere storie troppo semplici, troppo commerciali: le sue sceneggiature - per i critici - sembrano quei romanzetti di genere venduti alle stazioni, che in Francia portano il nome di “romans de gare”. Così la scrittrice Judith Ralitzer apre il film raccontando di aver avuto l’idea di un attentato alla Casa Bianca che passi attraverso l’avvelenamento di un vino di Borgogna: azione, thriller e tanti morti infarciranno un romanzo che non potrà avere altro titolo se non “Roman de gare”.

                               

Il film di Lelouch è paragonabile solo a “Il Club Dumas” di Arturo Pérez-Reverte: un gioco letterario all’interno di un gioco letterario, fino a formare un labirinto inestricabile dove nessuna realtà può superare la finzione.

Accantonata infatti la storia della scrittrice Ralitzer, scopriamo che un pericoloso serial killer - chiamato “il mago” per la sua passione di fare trucchi di magia alle proprie vittime - è fuggito dal carcere. Vediamo poi un uomo misterioso che, in un autogrill, fa apparire dei fiori dal nulla e li regala ad una bambina...

Quest’uomo riesce ad offrire un passaggio ad una donna sola e vulnerabile, dando vita ad una storia sul filo del thriller che dura fino a metà film. A questo punto, la pellicola si ferma - quasi fosse un’opera bergmaniana - e l’uomo misterioso raggiunge la scrittrice Ralitzer: ha appena avuto l’idea per un nuovo romanzo.

                                 

Il nègre Pierre Laclos (Dominique Pinon) e la scrittrice Judith Ralitzer (Fanny Ardant)
Il nègre Pierre Laclos (Dominique Pinon) e la scrittrice Judith Ralitzer (Fanny Ardant)
Dall’estate del 1998 a Beaune, in Borgogna, dove si sono conosciuti, la Ralitzer e l’uomo misterioso (uno strepitoso Dominique Pinon) sono complici: lui scrive romanzi di successo e lei li firma prendendosi tutto il merito. Ma ora lui è stanco: “Dieu est un autre”, il nuovo romanzo che racconta praticamente la prima metà del film, dovrà essere pubblicato con il suo nome, Pierre Laclos. La donna glielo deve, dopo tanti anni di “scrittura fantasma”.

Come può reagire una scrittrice venerata in tutta la Francia davanti alla prospettiva di perdere la sua “vena creativa”? Come può reagire di fronte al proprio nègre che si ribella in modo così sfacciato? Non può che assumere un’espressione maligna e invitare l’uomo a soggiornare sulla di lei barca, in mezzo al mare, durante la scrittura del “suo” romanzo...

                                                  

Lelouch sin dall’inizio gioca con le aspettative dello spettatore: l’uomo misterioso è un assassino? E lo è anche la Ralitzer? Visto che il nègre sta scrivendo un romanzo plausibilmente di successo, senza testimoni, in mezzo al mare, in pieno potere della donna... sin dal primo secondo lo spettatore intuisce che la situazione non può che finir male per il povero ghostwriter.

Il regista lo sa, e gioca come il gatto con il topo. Ogni frase, ogni occhiata, ogni gesto gioca con ciò che gli spettatori si aspettano. «Ti ucciderei, Pierre» dice la Ralitzer. «Sarò morto solo quando scriverò la parola “fine”» risponde lui. Quando una mattina la donna si alza, il romanzo “Dieu est un autre” è completo sulla sua scrivania e il nègre è sparito dalla nave... il gioco è fatto.

La tenue disperazione della scrittrice per la scomparsa di Pierre dura poco: appena il nuovo romanzo esce in libreria firmato Judith Ralitzer e le critiche iniziano ad osannarla, il ricordo del suo fedele nègre svanisce.

Ma, come vuole il classico intreccio di un roman de gare, ci sono sospetti e ombre, ma soprattutto testimoni: ad un anno dagli eventi la scrittrice verrà formalmente accusata di omicidio. La donna si dispera finché Lelouche non mette in atto un altro espediente da feuiletton: il colpo di scena finale... Pierre ha finto di morire per incastrare la donna.

                                 

Dominique Pinon nel ruolo del nègre Pierre Laclos
Dominique Pinon nel ruolo del nègre Pierre Laclos
Nel primo articolo di questo breve ciclo abbiamo visto una scrittrice defunta che, dalla tomba, comunica con il suo editore dandogli un nuovo romanzo. Qui un fantasma c’è, il Pierre che appare a fine film, ma è tornato solo per incastrare la donna che firma i suoi romanzi. Si è reso conto che un libro con su il nome Pierre Laclos non avrebbe venduto nulla - così come un film diretto da Herv Picard! - e che è il nome in copertina che conta e nient’altro. «Chi ha scritto “I tre moschettieri”, Dumas o il suo negro?» dirà in un’altra occasione la scrittrice. Così ha finto di morire per regalare il successo al proprio romanzo, ed ora è tornato per fronteggiare la falsa scrittrice.

La Ralitzer è distrutta: le prove schiaccianti che Pierre ha in mano dimostreranno a tutta la Francia che lei non ha mai scritto una sola riga, malgrado gli onori raccolti in tanti anni. «Cosa succede adesso?» chiede la donna, sperando in un ricatto che comunque le consenta di continuare a fingersi scrittrice. Ma l’uomo non vuole nulla e la congeda con una frase terribile. «Niente. Te ne vai, completamente ripulita dal tuo “negro”.»

Complètement blanchie par ton nègre è un ulteriore delizioso gioco lessicale di difficile resa in italiano: oltre alla contrapposizione di bianco e nero, affonda le radici nel blanchir di Voltaire e si riferisce ad un nègre che ama eseguire trucchi di magia... quasi fosse un alchimista, un teinturier.

                                       

Malgrado possa sembrare che sia stato svelato tutto di questo film, va sottolineato che mille altri giochi e trucchi attendono chi voglia ancora gustarselo. (In lingua originale, però, visto che risulta ancora inedito in Italia.) “Roman de gare” è un gioco letterario e quindi mostra la realtà. La trasmissione di carattere letterario che apre e chiude la pellicola ha per ospiti veri scrittori con veri libri, come Arlette Gordon con il suo “Rue Pouchkine” e Bernard Weber con il suo “Le papillon des étoiles”; la terza ospite Marie-Victoire Debré è “reale” ma del suo libro “Bloc sténo” non si è trovata traccia. In mezzo a loro, come ospite d’onore, Judith Ralitzer con il suo “Dieu est un autre”, un falso libro falsamente attribuito che racconta la storia falsa mostrata in un film...

Parafrasando William Shakespeare, il signore assoluto degli “scrittori fantasma”, la letteratura non è altro che un racconto narrato da un nègre.