Abbiamo incontrato Gene Ayres, giornalista e sceneggiatore statunitense, per parlare del suo Il libro segreto di Shakespeare, romanzo che la Newton Compton ha coraggiosamente portato in Italia e che sta rapidamente scalando le classifiche.

Il termine “coraggio” non viene usato a sproposito: il thriller di Ayres (firmato con lo pseudonimo John Underwood) da molti anni viene rifiutato dagli editori di tutti i Paesi anglofoni del mondo, risultado edito solo in pochi Stati ed ora anche in Italia. Perché questo trattamento? Cosa dice di così pericoloso il romanzo di Ayres?

Di sicuro viene da pensare che, se il libro viene così ostracizzato, forse l’autore ha davvero colto nel segno...

Come è nata in te l’idea di indagare sulla questione Shakespeare, un mistero che dura da circa quattrocento anni?

Mio fratello maggiore, un fisico e in seguito un economista ambientale, è venuto a conoscenza della mistero di Shakespeare mentre frequentava - negli anni Cinquanta - l’Università di Chicago, dove lesse il libro di Calvin Hoffman intitolato The Murder of the Man Who Was Shakespeare [saggio del 1955 molto celebre, inedito in Italia: Hoffman era lo pseudonimo dell’agente teatrale Leo Hochman. n.d.r.] che analizzava il caso del vero autore attraverso i Sonetti. Mio fratello è anche la base del personaggio di Balsavar nel mio romanzo.

Nella nostra famiglia abbiamo sempre avuto un forse senso della giustizia e della storia, discendendo dai primi Quaccheri che arrivarono in America ed essendo stati cresciuti ed educati nella convinzione che quanto ci è stato detto ed insegnato non è necessariamente la verità. Questa convinzione è valida in molti ambiti, dal business alla politica fino alla (posso osare dirlo?) religione, e si applica tanto nel mondo di oggi quanto ai tempi di Shakespeare. Inoltre, vorrei aggiungere, ho usato l’analogia della nascita della corporazione, proprio nell’epoca shakespeariana, per sottolineare l’urgenza di controllare i poteri. L’uomo-Shakespeare, stando ai fatti accertati della sua vita, era un uomo della corporazione molto in gamba, più che un letterato. Così come Robert Greene affermò ai suoi tempi, credo veramente che Shakespeare fu il primo uomo d’affari a scoprire che c’era da fare bei soldi sfruttando scrittori ed artisti: fu il precursore della moderna filosofia di Hollywood, che ha sfruttato anche me in tempi recenti.

                  

La ricerca delle fonti è stata semplice o hai incontrato dei problemi?

No, la ricerca è stata davvero facile ma lo stesso eccitante, specialmente quando si imboccano vie rimaste inesplorate per secoli. Nel caso della verità su Shakespeare, questa è stata nascosta in piena vista, nella British Library, nella Cambridge Public Library e negli archivi del Lambeth Palace, così come negli archivi della King’s School a Canterbury.

Come però succede per molte verità, puntare i riflettori su di esse non è nell’interesse dei potenti: ai tempi di Shakespeare era la Chiesa d’Inghilterra, come nei successivi quattro secoli, i cui appartenenti io definisco “Ayatollah dell’Accademia”, i quali si trincerano sull’idea di Stratford e creano una formidabile barriera contro le rivelazioni sulla verità su Shakespeare. E nascondono così forse la il più grande furto di proprietà intellettuale della storia della civiltà.

                  

È giusto dire che il libro “The Shakespeare Chronicles” in vendita dall’anno scorso su Amazon.com è un tuo saggio scritto sotto pseudonimo?

No, non è così. La prima presentazione delle mie ricerche e teorie apparve nel 2000 sotto il titolo di A Thief for All Time, firmato come E.C. Ayres (che è anche il mio vero nome): non ero un accademico e così nessuno ne fu interessato, perché gli Ayatollah dell’Accademia avevano deciso che solamente uno di loro poteva scrivere su questo tema. Loro insistono che un semplice campagnolo, attore a tempo perso e comproprietario di una compagnia teatrale, senza educazione né libri né lettere, privo di amicizie con chiunque eccetto forse Ben Jonson (per il quale comunque non esistono prove), DEVE aver scritto quelle opere, semplicemente perché c’è il suo nome su di esse. Faccio notare che Luois B. Mayer e Joseph E. Levine hanno apposto il loro nome su ogni film prodotto nell’Hollywood dei primi anni eppure non hanno mai scritto una sola parola. Stesso dicasi per Clint Eastood o per Paul Newman che non hanno scritto le battute che li hanno resi celebri. E questi accademici continuano a fare barriera malgrado tutte le obiezioni ed osservazioni sollevate da nomi illustri come Mark Twain, Samuel Coleridge ed anche il Conte von Bismark, fra gli altri.

Saggio che Ayres ha pubblicato con lo pseudonimo di Desmond Lewis, personaggio del suo romanzo
Saggio che Ayres ha pubblicato con lo pseudonimo di Desmond Lewis, personaggio del suo romanzo
Io sono convinto che a causa del soggetto sia alla versione saggistica che a quella romanzata del mio lavoro sia stata impedita la pubblicazione nei Paesi in lingua inglese, dove Shakespeare rimane un’icona se non una divinità, indipendentemente se esistano prove che lui abbia avuto un’educazione o che abbia scritto qualcosa. (Entrambi i suoi genitori e i suoi figli erano analfabeti e lui firmò il certificato di matrimonio con una X, e non possedeva alcun libro al momento della morte). Sono state pubblicate sei traduzioni del mio romanzo - sette, contando ora l’Italia - e ancora il manoscritto originale rimane nel mio cassetto. Spero che il film Anonymous, che tratta Shakespeare come un truffatore come ho fatto io per primo, serva ad aprire un dialogo con gli editori. Intanto il mio manoscritto gira da quasi dieci anni.

Il film però sceglie il candidato sbagliato (il sedicesimo Earl di Oxford) per il ruolo di vero autore, che a me va pure bene. Ma il libro con il titolo The Shakespeare Chronicles che potete trovare su Amazon è in realtà la versione che è dapprima circolata nel 2000 per le case editrici e produttori negli States. In seguito è divenuta il libro nel libro. L’“autore” delle cosiddette Chronicles, Desmond Lewis, è il personaggio del mio romanzo che viene ucciso prima di poter pubblicare un manoscritto che riveli la verità su Shakespeare. Il manoscritto in questione finisce nelle mani di un editore di New York che, non proprio autorizzato, lo mette in vendita su Amazon. (Recupererò i diritti di quel testo, casualmente, il 1° gennaio 2012.)

The Shakespeare Chronicles di Lewis presenta quindi in forma di saggio i fatti di cui io parlo nel romanzo - che Shakespeare era un truffatore e un profittatore, e che il vero autore delle opere che portano il suo nome ha dovuto lasciare l’Inghilterra a causa di una condanna a morte per eresia.

                         

Come mai la scelta di questo pseudonimo per il romanzo?

Mentre Desmond Lewis è un nome inventato, John Underwood è un nome di famiglia, risalendo indietro di molte generazioni da parte di mio padre. Il suo nome era John Underwood Ayres e il padre di sua madre fu il fondatore della compagnia che produsse le macchine da scrivere Underwood, e la linea di discendenza arriva fino ai tempi in cui Shakespeare intratteneva rapporti con la Globe Theater Company, in quanto uno degli appartenenti alla compagnia era un giovane attore di nome John Underwood. Di nuovo, una storia nella storia.

                            

Il saggio firmato Lewis è edito in lingua inglese, ma il romanzo firmato Underwood no: cosa ne pensi della questione?

Come ho detto prima, il mio agente già da sette anni ha venduto i diritti del romanzo a degli editori - fra cui la Newton Compton di Roma - ma nessun editore di lingua inglese si è dimostrato interessato all’acquisto. Spero che la situazione cambi, ma finora anche il saggio pubblicato come “Desmond Lewis” rimane inedito, in definitiva, visto che è pubblicato da me, il suo autore, il che non è mai una buona cosa!

Io pubblicherò una versione corretta del testo per la fine dell’anno e il romanzò vedrà una versione pubblicata a livello professionale da un amico editore qui in Seattle, Luanne Brown, dedicata al pubblico di lingua inglese.

Ci tengo a sottolineare che l’editor della Newton Compton, Olimpia Ellero, ha fatto davvero un ottimo lavoro, sottoponendomi alcuni errori importanti che ho potuto così correggere.

                       

Senza rivelare troppo della storia del tuo romanzo, chi pensi abbia scritto realmente le opere di Shakespeare?

Sono d’accordo con Emmerich e il suo sceneggiatore che non fu di sicuro Shakespeare. Sono in disaccordo sul fatto che il vero autore fosse Oxford, che le prove rivelano chiaramente essere poco più che un altro viziato membro della classe “nobile” che amava ogni tanto dilettarsi nella scrittura di alcuni (pessimi) poemi. Le prove che io ho trovato indicano un altro autore, che ora non svelerò, e sono tutte nel mio romanzo.

                          

Hai già visto (o vedrai) il film “Anonymous” di Roland Emmerich? Credi che una semplice sceneggiatura (per forza stringata e senza bibliografia) possa spiegare bene un mistero così complesso?

Rhys Ifans in "Anonymous"
Rhys Ifans in "Anonymous"
Non ho ancora visto il film, ma lo farò. Dalle recensioni che ho letto sospetto che abbiano fatto una storia troppo complicata, con molti personaggi e poco sviluppo, ma giudicherò dopo averlo visto. In ogni caso sono più che certo che le conclusioni del film siano fallaci.

                          

Tornerai a scrivere di William Shakespeare?

Sì, sto già pianificando un sequel del mio romanzo, e spero che per farlo potrò passare un po’ di tempo in Italia, dove così tante opere shakespeariane sono ambientate, e per una buona ragione (Shakespeare non mise mai un piede fuori dall’Inghilterra). Sono convinto che ci siano altri documenti e fatti da scoprire nel vostro Paese, casa del Rinascimento, dove il Vero Autore si è andato a rifugiare durante il suo esilio.

Ci sono ancora capitoli da scrivere o da raccontare, ambientati nelle città del nord dove il Vero Autore molto probabilmente si nascose, inclusa quella Padova dove Calvin Hoffman scoprì la sua discendenza e la sua tomba, nonché una data di morte intorno al 1620, che calza a pennello con la storia. Mi piacerebbe scoprire quella tomba e seguire la pista da lì. Così sto pianificando un seguito che sarà in buona parte ambientato in Italia: per l’occasione cercherò di imparare un po’ di italiano, come quasi certamente dovette fare il Vero Autore a suo tempo.