È il momento di un breve sguardo alla storia dei “libri falsi”, alla ricerca del momento in cui sono diventati maligni...
Ogni titolo qui citato (tranne l’ultimo) è stato trattato in precedenti articoli di questa rubrica, a cui si rimanda per eventuali approfondimenti.
Era il 1532 quando apparve in Francia il Pantagruele di François Rabelais, e quando i lettori si trovarono davanti a qualcosa di inedito che davvero non si aspettavano: un gioco sottile e sfacciato, intellettuale e volgare, umoristico e dissacrante. Era il grande gioco degli pseudobiblia (ante litteram, ovviamente, visto che il termine è nato nel 1947).
Nel celebre elenco della Libreria di San Vittore ci sono tanti titoli - circa 150! - e fra di loro è davvero difficile separare i reali dai libri giocosamente irriverenti. Dall’irresistibile “Ars honeste petandi in societate” al “De modo faciendi boudinos”; da “Il Fichino delle Pulzelle” a “Il Culo spelato delle vedove”; da “Il Soffietto degli alchimisti” a “Il Friggiculo dei poetastri”. Rabelais si divertì un mondo nell’impresa pantagruelica di stilare un infinito elenco di libri dai titoli più incredibili, e allo stesso tempo lanciò una moda.
Già nel 1551 il nostrano Francesco Doni volle - non dichiaratamente - imitare il Francesco transalpino stilando un “Seconda libraria” che prendesse in esame tutti i manoscritti italiani non pubblicati. La natura di questi testi, cioè il non aver conosciuto stampa, è un argomento delicato: che prove ci sono che questi manoscritti esistessero? Su questo gioca il Doni e regala anche all’Italia il suo pantagruelico elenco di titoli fantasiosi. C’è Luca Scalandrone con il suo “Della bontà delle ruote, d’arrotare di tutte le sorte d’armi”; c’è Leprone Mignatta con il suo “Trattato di tutte le forti reti, paste, trappole, & istrumenti da pigliar pesci. Nuovi modi da star molto sotto l’acqua” e via dicendo.
Per secoli gli scrittori si sono divertiti, più o meno velatamente, ad aderire al grande gioco degli pseudobiblia: i loro “libri falsi” potevano servire giusto come escamotage letterario, ma anche come satira sociale.
Tutto questo, però, finì con il finire dell’Ottocento: nel 1895 l’arrivo de “Il Re in Giallo” trasformò il gioco in qualcosa di maligno...
Il celebre King in Yellow di Robert William Chambers cambiò il modo di intendere il “libro falso”, che da squisito strumento di satira - se non di vero e proprio umorismo - diventò oggetto legato all’occulto, al Maligno, al male in generale e a tante altre cose poco simpatiche.
Malgrado Chambers in realtà diede scarsissimo risalto al suo pseudobiblion, l’idea di un libro che faccia da porta per dimensioni maligne - o comunque “altre” - mise radici in scrittori futuri come Howard Phillips Lovecraft, che nel 1927 creò il più celebre ed imperituro degli pseudobiblia: il “Necronomicon”. Fra queste due date merita una citazione “L’album del Canonico Alberico” (1908) di Montague Rhodes James, racconto in cui il protagonista sfoglia una raccolta di testi esistenti ma messi in modo da... evocare Satana! Stesso discorso per il terribile “Codex Nazaraeus” inventato da Gustav Meyrink nel 1917 per il racconto “Il cardinale Napellus”, un libro antichissimo che svela ad una setta segreta rituali innominabili.
Chambers ha aperto davvero un portale, anche se non è quello che porta in dimensioni parallele ed infernali: è quello che porta allo pseudobiblion maligno.
Ma l’ha aperto davvero lui questo portale?
Chambers sicuramente leggeva con attenzione i racconti del mistero scritti dai suoi colleghi, così non ci stupisce che pochi anni prima che il protagonista de “Il Re in Giallo” scoprisse la città di Carcosa in un’altra dimensione, esperienze molto simili erano vissute dal protagonista di “Un cittadino di Carcosa”, firmato Ambrose Bierce. (Pioniere di un numero impressionante di idee letterarie!) È il naturale processo della creatività: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto scorre - a dirla con le parole di Eraclito. Bierce racconta in un testo le esperienze di Carcosa, e Chambers fa leggere al suo protagonista un libro in cui si raccontano le esperienze di Carcosa: cos’altro è questo se non puro gioco letterario?
Ma noi stiamo cercando chi per primo abbia concepito un libro falso come elemento soprannaturale e soprattutto malvagio, e affermare - com’è usanza di chi si occupa dell’argomento - che tutto nasca da Chambers non è proprio esatto.
Qualcosa di giallo c’era già stato...
Perché il Re è in Giallo? Perché questo colore, visto che non ci sono attinenze nel testo? Si può pensare ad un’altra fonte ispiratrice, come il racconto “Le Roi au masque d’or” di Marcel Schwob che probabilmente Chambers lesse mentre studiava a Parigi. Ma l’oro è una cosa, il giallo è un’altra. (E poi nel testo francese non si parla di libri.)
Non sembra esistere una risposta “ufficiale” al riguardo, così ne forniamo una nostra: probabilmente Chambers ebbe l’idea del colore giallo quando nel 1891 lesse in volume un racconto apparso nel luglio dell’anno precedente sul Lippincott’s Monthly Magazine. Mentre ancora in Europa si rideva di chi giudicava reali i libri presenti nel Catalogo Fortsas - stilato con il chiaro intento di prendersi gioco di librai e bibliofili - un misterioso Libro Giallo avvelenava la vita del protagonista de “Il ritratto di Dorian Gray”.
«Lo sguardo gli cadde sul libro giallo che Lord Henry gli aveva mandato», scrive Oscar Wilde nel decimo capitolo del suo racconto. (Curiosamente l’ottimo Masolino d’Amico traduce “color ocra”, ma l’originale yellow book non lascia adito ad interpretazioni.) «Che cosa era? [...] Era il più strano libro che gli fosse mai capitato tra le mani. Gli sembrava che tutti i peccati del mondo, in vesti preziose e al delicato suono di flauti, gli passassero dinanzi in silenzioso corteo. Cose appena sognate si facevano improvvisamente reali per lui; cose che non aveva neppur immaginato in sogno gli si andavano rivelando.» Ufficialmente, ci troviamo di fronte ad uno pseudobiblion maligno!
Per quanto questo libro senza nome sia appena citato nel testo, lo stesso ha un’importanza fondamentale nella storia del giovane protagonista. «Per molti anni Dorian Gray non poté liberarsi dell’influenza di quel libro» viene raccontato all’inizio dell’undicesimo capitolo. «Tutto il libro gli sembrava contener la storia della sua vita, scritta prima che egli l’avesse vissuta.» Il gioco letterario è completo...
Ci sono scuole di pensiero che cercano d’identificare il libro che Wilde lasciò senza titolo: c’è chi dice che il Libro Giallo fosse “Controcorrente” (À Rebours, 1884) di Joris Karl Huysmans, c’è chi dice che fosse “La signorina di Maupin” (Mademoiselle de Maupin, 1836) di Théophile Gautier. Quello che a noi interessa è che l’inaspettato Wilde abbia non solo partecipato al gioco degli pseudobiblia, ma che abbia anche creato il prototipo del “libro falso malvagio” che tanto successo ha avuto in seguito.
Già negli anni immediatamente successivi all’uscita del “Dorian Gray” il colore di quel libro fu ispiratore: prima che apparisse Il Re in Giallo, nacque la rivista “The Yellow Book”, su cui Wilde non scrisse mai ma che allo scrittore di Dublino sempre si ispirò. Vi apparvero anche scritti di Max Beerbohm, amico ed estimatore del buon Oscar nonché autore, nel 1919, del geniale gioco letterario dal titolo “Enoch Soames”.
Suona un po’ azzardato considerare Oscar Wilde come fondatore del concetto di “libro falso maligno”: semplicemente il suo Libro Giallo è un passaggio imprescindibile nell’evoluzione dal gioco letterario al portale verso altre dimensioni.
In attesa che nel 2012 lo scrittore newyorkese Joseph S. Pulver pubblichi la sua antologia “A Season in Carcosa” - che raccoglie storie scritte da autori contemporanei - non possiamo che constatare che un flusso creativo secolare in pochissimi decenni ha trasformato un divertissement letterario giocoso in un vero e proprio impianto maligno per trattare argomenti ben poco rassicuranti.
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