In un precedente articolo di questa rubrica (n. 64, “Bestseller, la sottile arte del plagio”) abbiamo presentato alcune storie filmico-letterarie che vertono su uno stesso topos: uno scrittore di successo senza più idee si ritira in un’abitazione isolata e qui ha un incontro soprannaturale che gli dona nuova ispirazione. È un tema evidentemente molto sentito, visto che è imminente l’uscita del film “Twixt” scritto e diretto da Francis Ford Coppola.
Malgrado abbia affermato di aver ricevuto in sogno la storia del film, il celebre regista non fa che riproporre temi ultra-classici dell’horror, con giusto una piccola variante del genere appena descritto. “Twixt” racconta infatti la storia di Hall Baltimore (Val Kilmer), uno scrittore di successo senza più idee, che - durante un viaggio promozionale per vendere il suo ultimo libro, “Witch Hunter” - si ritrova in una cittadina isolata. Qui l’uomo ha strani sogni, dove viene a visitarlo una vampira bianca con gli occhi rossi (ci mancava si chiamasse Lamia e poi il luogo comune era completo!): sono avvenuti degli strani eventi in quella città, e glielo conferma niente meno che Edgar Allan Poe (Ben Chaplin)... Tutti questi eventi soprannaturali fanno sì che Baltimore segua il percorso tracciato dagli scrittori di cui si è visto nel citato articolo di questa rubrica: “ruba” le idee ai fantasmi per il suo prossimo libro, “The Vampire Executions”.
Il film è già stato presentato al Festival Internazionale del Film di Toronto (dov’è stato definito il “film più stupido” del regista): in attesa di una sua non ancora specificata data di uscita nelle sale, è il caso di parlare di due storie dello stesso genere che però, per alcuni particolari, se ne discostano leggermente.
Ancora nel 2009 l’argomento “scrittori che si isolano” era degno di attenzione, tanto che anche Kevin Costner - nella sua decennale ricerca di un film almeno decente - ha voluto tentarne la strada. “The New Daughter” di Luiso Berdejo (il celebrato regista spagnolo di “Quarantine”) è un tentativo fallito, ma di sicuro un’ottima occasione per giocare con i dettami di cui stiamo parlando.
John James è uno scrittore forse non di successo, ma di sicuro conosciuto. Persa la moglie, prende la figlia dodicenne Louisa (Ivana Baquero) il figlioletto di otto anni Sam (Gattlin Griffith) e si ritira in una casa di campagna isolata nel South Carolina. Non lo fa per trovare ispirazione, come i suoi illustri colleghi, bensì per cercare di riallacciare il rapporto con i figli - cosa che evidentemente in città non poteva fare.
«Ho letto il suo libro, “Linea di fuoco” (Lines of Fire), due volte: sono una sua fan» gli dice una donna del posto. «Scusi... non avrei dovuto dirglielo.»
«È sempre meglio una fan che un critico!» è il condivisibile commento dello scrittore, il quale in realtà ha la coscienza un po’ sporca. «Credo di avere già pronti due capitoli» ha detto poco prima per telefono al proprio editore, per tenerlo buono e far passare il fatto che ha deciso di andarsene in campagna: in realtà del suo nuovo romanzo ha scritto solamente una parola... anzi un articolo: «The».
Così, in sospeso, rimane l’aspetto letterario del film, sceneggiato dal quasi esordiente John Travis (scomparso poi dalla scena cinematografica) basandosi sul racconto omonimo di John Connolly apparso nell’antologia “Nocturnes” del 2005 (inedita in Italia).
John crede che l’unico suo problema sia la crisi adolescenziale della figlia, in realtà c’è ben altro: come ogni altro scrittore che si sia ritirato in una casa isolata, anche stavolta c’è un elemento soprannaturale che si insinua nella storia: Louisa trova una strana sepoltura, vicino alla casa, ne raccoglie dei manufatti e comincia una sua progressiva trasformazione in “qualcos’altro”... una nuova figlia.
Nel testo originale il protagonista non è un romanziere, e questo spiega perché nel film questo aspetto sia bellamente dimenticato (forse è nato come omaggio al fatto che il film fosse tratto dal testo di un romanziere famoso): dopo le citazioni qui riportate, non esiste altra traccia del mestiere di John, il quale evidentemente può permettersi di non lavorare per stare appresso alla sua “nuova” figlia. Il procedere scontato e banale della pellicola lascia veramente insoddisfatti: non è ancora il momento per Costner di azzeccare un film...
Di tutt’altra pasta è “Images”, scritto e diretto da Robert Altman nel 1972: più che un film è un viaggio nel delirio più profondo.
Cathryn (Susannah York) è una scrittrice di romanzi fantasy per l’infanzia: tutta la vicenda del film sarà inframmezzata da estratti dal suo libro senza titolo. La donna ha dei problemi e lo si capisce subito: mentre parla con il marito, tutto d’un tratto... l’attore cambia! La donna vede un altro uomo al suo fianco e ne è giustamente atterrita. Cathryn soffre di allucinazioni... o forse è il mondo ad essere un’unica immensa allucinazione?
Fra sequenze di sottile inquietudine e deliri totali, la storia vede Cathryn e il marito rifugiarsi in un isolato chalet di montagna perché lei possa riposare (anche se non viene proprio specificato) e lui cacciare. Anche se lei non è lì per cercare ispirazione - come i suoi illustri colleghi - lo stesso allucinazioni ed apparizioni riempiono la scena e la storia procede in modo schizofrenico, mentre la protagonista recita brani dal suo libro.
Ma che libro è?
Il gioco di Altman punta molto sullo pseudobiblion letto da Cathryn, perché anche quello è fonte allucinogena! Non pago di aver aderito al grande gioco degli pseudobiblia, Altman rincara la dose creando un libro che non esiste a tal punto... da essere vero! Il libro scritto/letto da Cathryn in “Images” è il ben esistente “In Search of Unicorns”, romanzo fantasy per l’infanzia scritto da Susannah York... cioè l’attrice che interpreta Cathryn.
È un delizioso gioco di specchi che vede il personaggio leggere ciò che l’attore ha scritto, rendendo falso ciò che è vero: la York - con la grande bravura che fu premiata quando il film fu presentato al Festival di Cannes - veste il doppio ambiguo ruolo di autrice e lettrice, di scrittrice e scrittura. Autori migliori hanno messo in piedi giochi molto simili, come Donald Westlake che faceva leggere ad un suo personaggio un libro scritto da Westlake stesso sotto lo pseudonimo di Richard Stark. Ma questi giochi sono finzioni, perché o i libri o gli autori in questione non esistono. Altman e la York mettono in atto il più vero dei falsi letterari, perché inseriscono in una vicenda falsa un libro vero, mascherandolo da pseudobiblion.
Questo è il gioco di “Images”... o forse no?
La locandina che vedete qui riportata si riferisce al libro in questione, firmato da Susannah York e illustrato da Patricia Ludlow - ed acquistabile su Amazon! - che però risulta edito da Hodder & Stoughton nel 1973, cioè un anno dopo l’uscita del film. È normale: un film di un regista famoso può dare grande risalto ad un libro che in esso venga citato, così da giustificarne la pubblicazione - che quindi segue il film, e non lo precede. La York dunque non stava leggendo un libro esistente, bensì le bozze di un libro ancora inedito... e quindi a tutti gli effetti uno pseudobiblion fino al 1973!
Esistono scrittori che trovino ispirazione al bancone del bar? Certo. Esistono scrittori che non abbiano i mezzi per ritirarsi in una casa isolata in campagna? Certo. Esistono scrittori che non abbiano mai avuto incontri paranormali? Forse, ma tutto dipende da cosa consideriamo “normale”...
Rimane il fatto che a scrittori e sceneggiatori piace giocare con lo stesso gruppo di memi per creare il già creato, per scrivere ciò che già è stato scritto, e fingere che sia tutto nuovo... perché in fondo ogni gioco, al suo ripetersi, è nuovo.
Giochi di specchi, giochi letterari, giochi di finzioni e di allucinazioni: tutto questo è il grande “virus della letteratura”, il cui risultato è ciò che noi - a torto - chiamiamo realtà.
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