“Come ogni mattina
con inevitabile ineluttabilità
il sole sorse.”
Con queste parole, posizionate in tre punti distinti della prima tavola, e con le prime immagini del volto (perennemente triste) del protagonista che si rialza dopo una notte evidentemente priva di sonno e sogni, inizia Una morte sospetta, straordinario graphic novel, opera prima dell’inglese Hannah Berry. E proprio in questo incipit che troviamo dichiarato un filo che unisce questo fumetto d’autore dalla prima all’ultima tavola: l’inevitabile ineluttabilità.
Come predilige la formula del noir classico, anche Una morte sospetta viene narrato in prima persona dal protagonista, tale Fernández Britten, ecuadoregno trapiantato nella Londra degli Anni Trenta/Quaranta.
Britten ha un soprannome che lo segna dolorosamente: lo Spezzacuori. Colpa del suo lavoro. Delle conseguenze delle sue investigazioni. Sì, perché Britten è un “consulente investigativo”. Una professione che, scelta dieci anni prima con l’eroico obiettivo di aiutare l’umanità ed estinguere il male, lo ha invece portato ad estinguere il suo conto in banca, ma soprattutto lo ha costretto a scavare nelle torbide e sbagliate verità dei rapporti familiari, e delle relazioni tra moglie e mariti, e amanti. Verità che lui, professionalmente e con estrema schiettezza, reca ai suoi committenti, recidendo puntualmente ogni loro residua speranza. Spezzando cuori illusi, sì, ma sino a quel momento ancora integri, per quanto incerti.
Ma per ogni penosa verità, anche il cuore di Britten si stanca, si consuma. Si spegne. Il suo cinismo e la sua freddezza sono gusci che proteggono e insieme imprigionano un’anima disillusa e desolata, gravata di rimorsi, pregna di fatalismo. Uno spleen greve che gli tumorizza l’anima, all’ombra di un dubbio radicato: che la franchezza non sia sempre la soluzione. Che la verità non sia sempre la via per la felicità.
Qualche tempo prima, il suo assistente gli ha suggerito di “selezionare più attentamente i lavori da accettare. Niente più amanti gelosi o vendicativi“. Consiglio forse sensato, ma che di certo lo ha lasciato quasi senza lavoro. Ah, dimenticavo: l’assistente si chiama Brülightly (vedi il titolo originale dell’opera). Non è un uomo, né una donna. E’ una bustina da thè. Con cui Britten dialoga attivamente, perché Brülightly ha le sue, di opinioni. Situazione quantomeno bizzarra, da teatro dell’assurdo, se volete. O da caso psichiatrico, se preferite.
Un giorno, Britten viene contattato da una potenziale cliente, Charlotte Maughan, figlia di un importante e ricco editore. Il suo fidanzato, Berni Kudros, si è suicidato. Ma Charlotte non ci crede per niente, che Berni si sia tolto la vita; ritiene sia stato piuttosto un omicidio. Britten viene convinto da Brülightly ad accettare il caso, che si rivelerà da subito complesso. L’investigatore lo risolverà, e nel frattempo farà i conti con i suoi sensi di colpa e le sue scelte. Fino a un finale degno di eccellente noir quale Una morte sospetta indubbiamente è.
Questo graphic novel mi ha conquistato sin dalle prime tavole. E’ delicato e insieme forte, è profondo ma nel contempo fluido. Credo che Hannah Berry sia una donna di estrema sensibilità, oltre autrice di spiccate doti di narratrice e disegnatrice, che peraltro ben conosce i parametri del genere con cui si misura. Non solo, li conosce: li personalizza e valorizza. Si bilancia tra scenari e inquadrature che riportano allo stile americano, soprattutto dello schermo, ma con suggestioni e atmosfere che molto devono al gusto francese, anche nell’approccio all’illustrazione e alla concessione al surreale. In tal senso, un noir che a tratti si sposta dal cinema al teatro.
Ma attenzione: la Berry non cade nella trappola del semplice citazionismo; fa suoi i fondamenti del noir e del neo noir e trae ispirazione da tanti maestri della narrativa, del cinema e del fumetto, ma l’interpretazione è tutta sua.
Graficamente parlando, Una morte sospetta è un noir di grigi e di seppiati, e di sfumature di alcuni colori (verdi, marroni, violetti…) tutti altrettanto smorti. Tempere spente, intrise di tristezza. Di senso di perdita, di incompiutezza, di malessere. Di infelicità.
Le inquadrature sono invece molto varie, sia per soggetti che per prospettive, tra primi piani, particolari, parti di espressione, campi lunghi, tavole a pagina piena. Un disegno che si apprezza in ogni singolo elemento, proprio perché pensato, curato e vissuto in ogni singolo elemento.
Spesso, è la pioggia a dominare gli esterni. Una pioggia che non lava ma nemmeno è sporca. E’ onnipresente. Da lettore, la vivi come fredda, penetrante. Trasmette un disagio non profondo, ma nondimeno permeante e continuo. Se anche viene detto che il sole sorge all’inizio del romanzo, non ne vedrete mai un raggio illuminante in tutto il libro.
E’ incredibile poi come la Berry riesca nell’operazione di costringere Britten in un volto così statico, perennemente cupo, con gli occhi cerchiati e le labbra piegate all’ingiù, sotto i baffetti sottili, eppure nel contempo a dargli un’espressività che nonostante tutto pare mutare ad ogni situazione. Ad ogni personaggio. Ad ogni scena. Quasi una lente attraverso cui guardare, un po’ opaca, certo, ma che ci consente di ingrandire le immagini, e scoprirne i particolari.
Ottimamente condotti tutti i dialoghi, e ancora meglio tutti i silenzi.
Il dramma presente nella vicenda si coniuga con una vena d’amara ironia, la poesia con la crudezza, la realtà con un tocco di felice surrealismo.
Una volta tanto, mi sento di quotare appieno lo strillo di copertina del libro: “Un connubio perfetto tra disegno e racconto” (The Times). Sceneggiatura e illustrazione sono in effetti strumenti perfettamente accordati che suonano la medesima, coinvolgente, musica.
Spero proprio che questa perla non rimanga un caso isolato nella produzione di Hannah Berry, un guizzo impareggiabile destinato a non ripetersi. Perché sarebbe un vero peccato non poter godere ancora di tanto straordinario talento.
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