Un artiglio nel ventre.
La fitta è tremenda. Rantolo. Non mi sarei mai aspettata un dolore così grande.
Il tempo di un respiro, nemmeno troppo profondo. Poi: una nuova ondata di dolore, che per un lungo momento schiuma su ogni altra emozione, affoga ogni altro pensiero. Persino sul terrore dell’apocalisse annunciata.
È la Fine del Mondo.
Questo ci hanno detto. Prima i ciarlatani. Poi, chi della Fine ha fatto mercato, per lucrare divertendoci. Poi, però, è stata la volta degli scienziati. Della TV. E dei giornali: quelli veri, non i tabloid. Tra i religiosi, c’è chi ha alzato il vessillo della collera divina, epuratrice, e chi invece ha promesso la redenzione finale. Infine, persino i politici, maestri di menzogne, si sono arresi. Abbandonandoci alla pazzia collettiva.
La stanza è isolata, ma mi pare comunque di sentire le urla della città. Sirene, spari, esplosioni. La rabbia di chi non vuole morire, e perciò uccide o si fa ammazzare.
Sola, qui dentro, io soffoco le mie, di urla.
Se ne sono andati tutti. Il dottore, l’infermiera. Anche Franca. E persino colui che diceva di amarmi.
Ho paura. Sto male. Ma non voglio lasciarmi andare. Non mi arrendo. Non credo alla Fine del Mondo. Non credo a nessuno di voi. Non credo nemmeno più in Dio.
Un altro spasmo. Mi mordo le labbra, assaporo la mescita di sangue e lacrime.
Sangue e lacrime: vita.
- Sono qui.
La voce mi fa sobbalzare. Franca, l’ostetrica, è tornata. Almeno lei.
- Grazie. – Allungo la mano a lambirle il camice verde.
- Sarà una bella bambina – m’incoraggia Franca, anche se la sua voce trema di pianto e tristezza. S’inchina tra le mie cosce, s’inchina alla speranza.
Io non ci credo, a questa Fine del Mondo.
Non voglio e non posso farlo.
Invece, stringo i denti e spingo, guidata dalla levatrice. Spingo fino a che non vedo mia figlia, tra sangue e placenta. Fino a che non fremo al suo primo vagito. Fino a che non sento il suo calore scaldarmi il petto.
‘Fanculo tutto e tutti.
Il futuro esiste.
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