Serpenti a sonagli (Guanda,2 011) è una raccolta di racconti lunghi e variegati in cui Irvine Welsh propone diverse situazioni borderline o comunque casi limite della più variegata umanità. A partire dal primo, l’eponimo del libro, appunto, Serpenti a sonagli: tre amici – Eugene, Scott e Madeline – inghiottiti dal deserto del Nevada, si ritrovano a trascorrere la notte in una tenda, ma non saranno sonni tranquilli. Soprattutto se da quelle parti passano rettili e predatori umani, abili ad approfittare di situazioni allucinanti. Con un realismo esasperato (è stato accostato ai veristi, ad autori come Balzac o Zola eppure anche a Miller, Burroughs, Easton Ellis o anche a Palahniuk e Houellebecq) ma allo stesso tempo visionario e scanzonato che non lo abbandona per l’intera opera, Welsh regala al lettore momenti e ritratti indimenticabili:

«E Madeline, Addormentata lì, sul sedile di fianco a lui, lui che fissava le sue lunghe gambe nude; l’abbronzatura esaltata dalle strie di sudiciume, stranamente arrapanti, che la facevano sembrare una sporcacciona, ma proprio di brutto, come una lottatrice nel fango asciugata e puttana: e poteva vedere quelle gambe su, su fino agli hot pants di jeans... che gli correvano incontro in un campo arato... sulle spalle la cascata di lunghi riccioli pesanti di polvere del deserto».

Per non parlare dei dialoghi: realistici, fedelissimi al parlato, e a tal proposito va un plauso al traduttore Massimo Bocchiola che, nello specifico del primo racconto, ha saputo rendere con perfetta verosimiglianza nel personaggio di Alejandro, quello che da noi viene definito itañol, il gergo metà italiano metà ispanico degli immigrati che non abbandonano la loro lingua ma non parlano ancora perfettamente la nuova (impresa non facilissima, ndr).

Irvine Welsh del resto si dichiara un appartenente alla tradizionale letteratura della working class anglosassone, di cui avrebbe solo aggiornato forma e sostanza e la sua opera è inscindibile dal sobborgo portuale di Leith, a Edimburgo, dov’è nato e cresciuto. Uno stile espressivo e contaminato con il parlato, dunque, e ve lo ricorderete: in Trainspotting, ad esempio, l’opera che gli ha dato notorietà anche grazie alla trasposizione cinematografica di Boyle, ha utilizzato il dialetto scozzese perché più funky rispetto allo Standard Englis. Ma non è solo nello stile che si esalta la grandezza di quest’autore. Anche nelle situazioni folli e originalissime: un libro da leggere, non vi deluderà.