Quattro grandi produzioni cinematografiche ci aspettano, a partire da settembre, per tornare a parlare di un genere troppe volte dato per finito ma che ha sempre dimostrato di avere ancora tanto da dire: lo spionaggio.
Se sia il caso di parlare di “rinascita” del genere l’abbiamo chiesto ad Andrea Carlo Cappi, scrittore di lunga data che con Vallardi nel 2010 ha pubblicato il più che esaustivo ed approfondito saggio Le grandi spie.
«Non so se si possa parlare di rinascita del cinema spionistico, - ci ha detto l’autore, - perché in un certo senso non è mai andato via - per citare la battuta finale di Quantum of Solace. Lo spionaggio è stato dato per spacciato come genere parecchie volte, potremmo dire quantomeno ventidue anni fa con la caduta del Muro e dieci anni fa con il crollo delle Twin Towers. Si direbbe quasi che ci siano persone che non aspettano altro, quasi dovessero trarne una soddisfazione o un tornaconto personale. In realtà lo spionaggio come genere finirà solo quando non ci saranno più spie nella realtà. Certo, non c’è più la quantità di agenti segreti cinematografici e televisivi degli anni ’60, quando la spy story aveva avuto un boom sull’onda di 007 e spesso si mescolava con la fantascienza o l’ottimistica fantatecnologia dell’epoca. Ma giusto un anno fa uscivano l’umoristico Knight & Day, in cui al fianco di Cameron Diaz un Tom Cruise stranamente brillante faceva la parodia del suo personaggio in Mission: Impossible, e Salt in cui Angelina Jolie percorreva vecchi sentieri da Guerra Fredda (anche se la versione distribuita in sala era notevolmente inferiore di quella molto più riuscita del Director’s Cut visibile nell’edizione in DVD).»
Passiamo ai quattro film che ci attendono.
A settembre, prima ancora dell’uscita in patria, verrà presentato al Festival di Venezia (per poi arrivare in sala a gennaio 2012) La talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy), dove attori del calibro di Gary Oldman e Colin Firth sono diretti dallo svedese Tomas Alfredson, impostosi sulla scena europea grazie al successo del suo film Lasciami entrare (2008). I quasi esordienti Bridget O’Connor e Peter Straughan (quest’ultimo però ha adattato per il cinema L’uomo che fissa le capre) hanno avuto il delicato compito di trasformare in sceneggiatura il romanzo omonimo scritto nel ’74 dal celebre John le Carré.
«Quando ho visto il manifesto del film mi sono domandato se non sia una sfida pericolosa confrontarsi con l’ottimo adattamento televisivo con Alec Guinness realizzato pochi anni dopo l’uscita del romanzo, quindi con i colori e le atmosfere dell’epoca, oltre che con sceneggiatura e interpreti impeccabili. È vero che siamo in tempi di remake, ma dato che Le Carré si rivolge a un pubblico di un certo livello e non a quello più “generalista” dei blockbuster, il nuovo film ha l’obbligo di reggere un duplice confronto.»
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Il 23 settembre approderà sugli schermi USA Killer Elite: non ci si lasci ingannare dal titolo, non è il remake del film omonimo del 1975 diretto da Sam Peckinpah. Il regista di spot televisivi Gary McKendry (un cui cortometraggio è stato candidato gli Oscar) porta sullo schermo il romanzo The Feather Men di Sir Ranulph Fiennes, dove nei ruoli protagonisti troviamo pezzi da novanta del calibro di Jason Statham, Robert De Niro e Clive Owen.
Quando nel 1991 il romanzo (inedito in Italia) uscì in patria, creò molto scalpore. Si parlava di un corpo segretissimo di soldati scelti e pluri-addestrati, abituati ad affrontare quelle missioni “sporche” che il Governo non ammetterà mai di conoscere: questo team si chiamava The Feather Men (gli uomini piuma). La controversia nacque dal fatto che la casa editrice Bloomsbury presentò il romanzo come “true adventure”, avventura sì ma con un fondo di verità, e Fiennes affermò di aver riportato le tecniche e le imprese del gruppo così come gli stessi Feather Men gliene avevano parlato: anzi loro stessi volevano che lo scrittore presentasse al mondo una specie di loro biografia.
Ovviamente il Governo britannico ha negato fermamente che siano mai esistiti questi “uomini piuma” così come ha bollato come romanzesche le avventure ad essi attribuiti: dove sarà la verità?
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A dicembre sarà la volta di Mission: Impossible 4 - Protocollo fantasma (Ghost Protocol), con l’immarcescibile Tom Cruise e l’attore comico britannico Simon Pegg diretti dallo specialista dell’animazione Brad Bird (qui al suo primo film con attori veri!) Fra i molti produttori risulta lo stesso Cruise e l’“uomo del mistero” J.J. Abrams.
«Di questo ho appena visto il trailer, che sembra porre il quarto episodio sulla linea dei precedenti. A dire il vero il migliore rimane il primo anche se nessuno dei tre film sinora usciti ha ripreso appieno il concetto originale della serie TV di cui riprende il titolo, in cui non tutti gli episodi saranno stati dei capolavori ma l’aspetto davvero originale erano le trame. La missione non era impossibile perché il protagonista doveva esibirsi in mille acrobazie, bensì perché il gruppo di agenti in gioco doveva infiltrarsi in organizzazioni nemiche per distruggerle dall’interno, trarre in inganno gli avversari per metterli uno contro l’altro; per fare questo usavano, soprattutto, le maschere... di Diabolik (visto che è stato lui il primo a usarle, quattro anni prima che cominciasse la serie TV negli USA). I meccanismi delle sceneggiature quindi dovevano essere altrettanto perfetti, o almeno si ragionava in funzione di un pubblico giudicato attento e intelligente.»
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Bisognerà invece attendere la fine del 2012 per il nuovo James Bond filmico (che per il momento viene chiamato solo Bond 23), interpretato dal solido Daniel Craig affiancato stavolta da un attore del calibro di Ralph Finnies. Nel team di sceneggiatori troviamo quel John Logan che ha firmato pellicole come Ogni maledetta domenica, Il gladiatore, Star Trek la Nemesi, Last Samurai ed altri successi.
«Secondo me è stato un errore intervenire troppo pesantemente sulla sceneggiatura di Paul Haggis in Quantum of Solace, fino a convincerlo ad andarsene dalla serie. Il Casinò Royale scritto da Haggis, che aveva l’arduo compito di lanciare un nuovo interprete e far ripartire la serie da zero, funzionava perché il film era sufficientemente lungo da avere un perfetto sviluppo romanzesco, che univa lo stile dei libri di Fleming (più duro e noir di quanto visto nella maggior parte dei film di 007, specie quelli più umoristici e fantascientifici) alle esigenze di raccontare una spy-story in un mondo post 11/9, meno propenso a credere agli eroi che salvano il mondo. Il successivo Quantum of Solace alla fine è stato privato di parte della trama ed è risultato oltretutto uno dei più brevi della serie, sacrificando molti aspetti che solo uno spettatore molto attento riusciva a cogliere. Non sarà rimettendo in scena - come molti sperano - Q e Moneypenny o le gag che funzionavano alla perfezione negli anni ’60 che si rilancerà 007, ma seguendo l’esempio di Haggis, che sapeva mettere l’ironia al posto giusto e senza eccessi, ma si ricordava soprattutto che James Bond è un personaggio di Ian Fleming ed è questo che lo rende unico.»
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