È un paese che non c’è più quello narrato da Giovanni Russo nel suo libro L’Italia dei poveri, edito dalla prestigiosa casa editrice Hacca. È l’Italia raccontata da un intellettuale meridionale che ha scritto una serie di articoli tra il 1950 e il 1957 per Il Mondo di Pannunzio, girando le strade del bel paese, le sue fabbriche e le campagne e per riportare nella pagina scritta lo spirito e le condizioni dei suoi abitanti.
Questa sorta di descrizioni dal vero, toccanti, in cui per lunghi tratti si incontrano anche elevati e sinceri passi di letteratura di impegno civile e sociale, si presenta come un’inchiesta curata e approfondita, ma in realtà va più in là, rivelandosi vera e propria testimonianza.
Grazie a Russo diremmo, usando un linguaggio d’élite e squisitamente borghese, un po’ fuori moda. Sì, con i tempi che corrono forse può apparire fuori moda, ma è un linguaggio che non ci appartiene, perché la moda a volte è lontana dalla storia. Grazie allora a Russo per questa testimonianza diretta e questo libro ne è una felice prova.
Apparso nel 1958 per Longanesi, ristampato nel 1982 da Marsilio e ora riproposto da Hacca, L’Italia dei poveri è stato scritto tra gli anni della ricostruzione del paese dopo il ventennio e il boom economico, in una situazione economicamente ancora alle corde e una politica ideologicamente marcata nelle coscienze. Era un paese che stava alzando la testa dalle sue macerie con grande dignità. Era l’Italia operaia delle rivendicazioni e delle lotte, dove il sindacato recitava il suo ruolo, dove i consigli di fabbrica erano la voce dei lavoratori. Un paese che si è rimboccato le maniche e aveva deciso di andare senza sapere dove sarebbe finito, ma intanto andava.
L’Italia dei poveri è quindi una preziosa testimonianza di un’Italia che quelli di una certa generazione guardano con nostalgia e a cui quelli delle generazioni presenti e future dovrebbero attingere per imparare qualcosa.
Pagine di grande letteratura. Mi hanno ricordato per certi versi le pagine di due grandi come Paolo Volponi e Ottiero Ottieri, che con i loro libri hanno saputo raccontare e parlare a questo paese, trasmettendo valori e insegnamenti che la nostra società contemporanea ha lasciato da parte.
Molti direbbero: terribili quegli anni… ma chi può dimenticarli? È bello rivivere un’Italia che non c’è più. E allora formidabili quegli anni, ci appartengono, sono la nostra storia e la nostra vita.
E gli anni di adesso, permettetemi, mettiamoli dove non lo posso dire, mi scuso in anticipo, ma è così, come Russo mi piace dire quello che penso.
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