- Che prendi?
- Spaghetti al ragù, disse Grazia. Non lo guardava in faccia. Guardava in fondo al locale. Doveva ancora abituarsi a lui e al fatto che fosse suo partner in quel caso.
Il commissario li aveva chiamati quella mattina e aveva detto che forse, se avevano fortuna, non sarebbe stato nemmeno un caso. Dovevano lavorare insieme per raccogliere elementi, per ora.
Grazia aveva annuito, non stava molto bene. Pochi minuti prima, quando aveva saputo della morte dello scrittore, aveva sentito una fitta fortissima allo stomaco e poi su, al cuore, come uno strappo. Aveva avuto l'impressione che quel malessere non se ne sarebbe andato finché non si fosse fatta chiarezza.
E Coliandro...non che avesse qualcosa contro di lui ma, per la miseria, i suoi trascorsi da imbranato erano leggenda in questura.
- Minchia, spaghetti al ragù. E poi mi finisci come il nostro scrittore, collega disse lui con un mezzo sorriso.
- Doveva essere una battuta...
- Guarda che l'ho capito. Ammettiamolo, una battuta macabra.
- Comunque... senti, quegli spaghetti. Chiaro che non se li è cucinati lui, disse Grazia.
In fondo al piatto, oltre al residuo di ragù c'era rimasto uno spaghetto solitario che in un primo momento era risultato invisibile, coperto com'era dal sugo.
- Ma dai...ovvio, no? Non li ha cucinati lui né nessun altro in quella cucina. Piano cottura pulito, nessuna pentola sporca di sugo, lastoviglie immacolata. Neanche mia zia che delle pulizie ha fatto la sua ragione di vita si metterebbe a rigovernare prima del pasto.
- Però se li è mangiati, mica saranno emersi dal nulla.
- Certo che no. Ci facciamo 'sto panino, niente spaghetti al ragù, e torniamo là, a capire da dove è arrivato il piatto.
Coliandro ordinò sfilatino con bresaola e mozzarella, Grazia un panino rotondo con cotoletta e insalata. Tre settimane di dieta e due chili persi, ma adesso era nervosa e quel malessere le aveva fatto venire voglia di compensare con qualcosa di sostanzioso. Indugiò su un cartoccio di patatine fritte, poi la ragione prevalse. Passò la mano sulla pancia piatta e distolse lo sguardo.
Mangiarono in fretta, trangugiando il pasto in piedi. Niente caffè.
Fuori, la giornata era limpida e freddina. La casa dello scrittore si trovava a trecento metri da lì. Coliandro inforcò i Rayban, Grazia infilò le mani nelle tasche del bomber.
- Morire il giorno del compleanno. Cinquant'anni. Che sfiga, disse Coliandro.
- A te piaceva?
- Era uno tosto, sì. Mi sono visto quasi tutte le puntate di Blu Notte.
- La sai una cosa? Era una persona autorevole.
- Nel senso?
- Dai Coliandro, nel significato di autorevole. Il pubbico gli credeva. E lo seguiva.
- Quindi per alcuni era scomodo. Lo vedi che non servono tanti giri di parole?
- Be'... ci stavo arrivando. Non vedo l'ora che la scientifica ci passi i file del suo computer, pare stesse scrivendo qualcosa a effetto bomba.
- E non credi che se è stato ammazzato, i killer abbiano cancellato tutto e buona notte?
- Tu e i computer proprio zero, eh? Cosa ci sta a fare la scientifica? Anche i file cancellati si possono recuperare.
- Ma senti questa! Signorina so tutto io. Ti salva il fatto che sei gnocca, altrimenti...
- Altrimenti cosa? Voi colleghi riconducete tutto a questo, ce l'avete nel sangue, non c'è via di scampo. E se ti dicessi io che sei gnocco?
- Nel senso di gran figo?
- No, in tutt'altro senso.
Coliandro fece la faccia offesa. Grazia capì di avere esagerato. Lui aveva il potere di esasperarla, ma la sua strafottenza era troppo spontanea per risultare antipatico. Si voltò e gli sorrise.
- E dai, era per farti capire che certe frasi possono essere offensive. Se vogliamo lavorare insieme, è meglio che andiamo d'accordo, no?
Svoltarono l'angolo, Grazia non sentì la risposta.
Davanti al palazzo sostava un gruppo compatto di persone. Telecamere accese, giornalisti. Fan di Lucarelli. Curiosi. Un paio di ragazze con libri dello scrittore e fazzoletto ad asciugare i lacrimoni.
Non c'era nessuno quando avevano lasciato l'appartamento una mezz'ora prima, su gentile invito di quelli della scientifica, quando si erano accorti che in un angolo c'erano anche loro a osservare la scena.
- Hanno già diffuso la notizia, disse Grazia.
- Minchia, no. Guarda chi c'è: la giornalista di Telecentro. Come ha fatto ad arrivare fino qui così in fretta? Cosa c'ha, il teletrasporto?
La giornalista era una che non mollava. Mora, piccola, s'intrufolava dappertutto. Coliandro aveva avuto un'animata discussione con lei sullo scalone della questura neanche un mese prima. L'aveva colto alla sprovvista mentre era alle prese con spacciatori marocchini e l'ultima cosa che voleva era quella di essere ripreso da una telecamera. Il cameraman invece era un fan del primo piano e l'aveva inquadrato per bene mentre lei gli faceva domande a raffica alle quali lui non rispondeva. Alla fine si era incavolato di brutto e aveva preso la donna per un braccio, trascinandola fuori dalla questura. Il cameraman aveva continuato a filmare e le immagini erano finite su Telecentro. Epilogo: Coliandro si era preso un cazziatone enorme dal commissario e l'operazione era stata affidata a un altro.
Un paio di agenti era a guardia del portone per evitare che qualcuno ci entrasse.
Coliandro si fece largo tra la folla seguito dalla collega. La giornalista si attaccò come una cozza alla schiena di Grazia e le fece passare davanti il microfono. Il cameraman rimase notevolmente indietro.
- Ispettore, ci dica, cos'è stato? Malore o qualcos'altro? Lucarelli era solo quando è successo il fatto? C'è un'ipotesi di omicidio?
- Non abbiamo ancora nessun elemento certo, mi spiace, rispose Grazia.
L'agente aprì una fessura nel portone per far passare gli ispettori che vi s'infilarono, la giornalista cercò di fare altrettanto, l'agente disse un - Non ci provare, e Coliandro le sfoderò un bel sorriso, rivolto alla telecamera, mentre con il braccio abbassato, in modo che fosse l'unica a vederlo, le mostrò il dito medio.
Di là dal portone, nel cortile interno, il furgone della scientifica era ancora lì parcheggiato.
Oltre il vetro della portineria, una donna stava parlando al telefono. Era sulla sessantina, folti capelli grigi trattenuti da un cerchietto, maglia beige a collo alto e gonna a quadretto beige e marrone.
Coliandro aprì la porta.
- Le ripeto che non è a me che deve chiedere. C'è la polizia di sopra, non so nient'altro. Riappese senza salutare. Il telefono squillò subito, di nuovo. La donna staccò la spina.
Grazia Negro le mostrò il distintivo. Lei fece un cenno d'assenso con il capo.
- Non ne posso già più, continuano a chiamare, non so nemmeno se posso rispondere alle domande, ditemi voi. Intanto ho detto a tutti che non so niente.
- Ha fatto benissimo signora, per ora le uniche persone autorizzate a porgerle domande siamo noi e i nostri colleghi della polizia. Posso sapere chi l'ha chiamata? chiese Grazia.
- Giornalisti, amici di Lucarelli, gente comune. Un continuo. Sedetevi prego, aggiunse premurosa. Si sedettero e Coliandro partì in quarta, fregandosene che Grazia fosse di grado superiore.
- Ci dica un po', quando ha visto lo scrittore per l'ultima volta?
- Ieri sera. E' rientrato verso le sei, forse le sei e mezza.
- Come le è sembrato?
- Un po' pensieroso. Ma lui era così, Dio l'abbia in pace. Una persona squisita, sempre pacato e gentile, mai uno sgarbo.
- Ok, torniamo a quel momento. Quando è passato, ha per caso notato qualcosa di strano?
- L'unica cosa strana è che sembrava... più assorto del solito. Non mi ha salutato e questo non era proprio da lui.
- Le è sembrato che avesse fretta? intervenne Grazia.
- No, fretta no. La camminata era normale. Solo pensieroso, guardava dritto.
- Va bene. Senta... stamattina il corpo è stato trovato da suo marito, vero?
- Sì, oggi era il suo compleanno. Di Lucarelli, voglio dire. La sua compagna si trova a Parigi per lavoro, l'ha chiamato a casa e poi sul cellulare, ma lui non rispondeva. Allora ha chiamato qui in portineria, verso le dieci, mi ha chiesto di andare a vedere nell'appartamento. Io ho risposto che mi facevo riguardo, che era meglio aspettare ancora un po', ma la signora era molto preoccupata e allora mio marito ha preso il passe-partout ed è salito. Quando è tornato, era bianco come un lenzuolo. Il peggio è stato riferire alla signora...
Mentre proseguiva con il racconto, la voce della donna era sempre più tremolante. Finché ruppe nel pianto.
Coliandro fece per riprendere l'interrrogatorio, Grazia gli fece cenno di aspettare che la donna si calmasse.
Lei tolse un fazzoletto dalla manica, si asciugò le lacrime, si soffiò il naso e rimise il fazzoletto al suo posto.
E senta, suo marito... voglio dire, è qui in giro? riprese il sovrintendente.
- Sta riposando nel retro. Il medico gli ha dato un sedativo, è rimasto sconvolto. Devo chiamarlo?
- No, c'è tutto il tempo, lo disturberemo più tardi, intervenne Grazia. - Ho invece una domanda per lei. Continuò.
- Dica.
- Che lei sappia, Lucarelli quando era da solo, si cucinava personalmente i pasti?
- I pasti? Non lo so, credo di sì. So solo che ogni tanto, forse quando era molto preso dalla scrittura, ordinava qualcosa da Sergio, qui dietro.
- Ah. E che è Sergio? intervenne Coliandro.
- Una trattoria. Il proprietario si chiama Sergio. Non fanno piatti da asporto, ma per lo scrittore facevano eccezione. Ecco... si fermò e riprese fiato.
- Ecco cosa?
- Ma lo sa che il cameriere è passato anche ieri? Me lo ricordo bene, aveva la borsa termica, ci metteva i piatti lì, in modo che restassero caldi.
- E com'è 'sto cameriere?
- E' un giovanotto allegro, sui venticinque anni, sempre con la battuta pronta. Mi ha salutato, mi ha anche detto buona serata.
- Si ricorda di averlo visto ripassare poi? chiese Grazia.
- Certo. Erano le otto, stavo chiudendo la portineria. Saranno passati cinque o dieci minuti, il tempo che ci vuole per andare e tornare.
- E nel ritorno ha notato se aveva ancora la borsa?
- Mhmm... mi pare di sì. Sì, certo, ce l'aveva sotto il braccio perché ormai era vuota. Sa perché l'ho notata? Ha dei disegni sopra, piatti fumanti. Carina.
- Grazie, ci è stata molto utile signora, a più tardi, disse Grazia. Si alzarono entrambi.
Uscirono e si diressero all'appartamento di Lucarelli. Era stato messo del nastro davanti alla porta, Coliandro scavalcò ed entrò subito. Fu fermato da un agente ancora con la tuta protettiva: - Ehi, che fai? Così puoi inquinare le prove. Guanti e soprascarpe, ok?
Se n'era dimenticato. Sbuffò. Grazia si era già infilata il kit.
- Senti Giovanni, possiamo dare un'occhiata adesso? chiese Coliandro al più anziano dei tre.
- Per me sta bene, non toccate niente però, abbiamo fatto solo i rilievi di routine, ma se non è indigestione, qui ci dobbiamo tornare.
- Tranquillo, diamo solo un'occhiata in giro.
I tre si tolsero le tute bianche e se andarono. Gli ispettori entrarono nello studio. La scrivania era come se la ricordavano, con i fogli sparsi, il computer, il settimanale che anticipava gli auguri e il piatto appoggiato sulla tovaglietta di cotone. La forchetta dentro il piatto, quell'unico spaghetto e il ragù che mostrava del grasso rappreso intorno. Una bottiglia di Ferrarelle da mezzo litro quasi vuota e un bicchiere blu trasparente.
Faceva strano che sulla poltrona non ci fosse più il corpo, ma solo il suo contorno in gesso.
Grazia deglutì, aveva una vertigine. Guardò Coliandro, era pallido anche lui.
- Che ti succede? dissero all'unisono.
- Io... ho bisogno di aria, disse Grazia.
- Minchia, anch'io.
- Non so, ho come un magone, non me lo spiego, aggiunse lei.
Si avvicinò barcollando al piatto che era anonimo, di quelli bianchi e grossi che si usano nelle trattorie. Non lo toccò, andarono insieme a controllare in cucina. Nell'armadietto sopra al lavello c'era un servizio di piatti da sei. Era di fine ceramica bianca, con alto bordo blu, miente a che vedere con il piatto sulla scrivania. I bicchieri invece erano identici a quello in cui lo scrittore aveva bevuto per l'ultima volta.
- Ok, piccola, andiamo a trovare 'sto Sergio, disse Coliandro.
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