L’altra verità, quella incessantemente cercata fin dalle prime scene, si rivelerà alla fine evanescente, per niente capace di appagare la sete di verità che brucia la mente e rende di ghiaccio il cuore.
Già, perché non basta mettere sotto tortura un contractor come te (sottoponendolo al tristemente famoso waterboarding…) per sentirsi meglio eliminando una volta per tutte i sensi di colpa, cosa possibile solo riuscendo a scoprire finalmente chi è stato ad uccidere un altro contractor del quale eri amico per la pelle morto ammazzato in un agguato mentre percorreva la Route Irish (la strada che unisce l’aeroporto di Bagdad alla Green Zone), e il cui essere stato testimone dell’esecuzione di una povera famigliola di civili da parte di un altro gruppo di contractors pare entrarci qualcosa…
Se c’è qualcosa di irriducibile ne L’altra verità è la furia con la quale l’ex contractor Fergus (Mark Womack) cerca di dare un volto ai colpevoli della morte del suo amico Frankie (John Bishop), furia che lo trasformerà in un investigatore-vendicatore ben al di sopra di qualsiasi pietà e altrettanto al di sotto di qualsiasi cedimento verso un seppur minimo senso di giustizia che non sia quello dell’occhio per occhio, dente per dente, il tutto concentrato in un viaggio che è al tempo stesso sia denuncia (pane per i denti di Ken Loach) sull’uso e l’abuso dei contractors privati nella Bagdad del post-Saddam, sia una ricognizione dall’interno del revenge-movie (prima volta per Ken Loach)
Accolto tiepidamente (in concorso a Cannes un anno fa…), L’altra verità è un film duro e non puro, pieno di scorie, di rabbia, di sofferenza, un film che va avanti senza anestesia, ma soprattutto un film che non ha scrupoli a chiudere in nero quando la storia lo richiede, a segnalare (forse…) che esiste una Route Irish in chiunque di noi…
Da vedere (cos’altro se no?).
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