Sul sito WebSite Horror, come se si gironzolasse tra gli scaffali di un negozio di mercanzia usata, magari avvolti dall’atmosfera di un magico quartiere sorto al centro di un mondo parallelo, si possono comprare oggetti stregati di qualunque tipo e valore a prezzi stracciati: lavatrici, frullatori, automobili e borsette, e altrettanto può essere messo in vendita. Ma, come in tutte le storie in cui ci mette lo zampino il maligno, a una sola condizione: raccontarne la storia. E così scorrendo gli articoli, navigando tra capi d’abbigliamento, lettere, vecchi scarponi, bicchieri, biciclette, guinzagli, camper, guanti e case per le vacanze, può capitare di leggere storie davvero incredibili. Storie ai confini della realtà. Storie di normalità quotidiana che si intrecciano con le ombre del lato oscuro. E si trasformano. Diventano macabre. Misteriose. Spaventose. Visionarie. Diventano storie scritte sulle pareti degli abissi che si aprono tra le paure e le emozioni dell’umanità come squarci che feriscono e modificano la realtà entro la quale scorre la nostra esistenza.
Ed è così che, scegliendo tra le proposte di questa grande vetrina letteraria del WebSite Horror, sono stati selezionati sedici racconti e una poesia per un totale di diciassette storie. Rigorosamente dell’orrore. Ed esposte per i cultori del genere in un’antologia cartacea pubblicata da Intermezzi Editore e curata da Chiara Fattori e Marco Candida. Manca solo il titolo: Orbite Vuote.
Curatori che rispondono volentieri a qualche nostra domanda.
L’orbita come movimento vitale dell’universo ma anche il luogo dove si sviluppa la capacità dell’uomo di “vedere” o di rappresentarne la cecità eterna, la morte. Cosa rappresenta questo titolo?
Orbite vuote è senz’altro un titolo che suggerisce diversi livelli di significato. Se avessimo intitolato la raccolta “16 mannaie nella notte” o “Capelli in fiamme” o “Budella sanguinolente” siamo d’accordo che la domanda non avrebbe avuto ragione d’esistere. Inizialmente volevamo chiamarlo “Il ritorno degli scrittori viventi”, ma alla fine ci è sembrato troppo farsesco. Avremmo potuto chiamarlo “Dita nella nebbia” o “Urla soffocate” o “Lingue del diavolo” e avremmo ottenuto un titolo sulla stessa strada di Orbite vuote. Certo è che Orbite Vuote ci è sembrato subito il migliore: e questo anche grazie al contesto culturale che stiamo vivendo in questo periodo in Italia. Ecco forse perché certe espressioni sono più felici di altre, funzionano meglio. Pensiamo al Ritorno del morti viventi di George Romero. Il fatto che il protagonista principale della pellicola sia un uomo di pelle nera proprio in un periodo dove si discuteva dei diritti delle persone di colore aggiunge livelli di significato importanti. Inutile, nel caso nostro, cercare di stabilire quali siano esattamente questi significati: l’importante è che questi si possano percepire, anche confusamente.
Si dice che la complessità di gestire un’antologia non sia tanto nella qualità dei singoli racconti quanto nella capacità di mantenere un filo di omogeneità per legare un racconto all’altro, un autore all’altro. Cosa rende solido un volume come Orbite Vuote?
L’introduzione della raccolta parla di Moby Dick, di Starbuck e del capitano Achab e il primo racconto si ambienta in una nave fantasma, dove si racconta la quotidianità allucinatoria di un reduce e il secondo racconto narra della quotidianità allucinatoria, ossessivamente reiterante di un uomo di provincia (facile trovare somiglianze tra la “provincia” e la “nave fantasma”) e il terzo racconto sprofonda nella provincia più oscura con i suoi segreti più terribili (la pedofilia di un prete) e cosí via. Non sono state seguite sempre, però, queste regole. Si era parlato inizialmente di cominciare la raccolta con un’autrice, ma poi questa idea ha ceduto il passo appunto a un tentativo minimo, non stucchevole, di coerentizzazione del materiale. Non siamo sicuri che a un lettore interessi davvero questa forma di coerenza. È possibile, però: e in parte nell’antologia la troverà. Troverà soprattutto storie buone, ben scritte, e qui sta la solidità della raccolta.
Sulla base dell’esperienza del WebSite Horror e di Orbite Vuote, che idea vi siete fatti delle prospettive dell’horror italiano? Uno spazio letterario ancora inesplorato, un genere in evoluzione dove spicca qualche punta di originalità, o semplicemente un esercizio che vive grazie alle energie di autori ed editori stranieri?
La riflessione alla base del WebSite Horror e dell’antologia Orbite Vuote è che il genere dell’orrore esiste e non si può fare come se non esistesse. Forse possiamo considerlarlo solo una sciocchezza e far finta che non ci sia – dare il buon esempio sperando di essere imitati. Tuttavia questa non sembra una strada ormai realmente percorribile. Certe storie, certi meccanismi, fanno parte ormai del nostro immaginario. Molto meglio mettersi a praticarli con più qualità possibile. Un buona storia dell’orrore è innanzitutto una buona storia e va giudicata cosí come si giudicano le storie di Borges, Marquez, King, Allende, Jodorowsky, Calvino...
Orbite vuote - sedici racconti dell'orrore e un poesia, a cura di Marco Candida e Chiara Fattori (Intermezzi Editore, 2011) - pagg. 234 - 12 €.
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Abbiamo proposta una stessa domanda anche agli autori.
All’interno della letteratura di genere c’è un mondo di autori e critici che dibatte per poter fissare dei tasselli di appartenenza e di etichetta. Quali sono gli elementi che potrebbero caratterizzare un buon testo horror?
Ed ecco le risposte di chi ha voluto partecipare a questa chiacchierata:
È una domanda interessante. Forse va ricordato che almeno due degli archetipi che reggono l’immaginario horror ossia il Vampiro e La Creatura sono stati scritti da autori che non erano esattamente scrittori dell’orrore – Polidori e la Shelley. Il fatto è che se parliamo propriamente di genere dell’orrore ci rendiamo subito conto dell’essenza mainstream di questo genere. L’orrore è ibridazione quasi per antonomasia. Dunque come si fa a definire davvero un genere se questo genere nasce da una mutazione ed è per cosí dire parassitario rispetto ad altri generi o forme di rappresentazione? Il genere horror è una sineddoche della letteratura tout-court. Persino le sue regole più elementari (un vampiro deve morire con un paletto di frassino conficcato nel cuore; un licantropo lo si può solo accoppare con una pallottola d’argento; uno zombie ce lo si può levare dai piedi solo facendogli saltar via la testa) teoricamente si potrebbero emendare – per fondate ragioni. Se racconto la storia di un vampiro col mal di denti che finisce da un dentista il quale lo opera e gli toglie i canini, vogliamo forse dire che non siamo di fronte a un racconto horror in chiave parodica – dove probabilmente il vero mostro sarebbe in questo caso il dentista pazzo?
Bella domanda, penso siano gli stessi elementi che devono contraddistinguere ogni buon testo. E hanno a che fare con l'inventiva, l'abilità di scrittura e l'onestà. Poi possiamo parlare di generi e sottogeneri, in fondo è divertente, ma è solo un gioco. Per spararne un'altra e definitiva, ciò che caratterizza davvero un bel racconto horror e lo fa risplendere nella notte eterna della letteratura pallosa è che lo abbia scritto Stephen King oppure no. O mi volete davvero far credere che un libro come la La zona morta non vi è piaciuto?
Totò direbbe: “Ma io mi domando e dico”. Prendo perciò a prestito la sua nota battuta per contro-rispondere: ma io mi domando e dico, c’è ancora bisogno di etichettare un prodotto? Oggi tutto può andare con tutto. Prendiamo come esempio Quentin Tarantino: un regista simile, col gusto della citazione, una grande capacità di riproporre i generi e di mischiarli fra loro, una trentina d’anni fa non poteva nemmeno esistere. Oggi, invece, esiste perché è figlio del tempo in cui opera. In questo tempo, le etichette sono ad uso e consumo degli editori: per piccoli o grandi
che siano, devono vendere il libro, il loro “prodotto”. Uno scrittore deve scrivere e basta. Non ci sono paletti, ci sono solo storie che possono essere raccontate e altre che non valgono la pena di venire neppure pensate. Dunque si può benissimo adottare una determinata deriva e utilizzarla per poter sviluppare il tutto. Qualora questa deriva abbracciasse tematiche soprannaturali, potrebbe essere, perché no?, un horror. Ma quanti horror passano per tali e poi sono dei thriller con un po’ di sangue in più? Tanti, ma senza quell’etichetta sul manifesto nessuno se li sarebbe visti.
L'horror è un genere ma è soprattutto un'emozione contraddittoria. Non devono sussistere elementi stilistici o tematici predefiniti, ciò che è fondamentale è lo scopo che si prefigge: spaventare, inquietare, raccapricciare. In questo senso qualsiasi mezzo è lecito, qualsiasi canone va bene e al tempo stesso può essere superato; e come i canoni così anche i confini dei generi e delle etichette non devono essere dei limiti, bensì degli stimoli. Un buon horror deve possedere un unico fondamentale elemento, secondo me: la tensione. Che è difficilissima da ricreare.
Per me il buon testo horror è quello che ti scortica via di dosso tutte le sovrastrutture e le ironie e le forme di difesa dalla paura che si sono formate con l'età adulta, e trasformarti di colpo, anche per un solo istante, nel bambino che tanti anni fa aveva paura del buio, del mostro sotto il letto e delle strane creature nell'armadio.
Premetto di non avere una conoscenza eccessivamente approfondita del genere horror, o almeno dell'evoluzione che il genere ha avuto negli ultimi decenni, essendomi sempre rapportato in particolar modo ai testi fondativi della tradizione – un nome su tutti: Edgar Allan Poe. In ogni caso credo fermamente in una cosa; un buon racconto dell'orrore deve preoccuparsi innanzitutto di dar vita ad un'atmosfera "perturbante", un'atmosfera rarefatta e sfumata in cui i personaggi possano smarrirsi e perdere progressivamente le proprie sicurezze e la propria identità. Ecco, io credo che un buon racconto horror non abbia alcun bisogno di mostri e vampiri; si nutre essenzialmente della scomposizione dell'io dei personaggi che, una volta persa ogni presa diretta sulla realtà, rimangono soli e abbandonati di fronte ad un mondo talmente indistinto da risultare incomprensibile. È qui che nasce l'orrore.
Ho letto parecchio horror in vita mia, specie Stephen King, che è un autore fondamentale della modernità letteraria, un autore che trascende il genere e che la critica ha troppo spesso sottovalutato.
King insegna (e lo spiega con magnifica semplicità nel suo libro On writing) che gli elementi chiave per un buon testo horror sono essenzialmente due: immaginare una situazione, e riuscire a immaginarla dal punto di vista del “e se?”.
Posando con umiltà e curiosità quasi fanciullesche lo sguardo su eventi e oggetti davvero quotidiani e in apparenza banali, esercitando una visuale sghemba, insolita, da marciapiede di periferia, da outsider, su quel che ci circonda e ci appartiene e ci impegna dalla mattina alla sera, King ha creato alcune fra le vicende più terrorizzanti che siano mai state scritte.
In fondo l’horror è la piega oscura che s’annida nella normalità; è questo annidarsi, questa prossimità che ce lo rende insopportabile: la sua parziale coincidenza con la vita stessa.
Ed ecco gli autori presenti nell’antologia:
Brian Maxwell (tradotto da Margherita Pampinella-Cropper), Stefano Barbarino e Massimiliano Nuzzolo, Gianluca Mercadante, Daniele Pasquini, Enrico Macioci, Angelo Marenzana, Sara Durantini, Matteo Di Giulio, Matteo B. Bianchi, Eva Clesis e Angelo Orlando Meloni, Paola Presciuttini, Gianluca Morozzi, Marco Candida, Michele Turazzi, Jacopo Nacci, Guido Catalano.
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