Anatra all’arancia meccanica (Einaudi Stile libero big) è una raccolta di sedici racconti più una postilla, redatti dal collettivo Wu Ming, e introdotti da una prefazione di Tommaso de Lorenzis. Ciascuno di essi è uno scorcio caustico sulla contemporaneità – quella immediata dell’ultimo decennio, periodo appunto di creazione dei suddetti racconti, solo in parte già pubblicati sul blog del gruppo, www.wumingfoundation.com –, una contemporaneità presa, rivoltata, strapazzata con terribile grazia in virtù di una cifra narrativa che si appoggia a infinite soluzioni che spaziano dal surreale all’ironico al grottesco, al profanatorio, all’onirico, e lo fanno attraverso straniamenti, sperimentazioni, contaminazioni, riscritture attentissime ai dettagli. Un coupage esilarante ma intriso di fiele, che anticipa nel titolo (dal quarto racconto eponimo, Canard à l’orange mécanique) la sua ovvia colonna sonora: la Nona del “Ludovico Van Beethoven”.
Riporto le acute riflessioni di Tommaso de Lorenzis che, nella prefazione, ha parlato di «violenza iperbolica dei primi racconti» che «trasmuta in una brutalità pervasiva. Introdotta come ludico attributo di protagonisti d’eccezione, lo scorrere delle pagine la rovescia nell’apposizione di una realtà opprimente e nella quintessenza d’una “società marcia e malata”. [...] E in linea con le attitudini dell’atelier Wu Ming, ritroviamo i principali filoni della letteratura popolare: le metafore della fiaba e le lugubri previsioni della distopia, l’azione del poliziesco sporco e la detection d’argomento storiografico».
Ribaltamento di una realtà opprimente anche quando la realtà si delinea a partire dalla fantasia dei fumetti. E così, ad esempio, finalmente i furono-lettori-di-Paperino assistono al riscatto dello stesso, ora cittadino di Anatropoli ribattezzato Anatrino, nauseato dal suo ruolo di fesso del villaggio, incapace di riconoscere l’uno dall’altro i tre anatrini – Kwi, Kwo e Kwa – verso i quali nutre una comprensibile insofferenza: «La solita merda secca, da decenni e decenni. Le stesse grottesche minchiate. Fanno le elementari da sempre, o le medie, checazzonesò. Non cresceranno mai. Ah, ma se credono che li manterrò per sempre! Non sono niente per me, non so nemmeno distinguerli, so solo che uno ha il berretto verde, uno ce l’ha rosso e il terzo ce l’ha blu!».
Rinfrancato dalla recente lettura di Karl Marx, Anatrino capisce la sua condizione di sfruttamento, annuncia prima lo sciopero, poi il sabotaggio. Il momento più liberatorio è quando si reca al deposito del ricco zione – “il vecchio bastardo” – e, dopo averlo apostrofato come da decenni merita, passa all’attacco fisico e lo malmena brutalmente.
Dal fumetto alla fiaba – un imperatore avido che pretende di triplicare il lavoro dei poveretti e gli allocchi ci cascano, convalidando l’eterno rapporto di sfruttamento padrone-subordinato – e dalla fiaba alla cronaca. Chiudo la recensione con un racconto lirico bellissimo e tragico, “L’istituzione-branco”, sorto dal disgusto e dal disastro, pubblicato su Carmilla la notte tra l’8 e il 9 febbraio 2009 e dedicato a Eluana Englaro. La flaccida violenza fisica dei politici sulla carne inerme della ragazza è metafora di più profondi abusi, perpetrati per mesi e non circoscritti ai taciti muri di una stanza di clinica, ma diffusi e condivisi da una fetta benpensante di popolazione bigotta. Sull’anticipo tombale si scatenano sozzi e perversi i sogni di dominio di un manipolo di uomini di potere, eccitati dal «corpo di lei/ stretto rinsecchito atrofizzato/campo desertificato/ come tanti saprofiti spuntano tralicci/ che portano cavi/ tubi».
Un’ultimissima osservazione: i nomi di protagonisti e comparse di ogni contributo sono strepitosi. Forse non proprio tutti decifrabili, molti rimandano a celebrità più meno ammirevoli o esponenti del mondo culturale mascherati con varianti e assonanze ingegnose: Einaudi diventa Heynoughty, dietro Mr De Gaudentiis sorge il sospetto si celi il magnate De Laurentiis, indovinabilissimo, poi, a quale duo si alluda con i nomi Massimo Sboldro e Tristam De Fica. Mi è rimasta una curiosità, senza dubbio da neofita: ma chi è l’editore Maratea?! Forse più di un lettore potrebbe sfregarsi le mani, assistendo al trattamento pulp che gli viene riservato.
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