Lui, lei, l’amico di lui (che non stravede per lei…).
Niente implicazioni sessuali nel triangolo testé citato, solo una bravata, quella dell’ultima discesa proprio quando la seggiovia di una stazione sciistica sta per chiudere.
Il meccanismo, intrappolati senza via d’uscita in uno spazio molto ristretto incluso in uno assai più vasto, a volte per propria dabbenaggine a volte per volontà altrui, a volte per entrambe le circostanze, comincia a ripetersi: In linea con l’assassino, Open Waters, Buried, 127 ore, questo Frozen di Adam Green.
Corpo e psiche messi a dura prova dal gelo e dal terrore che montano per colpa di un destino beffardo che fa sì che la dimenticanza avvenga (tre sciatori scambiati per i tre che invece restano sospesi sulla seggiovia…), i pregi, l’infiacchimento della storia alla lunga, i difetti.
È sempre così a ben vedere in film del genere, film in effetti basati su un’unica idea; esaurito l’abbrivio, scivolata via l’ultima goccia di pietà per gli sventurati, la noia si affaccia e reclama a gran voce attenzione.
Non manca la scena squisitamente autoriflessiva, quando i due rimasti in alto non vorrebbero ma alla fine guardano quello che succede al terzo, replicando all’interno dello schermo la posizione dello spettatore in sala.
Il giudizio: mediocre.
Il migliore della pattuglia? Buried.
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