Spiando la notte di Fabrizio Di Marco è un thriller originale. Il che, in un mercato sovraffollato di titoli e autori da ogni parte dell’universo mondo, non è cosa da poco. È un riuscito cocktail nel quale gli ingredienti sono pescati negli archetipi della letteratura di riferimento, ma combinati fra loro in modo unico e imprevisto, accostati gli uni agli altri in una miscela tanto inconsueta quanto godibile. Merito anche di un linguaggio semplice e incisivo, che fa dell’assenza di fronzoli stilistici, metafore o inutili ridondanze, il suo punto di forza.
Il romanzo parte come un hard-boiled. Il plot – due fratelli, entrambi investigatori, che vengono incaricati da un loro amico antiquario di sorvegliare la sua villa sui colli bolognesi mentre lui è all’estero – lascia presagire rapine, inseguimenti e pestaggi, con qualche pupa da sballo giusto per gradire. Non a caso il libro si apre proprio con una rapina, nel corso della quale il bandito scappa, e ci scappa pure il morto. Ma questo sembra non avere nulla a che fare con i due fratelli - o con il loro cliente, o con la conturbante e misteriosa Laura, figliastra dell’antiquario, che abita nella villa - neppure quando l’autore spezza la descrizione delle notti, che i protagonisti trascorrono davanti ai monitor di sorveglianza, con brevi e fulminanti incursioni proprio nella storia di quella rapina.
Intanto, mentre i due fratelli si alternano nella vigilanza della villa, questa appare sempre meno la borghese dimora di un mercante d’arte, pieno di scrupoli nei confronti della fragile e indifesa Laura, per assumere connotazioni via via più sinistre e minacciose. Così come sempre più inquietanti si fanno quelle notti spiate attraverso i monitor.
Ed è a questo punto che l’hard-boiled si tinge di giallo. Per ovvi motivi non si può raccontare oltre della trama, ma dell’autore - un fisico teorico appassionato di polizieschi - si può affermare che la propensione alla logica e l’attitudine all’analisi abbiano a un certo punto avuto la meglio, in un epilogo che non ha nulla da invidiare ai più rappresentativi del giallo rebus, come quelli architettati da Ellery Queen, Agatha Christie o John Dickson Carr. Senza nulla togliere alla suspense e al brivido, che in questo romanzo non mancano mai.
Insomma, un esordio brillante. A quando il prossimo romanzo?
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