Il mio avvocato mi ha chiesto di ricordare ancora una volta tutta la vicenda. Mi è difficile ricordare con ordine: non chiudo occhio da tre notti e il caldo nella cella è insopportabile. A volte mi sembra che non riuscirò a dormire mai più. Riparto sempre dallo stesso punto, da quando ho trovato Barbara col vestito bianco macchiato di sangue. E lì il pensiero s’inceppa. Ma Wendy mi ha detto di ricordare ancora una volta e lo farò per lei. Povera Wendy, era sempre così sicura di tutto, non pensava di dover fallire proprio con me. Ma io le ho chiesto di non parlare mai di Barbara, di lasciarla fuori da tutta questa storia, è colpa mia se non ha chiamato Barbara sul banco dei testimoni e se ha rischiato di perdere il suo primo processo. Vuol dire che doveva andare così. Dev’essere notte là fuori. Dev’essere martedì grasso. Ne ho fatte di bevute in nottate come questa e ne riconosco i suoni ottenebrati. Non pensavo di doverli ascoltare da questa tavola che mi spezza in due la schiena, guardando la luna tagliata a riquadri in mezzo al muro. Sarebbe stato meglio farla finita così e che questo martedì grasso fosse stato davvero la mia ultima notte. Qualcuno avrebbe detto “Hai sentito di Charlie il Santo? E’ morto da eroe” e qualcun altro “Aveva accoppato Constantin e ha avuto quel che si meritava” e Fred avrebbe alzato il bicchiere sulla mia fossa e Wendy avrebbe pianto un po’ e Barbara si sarebbe portata il mio ricordo nel cuore. Ma il mio avvocato ha fatto ricorso in appello e mi ha imposto di ricordare. E io ricorderò di quella volta che sono arrivato con la valigia in mano e che Wendy mi ha sorriso dicendo “Cosa ci fai qui a Savannah, forestiero?”
Ero di cinque anni più giovane e mi chiamavano “Charlie il Bello”, gli uomini per invidia, le donne perché, per oscure ragioni, andavano pazze per il mio profilo irregolare e per la montatura dei miei occhiali. Non so quando sono diventato Charlie il Santo, forse quando ha cominciato a spargersi la voce che sarei anche morto pur di salvare l’onore di una gentil fanciulla. Sono nato in un’epoca sbagliata e sulla sponda sbagliata del fiume. In altri tempi sarei stato un cavaliere con l’armatura, adesso sono solo un povero imbecille che si è autoaccusato di un delitto mai commesso e che ha rifiutato ogni linea di difesa. Ma mi piace pensare che la mia vita non è andata sprecata. Le tragedie non si sposano alla gente come Barbara. La gente come lei è fatta per i tè pomeridiani, i balli di beneficenza e i guanti nuovi, e tra tutte queste cose le resterà l’ombra del ricordo di uno sciocco romantico che in una mattina imprecisata è stato giustiziato per difendere il suo nome. Poco importa se il vero assassino non verrà mai fuori, io ho fatto quello che era in mio potere. Vorrei poter dire così, invece c’è un’altra notte da far trascorrere tra quei compagni fastidiosi e insistenti che si chiamano ricordi.
“Cosa ci fai qui a Savannah?” Mi ci aveva portato il caso, lo stesso caso che mi portò con Fred alla festa di Constantin, quella in cui incontrai Barbara. Che ironia, era martedì grasso anche allora e faceva caldo. Sono sempre calde le notti a Savannah. Il grassone collezionava quadri d’autore e tabacchiere d’argento. Aveva indossato la vestaglia chermisi sopra lo smoking e mi offriva whisky e sigari come se fosse stato non solo il padrone della villa, ma di tutti i suoi maledetti invitati e di tutta la maledetta città. Fred ammiccava dietro le mie spalle e io cominciai a dire che avrei volentieri messo mano alla mia 38 e centrato in mezzo agli occhi il fottuto grassone. “Attenzione, ogni parola può essere usata contro di te. Dico bene, avvocato?” rise Fred alzando il suo bicchiere, come era solito fare quando passava uno scherzo tra noi, e guardò Wendy che invece guardava altrove distratta. Le donne hanno un sesto senso e lei aveva già capito che quella sera stava per perdermi. Se c’è qualcuno che finirà col soffrirci, una volta conclusa questa dannata storia, sarà proprio lei e – diavolo! – non se lo meritava affatto. Wendy era davvero in gamba. Mi aveva insegnato a togliermi di dosso quell’aria da campagnolo che mi ero portato dietro dall’Oklahoma e a parlare di letteratura. Recitavo bene la parte, finché riuscivo a controllare i miei nervi e l’impulso di spaccare la testa a qualcuno. Naturalmente non misi mai a frutto le mie capacità, ma si sparse la voce che Charlie il Santo con una mano scriveva poesie e con l’altra sparava a chi era capace d’irritarlo.
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