Anche i forti detrattori (come chi scrive) non possono negare che il cinema marziale proveniente dagli USA negli anni Novanta abbia avuto fra i suoi interpreti più noti Steven Seagal: visto che volutamente è sempre stato assente da questa rubrica, almeno un “profilo” se lo meritava.
Steven F. Seagal nasce il 10 aprile 1951 a Lansing, nel Michigan.
Si allena nelle arti marziali sin dall’età di sette anni con il maestro Funio Demura, e dagli anni Sessanta studia aikido con Harry Ishisaka, in California. Dopo il suo primo dan, nel 1974, si trasferisce in Giappone per completare il suo allenamento (e dove incontra la sua prima moglie, Miyako Fujitani): arrivato al settimo dan di aikido, e dopo essere stato il primo straniero ad aver gestito una palestra di Aikido in Giappone (l’Aikido Tenshin Dojo), torna negli USA per insegnare privatamente a Los Angeles.
Oltre alle arti marziali, Seagal ha altre grandi passioni: ha una collezione di pistole e di spade di samurai, è un grande appassionato di chitarra (con la quale ha anche inciso diverse canzoni, fra cui l’album del 2005 Songs from the Crystal Cave) e dedica molte ore al giorno studiando e meditando il buddhismo. Nel 1997 annuncia pubblicamente che Sua Santità Penor Rinpoche lo ha nominato tulku, cioè una reincarnazione di un Lama buddhista.
È arrivato al cinema grazie al talent scout Michael Ovitz della CAA (Creative Artists Agency), che è stato suo allievo. Debutta nel 1988 con il ruolo da protagonista in “Nico” (Above the Law) della Warner Bros.
Già al suo secondo film, “Duro da uccidere” (Hard to Kill, 1990), Seagal ha problemi con i produttori e soprattutto non è contento di non poter gestire completamente i propri film. «Credo di saperne un po’ più io di azione di chiunque altro in questo settore - afferma con umiltà in un’intervista esclusiva a Jim Coleman nel numero dell’aprile 1990 di Black Belt Magazine (la prima rivista americana a dedicargli la copertina), - come montarne le scene, come coreografarla e come dirigerla. Con Above the Law non ho potuto muovermi come volevo, né ho potuto avere alcun controllo, anche se il regista Andy Davis mi ha dato quasi sempre ascolto. Io credo che le scene d’azione sarebbero venute infinitamente meglio se avessi potuto lavorare a modo mio.»
Non è un mistero che Seagal abbia pestato più di un piede, a Hollywood, e che il suo carattere difficile gli abbia precluso opportunità che invece altri hanno saputo cogliere. Lo stesso la sua lunga carriera dimostra che nonostante tutto è amato dai fan e il suo nome è ormai legato al cinema di genere: qual è il suo segreto? Nel 1996 Terence Allen, per la rivista Black Belt Magazine (sempre attenta al cinema marziale), propone una propria formula in cinque punti che vogliamo qui presentare, con parole nostre.
1) Perfetto tempismo. Seagal arriva in un momento di svolta: Schwarzenegger, Stallone e Norris sono signori assoluti del cinema d’azione, Van Damme è ancora agli inizi e il pubblico è in cerca di un nuovo volto per un nuovo tipo di azione cinematografica. In realtà - specifichiamo noi - è proprio grazie alla riscoperta del cinema marziale, dovuta unicamente a Van Damme, che il pubblico cerca una maggiore quantità di arti marziali in una pellicola e non la “semplice” azione.
2) Fascino misterioso. L’attore si atteggia troppo perché sia solo spacconeria: molti dicono che abbia un trascorso in alcuni corpi speciali (o addirittura, nel suo periodo di vita in Giappone, aderenze con la Yakuza), e lui non si è mai disturbato a negare nulla. Il mistero, si sa, vende bene...
3) Amici potenti. Nella sua palestra di North Hollywood Seagal ha allenato attori, registi e produttori: un bacino di amicizie a cui potersi rivolgere in caso di bisogno.
4) Presenza scenica. Con il suo metro e 93 centimetri di altezza, il suo sguardo corrucciato e cupo (almeno ad inizio carriera!), Seagal ha un’innegabile carisma e presenza scenica: complice è ovviamente - aggiungiamo noi - avere sempre la stessa parte in ogni film!
5) Reali capacità marziali. L’indubbio curriculum marziale di Seagal gli permette di porsi al di sopra di tutti i suoi colleghi, che spesso le uniche arti marziali che conoscono sono quelle che eseguono davanti all’obiettivo. Peccato però - aggiungiamo noi - che questo sia in realtà un’arma a doppio taglio: proprio l’eccessiva rigidità delle sue tecniche e la quasi totale mancanza di fantasia e mutevolezza, rendono molto meno appetibili le sue coreografie rispetto a quelle dei meno titolati colleghi.
Con lo spegnersi degli anni Novanta, il cinema marziale statunitense muore e gli attori che ne erano stati la linfa vitale si riciclano altrove. Seagal sceglie la strada seguita da altri illustri colleghi, come Van Damme: film a costo zero, girati nei più economici ma pittoreschi angoli dell’est europeo e distribuiti esclusivamente sul mercato home video. Questo sistema gli permette di sfornare un esercito di titoli, con una media di uno se non due film all’anno. Nessuna di queste pellicole è degna di nota né può essere ricordata a pochi minuti dalla visione, ma lo stesso mantengono in vita sia un nome che un genere, in attesa che in futuro qualche casa cinematografica coraggiosa abbia l’ardire di far rinascere il genere in Occidente.
Parallelamente alla carriera cinematografica, per vent’anni Seagal ha prestato servizio volontario con il Jefferson Parish Sheriff's Office della Louisiana: questa esperienza diventa una specie di reality, “Steven Seagal: Lawman” (2009-2010), che presenta il nostro aggirarsi per la città insieme a tutori della legge e svolgerne le mansioni.
Seagal ha detto che «essere un buon attore consiste nel non recitare»: come dargli torto? Chi potrà mai negare che egli non abbia recitato in questi anni, mostrando semplicemente se stesso agli spettatori? Al di là del sarcasmo, rimane un fatto che un gran numero di fan lo abbia seguito per più di vent’anni di carriera, quindi la sua non è stata una mossa sbagliata.
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