Robin Cook, più noto come Derek Raymond, uno dei più grandi scrittori di noir di tutti i tempi, era in grado di far respirare tra le pagine l'odore vero del sangue e cantare della follia quanto dell'amore. Denso come un liquore, come la paura, come la colpa, come Raymond Chandler, Jim Thompson, David Goodis, Chester Himes, ha regalato al noir un'anima metafisica.
Era nato, come un piccolo principe, tra le lusinghe e i privilegi delle classi alte, il 12 giugno 1931, a Baker Street, a qualche passo dalla casa di Sherlock Holmes. Cresciuto tra Eton e il castello di famiglia nel Kent, avrebbe potuto vedere esaudito ogni suo capriccio.
Ma la Seconda guerra mondiale portò via la possibilità di essere al contempo innocenti e fortunati. Sotto le bombe la morte era troppo vicina, l'iniquità del classismo troppo nuda. Raymond decise di abbandonare la comodità e di cercare una nuova casa tra i bordelli, i quartieri maledetti, i bar malfamati e le prigioni dell'Europa. Della Spagna di Franco, dell'Italia liberata, della Francia dei piccoli borghi, abitò i marciapiedi sporchi di sangue e di malavita, e la terra fertile dei contadini, godendo il piacere del vino e della stanchezza nelle braccia.
Ha fatto ogni lavoro possibile, ha lasciato che la fatica e il bere solcassero il suo viso in un reticolo di rughe aspre come ferite, è ritornato a Londra per immergersi nel sottobosco della criminalità degli anni '60; la sua stessa vita è stata un noir. Non ha mai avuto un soldo in tasca, nemmeno quando per strada veniva riconosciuto come il grande autore de Il mio nome era Dora Suarez, e ha sempre saputo che la sua essenza era nella scrittura, il noir era il suo modo di tenere la vita nel palmo, come un cuore pulsante, sofferente, disperato.
Cullato dalla nebbia dei campi o braccato dal fumo sporco della città, non ha mai smesso di scrivere. Stanze nascoste, la sua autobiografia uscita in Italia per la casa editrice Meridiano Zero, è una grandissima lezione di scrittura, distante anni luce dal freddo intellettualismo. Derek Raymond si conferma un autore vero, che raccoglieva le sue storie dal contatto con la miseria, senza filtri. E trovava la dirompente veemenza dei suoi personaggi in se stesso.
Stanze nascoste di Derek Raymond (Meridiano Zero, 2011) - pag. 335 - 16,00 euro - ISBN 978-88-8237-224-8
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RAYMOND E IL NOIR
"La funzione del romanzo noir è di impedire alla gente di dimenticare l'orrore che regna attorno a noi." (Derek Raymond)
Che cos'e' o cosa non e' il noir?
Derek Raymond: E' qualcosa che concentra l'attenzione su una certa parte della società. O se preferite, su una certa parte della psiche umana, in certe condizioni di pressione sociale. E' proprio questo quello che intendo. Il risultato è noir per forza. Si può vedere questo genere di cose dappertutto. La gente fa finta che non sia reale, e io insisto che è reale. E' noir perché è molto deprimente. E' noir nella stessa maniera in cui i romanzi di Emil Zola erano noir.
Ma chi è che può aver voglia di leggere di tutto questo sangue e questa violenza?
D.R.: Un sacco di gente, in realtà. Non la borghesia, però, con rare eccezioni. Diciamo la verità: chi è invece che vuole leggere un romanzo da middle class? E' scritto da uno della middle class, che vive in una bella casetta, in una zona signorile, si sveglia ogni mattina, fa colazione, poi va nello studio a lavorare, chiuso nella sua torre d'avorio, prima di andare al club. E non esce mai. Non vede mai il mondo. Questa non è letteratura, è una pappetta ben confezionata. Lo so che è una generalizzazione e non è vera in assoluto, ma è vera circa per il 90% per gli scrittori inglesi e americani.
Lo pensa davvero? Ci sono scrittori americani di noir che vengono dagli anni '50 - Thompson, Goodis - ma ce ne sono adesso?
D.R.: Di sicuro i primi romanzi di Ellroy: lui sa com'è. E' tornato da scuola quando aveva 14 anni e ha trovato il cadavere di sua madre. Questo gli ha dato una certa scossa, per usare un eufemismo.
Perche' questa attrazione per la morte?
D.R.: Dietro a ogni maschera di clown, c'è sempre un'altra persona, completamente diversa. Io divento un altro quando comincio a scrivere. Non riesco ad abituarmici. Sono un simpaticone nella vita. Non penso mai alla morte. Ma quando comincio a scrivere, scompare tutto per essere sostituito da un altro individuo, o da un altro spirito.
"Il mio nome era Dora Suarez", è una specie di lunga notte, di discesa agli inferi...
D.R.: Suarez... Per tutto il tempo in cui l'ho scritto, non sono stato capace di addormentarmi senza una luce accesa! Non faccia l'errore di confondere il Raymond che ha oggi davanti a lei, cordiale con tutti, pieno di entusiasmo, con l'altro Raymond, l'altro me stesso, quello di Suarez. Non è schizoide, è complementare. Suarez, il noir come lo intendo io, è un po' come se qualcuno - lei, io - facesse una passeggiata in un giardino pubblico una sera al crepuscolo, e si imbattesse all'improvviso in qualcosa di orribile che lo sgomenta fino al terrore. La catastrofe, la morte. Allora, davanti allo schermo del computer, alla macchina, non resta che una sola cosa da fare: scrivere. Certo, non ci si puo' immergere a tal punto in una simile esperienza e uscirne incolumi, come si era prima. Non esistono mezze misure.
E' molto severo con l'Inghilterra...
D.R.: Non l'Inghilterra, la società inglese... questa sì che non riesco a inquadrarla! Ma mi piacciono molto gli inglesi, i miei cari compatrioti. Certi almeno. Negli ambienti che frequento io. O gente come Francis Bacon, che ho conosciuto un po'... William Shakespeare, eccellente sceneggiatore di noir, Wilkie Collins, Ted Lewis...
Per lei i libri noir sono libri delle classi popolari, o per le classi popolari?
D.R.: Per me sono libri sull'uomo. Gli elementi della natura umana di cui ho già parlato sono presenti in chiunque, a prescindere dalle barriere sociali.
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