Jeff Speakman (nato a Chicago l’8 novembre 1958) si è allenato nell’american kenpo karate con il massimo esponente di questo stile, Ed Parker, instaurando con il maestro un rapporto quasi filiale. Alla morte per infarto di Parker, tutta la fatica di quest’ultimo per uniformare lo stile andò in fumo: interessi personali generarono una vera e propria guerra fra chi riteneva di avere il diritto di continuare l’opera del maestro appena deceduto. Speakman, visto il favore di cui godeva da parte di Parker, cercò di continuarne l’opera ma fu subito ostacolato dalla famiglia del maestro (e dalla vedova in particolare). Beghe legali a non finire spinsero Speakman a mettersi in proprio e a continuare l’esperienza del kenpo slegandola da associazioni troppo avide e scorrette.
Quand’era ancora in vita Ed Parker, Speakman - che parallelamente alle arti marziali curava anche la sua carriera d’attore e appariva in piccoli ruoli in film minori - aveva promesso al maestro che avrebbe portato il kenpo anche al cinema: ci riuscì nel 1991. Si era in piena Van Damme- mania e le case cinematografiche erano alla costante ricerca di nomi da lanciare nell’arena cinematografica per una richiesta sempre crescente di marzialità: Speakman ebbe così l’occasione di lavorare da protagonista in uno dei film più sorprendenti e qualitativamente curati del periodo, “Arma perfetta” (The Perfect Weapon). Affiancato da sicuri caratteristi come Mako, James Lew e il Prof. Toru Tanaka, il film lancia Speakman di prepotenza nell’Olimpo delle star marziali... anche ci rimane davvero poco.
Malgrado infatti il grande successo della pellicola (che è tuttora un titolo di culto), la Paramount Pictures misteriosamente stracciò il contratto per cui Speakman avrebbe potuto girare altri tre film. «Fui letteralmente scioccato - racconta l’attore a Jim Coleman per Black Belt Magazine (novembre 1996). - Fu una doccia fredda ma anche una dura lezione da imparare: nel business hollywoodiano quella era la consuetudine. Nessuno ci badava. Girava tutto intorno ai soldi, e non voleva dir nulla se un contratto verbale o legale veniva stracciato: se vogliono uscirne, lo fanno e basta. E non c’è quasi niente che tu possa fare.»
L’esperienza negativa non fermò Speakman, che riuscì lo stesso nella sua “missione” di portare il kenpo sullo schermo, anche se con case cinematografiche minori e quindi con molta meno pubblicità.
Due anni dopo fu la volta de “Il cavaliere della strada” (Street Knight), che però non riuscì a ricreare il successo del film precedente: sia perché il protagonista non si poneva più come star marziale (riducendo drasticamente la qualità di combattimenti che invece aveva reso celebre il primo film) sia perché la pellicola rimase tristemente famosa per essere stata l’ultima produzione della Cannon prima della bancarotta.
Superata la metà degli anni Novanta arrivò il crollo rovinoso del cinema marziale: gli spettatori sembrarono non essere più interessati, e comunque gli USA smisero di produrne. Tutti gli attori marziali si riciclarono come “attori d’azione”, impegnati in action movies che fanno di tutto per ridurre al minimo storico ogni apporto marziale. Speakman da allora produce una media di un film all’anno, fino al 2000 - quando ha diminuito drasticamente la presenza su schermo - ma sono film che non lasciano il segno e che si perdono nell’etere.
In Italia raramente questi prodotti vedono una distribuzione. Di questo periodo possiamo ricordare passaggi i televisivi di Deadly Outbreak (1996) con Ron Silver come villain, che ad ogni messa in onda ha cambiato titolo: “Antidoto mortale”, “Colpi perfetti” e “Scambio di persona”, a seconda della rete che lo ha trasmesso!
In televisione abbiamo avuto i passaggi di film come Land of the Free (1997), con il titolo “Preso di mira”, e film televisivi come Memorial Day (1998), con l’aggiunta del sottotitolo “Il giorno della vendetta” e Running Red (1999), con l’aggiunta di “Rosso in azione”: action movies che non sono certo memorabili e le cui rarissime tecniche marziali fanno solo ricordare quanto il cinema di genere abbia perso dai tempi di “Arma perfetta”.
L’iter cinematografico di Speakman segue lo stesso percorso di quasi tutti i suoi colleghi: dopo aver raggiunto una certa notorietà per ruoli marziali, decide che è tempo di diventare attore a più alti livelli. «Sto ancora facendo parecchio kenpo nei miei film - racconta nella citata intervista, - ma quello che mi interessa ora per la mia carriera è di proporre a qualche produttore di avere un ruolo in una commedia romantica. Apparirei solo come attore, senza arti marziali. Fra un film d’azione e l’altro, mi piacerebbe fare cose differenti.»
In realtà l’attore non fa “parecchio kenpo” dai tempi del suo primo film, limitandosi nelle successive pellicole a brevissime sequenze marziali. Vale per lui la stessa domanda che il fan si pone ogni volta: perché da attori marziali (che si contano sulla punta delle dita) si sente così il bisogno di diventare attori “normali” (che sono tanti quanto i chicchi di sabbia nel deserto)? Le risposte sono tante: più soldi, più notorietà, meno fatica nel recitare, e via dicendo. Ma la realtà è ben altra: è estremamente raro che una star marziale in seguito abbia avuto la possibilità di divenire un attore di un pur minimo successo. La storia ha insegnato che nel momento stesso in cui appendono i guantoni al chiodo, le star marziali finiscono nel dimenticatoio cinematografico: è successo a Speakman com’è successo a quasi tutti i suoi colleghi.
Se la sua carriera nel cinema non lascia il segno, quella marziale invece va sempre migliorando. Nel 2009 è entrato nella Martial Hall of Fame ed ogni anno porta avanti con successo il Jeff Speakman International Kenpo Camp. La sua carriera in questo stile marziale (nel quale ha recentemente raggiunto l’8° dan) è piena di soddisfazioni... mentre purtroppo i fan di cinema marziale rimangono a bocca asciutta.
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