Claudio Mauri, milanese, giornalista, arriva al primo romanzo dopo una serie di racconti e un paio di saggi (Montanelli l’eretico, Il cittadino Scalfari, entrambi per la Sugarco), attualmente si occupa di ricerca storica sugli aspetti oscuri del periodo fascista; La catena invisibile è frutto di questi studi e, a detta dell’autore, anche di una esperienza realmente vissuta nel 1975 quando, su un treno, conobbe una persona che gli raccontò quanto trattato da questo romanzo.

Mauri mette in relazione due distinti attentati a Benito Mussolini avvenuti nel 1926, messi in atto da una nobildonna irlandese, Violet Gibson, e da un quindicenne bolognese, Anteo Zamboni: delle forze oscure, evocate da maghi occultisti come Aleister Crowley, seguaci della Società teosofica e del Gruppo di Ur, avrebbero tentato di influenzare la Storia, muovendo gli attentatori contro la loro volontà ad assassinare il Duce. In pratica, il romanzo ruota attorno a un terzo tentativo di manipolazione ai danni di Marco, il protagonista, giovane fascista di provincia, spinto, come gli altri, da una Catena invisibile a cercare di alterare il corso degli eventi.

Al di là delle ipotesi dell’autore, a cui ciascuno è libero di credere o non credere, il romanzo non esalta a causa di una narrazione e di una struttura non sempre efficaci, soprattutto se si pensa che uno dei meriti riconosciuti del giallo moderno è quello di far appassionare il lettore a una vicenda che, in ultima analisi, deve fare luce su uno specifico argomento o descrivere un determinato ambiente o ancora, come in questo caso, avvalorare una ipotesi storica. Neanche la sufficiente ricostruzione storica e il buon tratteggio della psicologia dei personaggi riescono a risollevare questo romanzo dallo stato di ordinarietà.