Un altro grande classico film di arti marziali in costume da ieri in edicola, grazie alla collana “Bruce Lee e il grande cinema delle arti marziali” targato Gazzetta dello Sport e Stefano Di Marino. Si tratta di un gongfupian tipico anche se, da certi punti di vista, innovativo: “I due cugini” (Long xiao ye / Dragon Lord, 1982) scritto, diretto e interpretato da Jackie Chan, che cura anche le coreografie marziali. Nato originariamente come sequel de “Il ventaglio bianco” (The Young Master), il film vantava il titolo “Young Master in Love” prima di assumere quello odierno.
Dragon (Jackie Chan) e Cowboy (Mars) sono due cugini provenienti da una famiglia agiata, che invece di studiare ed esercitarsi nel kung fu, come vorrebbero i rispettivi padri, amano di gran lunga bighellonare, intrattenersi nei giochi più disparati e correre appresso alle gonnelle. Un giorno, però, scoprono per caso una banda di pericolosi malviventi senza scrupoli, capeggiati da un perfido orbo (Wang In-Shik): per i due cugini finisce il momento dei giochi e inizia quello della dura realtà. Inseguiti dai criminali, che non si fanno scrupoli di rifarsi sui familiari, Dragon e Cowboy si rimboccheranno le maniche ed affronteranno con tutte le loro forze la banda dell’orbo.
“I due cugini” è un film di confine: segna la fine di un percorso artistico che ha dato grande notorietà a Chan - quello del gongfupian in costume - per iniziare a sperimentare nuove strade e nuovi stili: ricordiamo che l’anno successivo Chan interpreta per la prima volta un poliziotto moderno, in “Winners and Sinners”, e quel ruolo sarà la premessa per l’esplodere, nel 1985, del fenomeno “Police Story”, che donerà all’attore-regista molta più celebrità rispetto ai comunque ottimi ruoli in gongfupian storici come “Drunken Master” (1978).
Chan vuole omaggiare quindi un genere a cui deve molto, e lo fa con tutti gli onori. Chiama una leggenda vivente come Wang In-Shik nel ruolo del villain, chiama a raccolta tutti i suoi stuntman - Mars in testa a tutti, a cui dona addirittura il ruolo da co-protagonista, evento non frequente nella carriera di quest’attore-stuntman - e dà il via ai giochi. Sì, i giochi, perché questi sono i veri protagonisti di “I due cugini”.
Entra negli annali del cinema la scena d’apertura del film con il “gioco” consistente nello scalare una montagna umana per afferrare una bandierina: vent’anni dopo verrà omaggiato da “Ong-bak” di Prachya Pinkaew, che si apre in modo identico (anche se il “gioco” è leggermente diverso). Parte importante nel film ricopre la partita di Jianzi, gioco tradizionale cinese dal V secolo a.C. - e recentemente sbarcato anche in Italia! - che assomiglia molto al calcio ma al posto del pallone c’è un piccolo volano... che non deve mai toccare terra.
Non mancano le inevitabili goliardate di cui la cinematografia di Hong Kong - e Chan in particolare - non è mai stata avara: scherzi più o meno innocenti fanno da contorno a tutta la storia, e questo è un elemento a cui Chan non ha mai detto addio.
Nasce infine con questo film l’usanza di Chan di inserire nei titoli di coda le riprese scartate e con vari errori: i cosiddetti bloopers. Sembra che all’attore sia venuta questa idea dopo aver lavorato in un piccolo ruolo nel film statunitense “La corsa più pazza d’America” (Cannonball Run, 1981), che infatti si chiude con gli errori durante le riprese.
Il film ha avuto una variegata distribuzione italiana. Dopo un’edizione in VHS negli anni Ottanta, arriva su pay-TV nel 1999 all’interno di una rassegna dedicata a Jackie Chan che è stata poi ripresa e riproposta per intero nei successivi dieci anni. Già nel 2000 conosce un’edizione digitale della Legocart, anche se di qualità bassa: è la semplice riproposizione dell’edizione andata in onda su pay-TV. La Elleu, nel 2004, ne propone un’edizione rimasterizzata e ampliata a 90 minuti, ripresa nel 2007 dalla DNC e nel 2009 dalla Dall’Angelo Pictures.
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