Difficile stabilire se Theo Griepenkerl sia un archeologo incredibilmente fortunato o dannatamente sfortunato. Sta di fatto che durante un suo soggiorno al museo di Mosul a Baghdad una bomba in strada fa crollare una scultura antica, portando alla luce nove rotoli di papiro che giacevano lì chissà da quanto tempo. Consuetudine vorrebbe che questi rimangano di proprietà del museo, ma si sa che l’archeologia raramente segue le consuetudini: il nostro Theo si infila in tasca il ritrovamento e se ne torna in patria.
Stiamo parlando de “Il vangelo del fuoco” (The Fire Gospel, Rizzoli) di Michel Faber, romanzo del 2008 che si presenta come satira tagliente del polverone che ogni volta viene sollevato non appena un romanzo o un saggio hanno come protagonista una diversa interpretazione dei canoni del dogma cristiano. Non importa che i romanzi siano solo storie, fiction, né quanto siano valide le argomentazioni dei saggi: il solo fatto che questi esistano è motivo di accesa e violenta discussione.
Faber decide di affrontare il tema in modo sarcastico, ipotizzando il ritrovamento addirittura di un vangelo incredibilmente prezioso: l’unico scritto durante gli eventi narrati e soprattutto compilato da chi li ha vissuti in prima persona.
Senza dire niente a nessuno del ritrovamento, il nostro Theo inizia a tradurre i nove rotoli di Baghdad e scopre che sono opera di Malco, personaggio citato nel Vangelo di Giovanni (18,18-20): «Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco.» Le “fonti” dicono che Gesù compì il miracolo curando l’orecchio mozzato di Malco, ma l’uomo invece racconta che sopravvisse a stento e rimase per sempre sordo: altro che miracolo! Ma questo non è che l’inizio.
«Fratelli e sorelle nel Messia! Scrivo queste parole nella più cupa infelicità»: così inizia il testo che man mano Theo traduce, in cui il povero Malco elenca tutti i malanni di cui soffre e si lancia in inutili giri di parole privi di qualsiasi valore. «Mi chiedi il vero nome di Taddeo. Taddeo, interrogato da me al riguardo, disse di chiamarsi Taddeo. E dunque anche a te devo ripetere che il suo nome è Taddeo»... «Quest’uomo è una palla, pensò Theo. Una palla mortale.»
L’archeologo ha paura d’aver fatto un buco nell’acqua, di aver cioè trovato un testo senza alcuna importanza se non squisitamente cronicistica. Ma alla fine si ricrede: ha per le mani la traduzione di un quinto vangelo... un vangelo esplosivo!
Con i fogli sotto il braccio, il nostro va a bussare a diverse case editrici per proporre la pubblicazione di un ritrovamento che farà epoca... anzi, farà storia. Si stupirà invece di quante porte chiuse troverà davanti: un breve saggio di un manoscritto di duemila anni prima non interessa a nessuno, molto meglio se avesse scritto un prolisso romanzone come “Il Codice Da Vinci” (che Faber non cita mai precisamente, indicandolo solo con “il Codice”).
«È un nuovo vangelo! - si sfoga Theo con un editore - Una versione fino a oggi sconosciuta della vita e della morte di Gesù Cristo, scritta in aramaico, la lingua che Gesù stesso parlava. Di fatto sarà l’unico vangelo scritto in aramaico: gli altri sono in greco. E precede di anni Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Io non capisco come sia possibile che gli editori non stiano facendo i salti mortali per pubblicarlo. Il 99,99 per cento dei libri non sono importanti, non davvero. Questo sì.»
Ma i canoni editoriali sono molto più dogmatici di quelli religiosi, e quando alla fine il lavoro dell’archeologo verrà pubblicato, i guai che nasceranno saranno di gran lunga superiori ai vantaggi.
Assunto lo pseudonimo di Grippin (migliore dell’improponibile Griepenkerl), Theo gira l’America promuovendo il libro e partecipando a trasmissioni TV, ogni volta cercando di spiegare che il suo non è un best-seller “fanta-religioso”, bensì la cronaca esatta e di prima mano di avvenimenti che gli altri Vangeli canonici non fanno che raccontare per sentito dire. Tutto è vano, perché nel migliore dei casi la sua viene vista come una mera operazione commerciale: nel peggiore viene visto come un diabolico attacco al cuore della cristianità.
Ecco la descrizione del libro:
TITOLO: Il Quinto vangelo: il testamento di Malco, l’apostolo perduto
AUTORE: Theo Grippin
Brossura: 126 pagine
Editore: Elysium
Lingua: inglese
ISBN: 978 00073 13266
Dimensioni: 23,6 x 15,5 x 1,7 centimetri
Un lettore fa notare che il codice ISBN la dice lunga sulla vera natura del libro: «(1+3+2) 66 = 666», il Numero della Bestia!
Il povero Malco, poi, è un testimone talmente in prima linea il giorno della crocifissione di Gesù, che è proprio sotto la croce quando l’uomo in agonia rilascia la propria vescica, inzaccherando il fedele sotto di lui. Il fatto che egli riporti anche questo sgradevole particolare nel suo scritto, fa capire quanto Malco sia onesto nel suo intento... ma fa anche immaginare che il Vangelo tradotto da Theo non avrà vita lunga.
Fra attentati e percosse la vicenda del Quinto Vangelo, chiamato dai giornalisti “Vangelo del fuoco” perché spesso viene bruciato oppure viene dato fuoco alle librerie che lo espongono, è irta di ostacoli. La fine è nebulosa, la seconda parte del romanzo di Faber è molto più debole della prima, e la conclusione confusa. Preferiamo chiudere citando il passo finale del testo di Malco: parole senza tempo...
«Tutto questo e altro ancora vidi e udii sotto la croce del nostro Salvatore. Ciò che ho scritto per voi è una minima parte di ciò che intesi allora.
Ed è questa la nostra sventura, fratelli e sorelle: parliamo di cose di cui è impossibile parlare. Tentiamo di conservare nella nostra carne imperfetta nozioni che la carne imperfetta non può contenere, come un folle che voglia rubare un raggio di luna e riporselo in saccoccia. Facciamo del nostro meglio per raccontare una storia che possa condurre altri verso Gesù, ma Gesù non è una storia. È la fine di tutte le storie.»
Di tutt’altra pasta è “Il Verbo” (The Word, Sperling&Kupfer) di Irving Wallace, mastodontico e indigesto romanzone del 1972 che vorrebbe porsi come thriller archeologico-religioso ma che in realtà non fa altro che mettere a durissima prova la pazienza del lettore.
Durante una campagna archeologica nelle rovine di Ostia antica, volta a «portarci più vicino alla verità sulla storia del Salvatore presentata nel Nuovo Testamento», il professor Augusto Monti dell’Università di Roma (non viene specificata quale università romana, ma in fondo l’autore è statunitense e quindi scusabile) «trovò quello che sperava di trovare.»
Sorvolando sulle motivazioni nebulose e sul fatto che raramente un archeologo trova ciò che sperava di trovare - le migliori scoperte sono quelle che non ci si aspettava di scoprire! - sappiamo dunque che viene recuperata «la fonte perduta dei Vangeli Sinottici, il cosiddetto documento Q, un quinto, ma in realtà il primo e originale Vangelo, il Vangelo secondo Giacomo, scritto da Giacomo, Giacomo il Giusto, fratello minore di Gesù, per registrare la vita del vero Gesù Cristo nel tempo in cui camminava sulla terra come uomo tra gli uomini, essere umano oltre che Messia, nel primo secolo del nostro mondo»: con questa forma prolissa, degna dell’evangelista Malco incontrato nel precedente romanzo, viene presentata la fenomenale scoperta del professor Monti.
Le datazioni non lasciano spazio a dubbi: il testo risale al 62 d.C., data incredibilmente simile a quella (66 d.C.) proposta da Carsten Peter Thiede per il Vangelo secondo Matteo, come si è visto nel precedente articolo. «Un Nuovo Testamento più antico di quasi trecento anni del Codice Sinaitico, - racconta giustamente emozionato un personaggio del romanzo, - una scoperta più antica di mezzo secolo di qualunque vangelo canonico, uno scritto attribuito a un parente del Cristo e testimone oculare della maggior parte della vita umana di Cristo.»
Steve Randall, il protagonista del romanzo, è un pubblicitario di successo che viene ingaggiato per curare la campagna relativa alla stampa di una “nuova” Bibbia che contenga il testo di «Giacomo di Gerusalemme, fratello del Signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, maggiore dei fratelli sopravvissuti del Signore e figlio di Giuseppe di Nazareth.» In realtà non ce ne sarebbe alcun bisogno, visto che il buon Giacomo non dice assolutamente nulla di nuovo (né di “alternativo”) a quanto già non si conosca sulla vita di Gesù: al massimo può essere considerato una conferma al già noto.
Ed è proprio così che il dubitante Randall, che la vita ha portato in bilico sulla linea dell’ateismo, intende questa nuova scoperta: allo stesso tempo un segno e una conferma della passata esistenza di Gesù e della sua natura divina. Come se non bastasse, nelle cadenti e prolisse pieghe del romanzo troviamo addirittura un bel miracolo fresco fresco! La segretaria che per prima - di nascosto - legge il Vangelo secondo Giacomo, ha poi una visione: «una luce vivida, quasi accecante, una palla di luce, ha fluttuato davanti ai suoi occhi, nella stanza, ed ecco lì la figura barbuta e togata di Giacomo il Giusto che alzava una mano nodosa e la benediceva.» Subito dopo la donna viene guarita, testimoniando che Wallace non è affatto interessato all’aspetto pseudobiblico della vicenda quanto a quello religioso.
Le successive (noiose) vicende di scontri teologici, ricatti, nemici e traditori, rendono la lettura de “Il Verbo” tendente all’infinito, riuscendo a superare in noia persino il Vangelo di Malco!
Va però messo in risalto un piccolo pseudobiblion che viene donato dal testo. Florian Knight è un professore malato di Oxford che, dopo molti anni di studi, è riuscito a vendere ad un importante editore un saggio intitolato “Cristo semplice”, una nuova biografia di Gesù dai cui proventi Knight contava di pagarsi la costosa operazione di cui aveva bisogno. La scoperta, due mesi prima della pubblicazione, del nuovo Vangelo è una doccia gelata: l’editore ovviamente non è più interessato al Cristo semplice e così il povero professore rimane con un palmo di naso. Niente miracolo per lui...
Ci congediamo da questo quinto evangelio cedendo la parola al buon Giacomo, sedicente fratello di Gesù. «Non vivete con la morte ma con la vita. Ricordate la mia parola, che è di aver fede, di dare amore, di fare opere buone. Perché beati saranno quelli che saranno salvati per aver creduto in questa parola.»
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