Le cicatrici del corpo, del cuore, dell’anima. I segni restano, anche quando esse guariscono. E non sempre si rimarginano. Perché questo titolo?

È stato un titolo trovato a romanzo già finito, a differenza di tutti i miei libri precedenti, che nascevano con un titolo già assegnato o ne trovavano uno quasi subito. Qui mi sono barcamenato tra titoli orrendi come “L’assassino dagli occhi celesti” o “Karmageddon” o addirittura “L’urlo” (okay, okay, vergognatevi per me). Poi, un giorno, come sempre accade, mentre guidavo la macchina, all’imbocco della tangenziale, entrata Lame, eccolo: “Cicatrici”. Semplice, perfetto. Le cicatrici sul corpo, sulla mente e sull’anima di tutti i protagonisti, nessuno escluso. Puoi coprirle con i vestiti, con nuovi corpi, nuove personalità, ma sono sempre lì..

Si può dire che il movente fondamentale di queste storie (e di queste matrioske) sia l’amore, pur nelle sue deviazioni?

L’amore, e la vendetta. Che nasce da un amore orribilmente tradito, certo (amore di una figlia per il padre, ad esempio). E poi c’è l’amore ingenuo e candido di Nemo per Felice, l’amore malatissimo tra Felice e Branca, l’amore fraterno tra Hugo e Litos che d’improvviso esplode in un sentimento ben diverso... anche perché il finale del romanzo getta una luce diversa su tutta questa rete di rapporti.

L’importanza delle date ha una valenza quasi cabalistica. Perché la scelta di questa corrispondenza numerica?

A differenza dei miei altri libri (quasi tutti, almeno), qua c’è pochissima musica... almeno nel senso di titoli di canzoni e nomi di gruppi, dato che in realtà la musica, in senso primordiale, è fondamentale per la trama. C’è un traditional irlandese, e c’è la nota canzone dei Beatles Eleanor Rigby, scritta da Paul McCartney. Una canzone che parla di persone solitarie, come sono Nemo e Felice. Il 18 giugno 1942, su questo non ci piove, è nato Paul McCartney. Che, secondo le leggende del rock (a cui non crediamo ma ci piace credere che siano vere), sarebbe morto l’8 novembre del 1966 per poi essere rimpiazzato da un sosia. Ora, in apparenza questa scelta delle date potrebbe essere un giochino stupido da nerd musicale. In realtà, come spiego nelle note finali del libro, cela una sottotrama interessante...

Come ti poni, personalmente, di fronte al tema della reincarnazione?

Come di fronte alla morte di Paul McCartney (vedi sopra). Comunque ho fatto per anni dei sogni ricorrenti che un esperto di ipnosi regressiva giudicherebbe come dei ricordi di vite precedenti (anzi, di morti precedenti)... e un pomeriggio, sulle mura di un castello ad Arles, in Francia, ho avuto una sensazione orribile e inspiegabile di terrore puro. Qui si fermano le mie certezze sull’argomento reincarnazione!

Lisa, Felice, Nemo Quegg. Come scegli i nomi di una storia?

I nomi dei personaggi sono molto importanti, per me. Da lettore, se mi trovo ad affrontare un romanzo di cui magari leggo venti pagine al giorno, e i personaggi si chiamano Luca, Marco, Elena, Andrea, magari quando riprendo in mano la storia scopro di aver dimenticato se Luca è il fratello di Marco o Elena è la moglie di Andrea oppure la moglie di Andrea è Elisa, o... ecco, se i personaggi si chiamano Aldo Ferro, l’Orrido o Nemo, oh, sarà un trucchetto banale, ma il lettore se lo ricorda, secondo me, chi sono. Nessuno mi ha mai detto “Sai che mi sono confuso, non mi ricordavo se l’Orrido era l’amico del protagonista o il ragazzo della Betty o...”

Nemo, nello specifico, è nato nel senso di: Nessuno, un uomo anonimo, senza identità. Quegg, perché per calarmi nel clima di Cicatrici ho riletto Spider di Patrick McGrath, e mi sono ispirato al cognome Clegg.

Felice, nome da uomo attribuito a una donna, perché è un nome kafkiano, e perché è l’esatto contrario di quel che il personaggio è. Lisa, perché non c’era nessun personaggio che cominciasse con la Elle. Che è un’altra cosa che cerco di non fare: non dare la stessa iniziale ai nomi dei personaggi. Un altro modo per non confondere il lettore...

Com’è l’ambiente editoriale in Italia?

Dipende da come lo vivi e da chi frequenti. Io lo vivo benissimo e frequento persone stimolanti, divertenti e collaborative. Altri potrebbero dirti che è un ambiente deprimente, afflitto da incompetenti in posizioni chiave, squallide logiche mercantili, scrittori che polemizzano e non scrivono, scrittori che insegnano a scrivere e non sanno scrivere, tuttologi senza qualifica, il tutto inserito in una nazione afflitta da analfabetismo di ritorno...

Che devo dire? Si vede che non frequentiamo le stesse persone!

E quello intellettuale? Partecipi alle polemiche letterarie?

Non ci penso nemmeno. Vabbè, intanto non sono un tipo molto polemico di natura, e poi... seguire le polemiche letterarie sui vari siti e blog letterari mi fa sentire terribilmente ignorante. Vedo tutti questi polemisti che ti spiegano come si deve scrivere e come non si deve scrivere citando gli inediti di Manganelli, Gilles Deleuze, il romanzo dell’ottocento e le antiche tavolette egizie. Lì, intimidito, mi sento quel che Enrico Brizzi avrebbe definito “un contadino di Gambettola”. Poi medito un po’, mi chiedo “Ma questo qui che con tono da maestrino spiega a tutti come si scrive e come non si scrive citando Manganelli, Gilles Deleuze, il romanzo dell’ottocento e le antiche tavolette egizie, questo qui che cosa ha pubblicato in vita sua? Due racconti in un blog?” A quel punto mi volto, guardo lo scaffale che contiene tutti i miei libri, l’opera omnia 2001-2010, e mi sento subito molto meglio.

Progetti?

Un miliardo e mezzo. Un romanzo a quattro mani (“Serena variabile”), un libro di racconti (“Spargere il sale”), un altro romanzo progressive noir (qualunque cosa voglia dire) già consegnato a Guanda (“Stanotte muoio”), un altro libro di racconti (“Cadiamo tutti quanti come mosche”), un romanzo intitolato “L’uomo liscio”, un altro intitolato “La tempesta”, uno intitolato “Bob Dylan spiegato a una fan di Madonna e dei Queen”, un libro su Andrea Pazienza (“Un cuore coperto di piume”...). Ah, ho anche una vita, tra le altre cose.

Ultima domanda, se mi è consentita. Se mi rispondi prometto che non lo dico a nessuno... Ma il padre... perché gli era venuto il ghiribizzo di sterminare la sua famiglia?

La pessima cucina della moglie? No, a parte gli scherzi, il raptus non ha, suppongo, una precisa motivazione... a meno che la spiegazione, in questo caso, non sia quella che dà Nemo a pagina 220, la canzone alla radio, le memorie sepolte che si svegliano al richiamo di una sequenza di note, la vendetta che scatta irrefrenabile...

Ma il raptus omicida ha un significato? Rappresenta l’inconsapevolezza, l’imprevedibilità o nulla di tutto ciò?

Uno degli incubi peggiori di tutti noi è quello di diventare vittima di una follia imprevedibile e incontrollata. Il vicino di casa un po’ ombroso che ti accoltella in ascensore, lo sconosciuto che ti ammazza per strada perché gliel’ha ordinato una voce nella testa... il gesto del padre si può spiegare nei due modi (il raptus, o la spiegazione di Nemo), ma in fondo, per le sue vittime, cambia ben poco.

Salutaci con una citazione da “Cicatrici”

“Ci fosse stato anche un sasso o un pezzo di catrame, in quel pacchetto, l’idea che Felice avesse sprecato una domenica mattina per cercare un negozio aperto, che avesse speso i suoi soldi per me, che avesse sprecato qualche pensiero per trovare un regalo per me, mi sembrava la cosa più gratificante del mondo.”