Più di un film ha fallito miseramente cercando di condensare negli stretti limiti della pellicola la ricchezza di eventi di un romanzo: quante chance può avere un film televisivo che si imbarchi nell’assurda impresa di rendere visivamente una storia costituita da cinque voluminosi romanzoni e svariati racconti? Sarebbe stato bello scrivere che malgrado tutto l’operazione è riuscita: invece l’operazione, ripetuta inspiegabilmente per ben due volte, fallisce miseramente.
Nel 2005 il portoghese José Saramago immaginò un paese in cui un bel giorno la Morte decide di non presentarsi più: nel romanzo “Le intermittenze della morte” si immaginano le più incredibili e sorprendenti conseguenze della cessazione di questo processo “vitale”, quasi a dimostrazione che la vita senza la morte... sarebbe un inferno!
Più di trent’anni prima un autore molto distante, sia geograficamente che stilisticamente, aveva avuto un’intuizione simile, ma trattandosi dell’incontenibile ed apocalittico Philip José Farmer, quest’intuizione acquisì proporzioni titaniche. Immaginò ciò che ogni essere umano ha immaginato dall’inizio dei tempi: il Grande Risveglio dopo la Morte, una nuova vita che non conosce altra fine... e anche in questo caso non stiamo parlando del Paradiso.
Nel 1971 Farmer stupì ogni lettore presentando “Il fiume della vita” (To Your Scattered Bodies Go, titolo tratto da un verso di John Donne: «Andate a raccattare i vostri corpi»), romanzo che può piacere o non piacere ma che di sicuro non lascia indifferenti. Immaginatevi l’umanità che si risveglia... miliardi e miliardi di uomini e donne si risvegliano nudi e con il corpo sano di un venticinquenne, indipendentemente dall’età della loro morte. Ad ognuno viene fornito cibo, alcol, fumo e droga e può vivere per sempre... Il Paradiso? Stiamo parlando della razza umana, quindi non può che trattarsi dell’Inferno!
Mentre i corpi sono stati “sanati”, non così le menti: immaginatevi tutti i più grandi criminali della storia tornati in vita, tutti i popoli guerrieri più violenti e sanguinari, e visto che è impossibile ucciderli - perché in questo allucinante Mondo del Fiume se si muore ci si risveglia ventiquattr’ore dopo - sulle coste di un fiume lungo milioni di chilometri l’umanità dovrà iniziare da zero e organizzarsi, allearsi e intraprendere il percorso più difficile della storia umana: la convivenza!
La domanda nasce spontanea: viste le dinamiche cinematografiche statunitensi, chi mai potrebbe anche solo prendere in considerazione l’idea di creare un film che mostri miliardi di uomini e donne nude sulle rive di un fiume quasi infinito? Eppure per ben due volte questa idea ha preso vita, addirittura in ambito televisivo, dove cioè le risorse sono molto più limitate e la censura più tangibile.
Nel 2003 ci prova il regista canadese Kari Skogland con un breve film televisivo: “Riverworld - Il popolo del fiume”, che riprende il titolo con cui viene indicata la saga farmeriana (che si svolge appunto in un mondo costituito dalle rive di un immenso fiume). In meno di novanta minuti ci si prefigge di raccontare migliaia di pagine: malgrado obiettivamente Farmer ami “allungare il brodo” e si lasci andare molto spesso a lungaggini che mettono a dura prova il lettore, rimane impossibile racchiudere negli striminziti limiti di un film televisivo una storia di così ampio respiro.
Dopo un inizio abbastanza fedele al romanzo, dove il protagonista e molti altri si risvegliano nudi e increduli nell’acqua di un fiume, scoprono come ricevere da mangiare da delle strutture misteriose poste sulla riva e cominciano a interrogarsi sul motivo che ha portato persone talmente diverse in quel posto, la pellicola decide di dare un taglio completamente diverso alla storia per ovvie esigenze filmiche: spariscono alcol e droga libere, sparisce l’immortalità e quindi tutta la storia si trasforma... in una lunga puntata del telefilm “Hercules”! A sorpresa, infatti, i neo-risvegliati vengono rapiti da un signore medioevale - un uomo cioè che, risvegliatosi anni prima, ha avuto il tempo di organizzare un feudo fortificato da cui spadroneggiare sulla regione - e per il resto del film vivranno vicende strettamente legate a quel posticcio fantasy-medioevale a cui la TV statunitense è tanto legata.
Si ritorna al testo farmeriano solo quando i fuggiaschi protagonisti incontrano un uomo che ha costruito un battello per percorrere il lungo fiume: quell’uomo è Mark Twain!
Una delle grandi intuizioni della saga di Farmer è quella di usare come protagonisti personaggi storici realmente esistiti che, totalmente fuori dal loro contesto e a stretto contatto con altri personaggi di epoche e luoghi distanti, danno vita a situazioni inedite. Protagonista assoluto del primo romanzo è Sir Richard Francis Burton, il celebre esploratore e uomo di cultura ottocentesco: visto che fra le sue molte imprese quella più celebre rimane la navigazione del Nilo per scoprirne le sorgenti, è un personaggio perfetto per il Mondo del Fiume...
Protagonista del secondo romanzo (anche se i protagonisti nella saga vanno e vengono) è Samuel Clemens detto Mark Twain, il cui sogno dopo il Grande Risveglio è quello di costruire un enorme battello a vapore per navigare non già il Mississippi bensì il Grande Fiume.
Malgrado nella saga troviamo altri celebri nomi come Cyrano de Bergerac, Mozart e persino Ulisse, nel film tutto questo si riduce a solo due nomi noti: il citato Twain con il suo battello e un improbabile Nerone che decide di ricostruire l’impero romano. Il tutto però privo della sagacia farmeriana, tanto che questi personaggi potrebbero chiamarsi in ben altro modo e la sostanza non cambierebbe di un punto.
Il Twain del film è solo uno strano co-protagonista che ha un battello dove, dopo varie peripezie, i protagonisti salgono e partono per un viaggio alle sorgenti del Fiume. E il finale? Da questo punto di vista la pellicola è onesta: impossibilitata ad arrivare alla fine del fiume di parole costituito dalla saga, lascia tutto in sospeso come a voler strizzare l’occhio a futuri sequel... che non sono però mai stati prodotti.
Stessi identici difetti, con l’aggiunta di altri ben peggiori, vanta il film apparso recentemente sugli schermi americani, e ancora inedito da noi: “Riverworld” (2010) di Stuart Gillard. Malgrado non sia specificato - e malgrado i molti sceneggiatori accreditati - la miniserie in due puntate è troppo legata alla struttura del precedente film per presentarsi realmente come trasposizione della saga di Farmer.
Dopo un’introduzione totalmente inutile, sulle rive del Grande Fiume si risvegliano le vittime di un’esplosione vestite di tutto punto con gli abiti che avevano al momento della morte: il discorso universale che Farmer aveva concepito, in minima parte ripreso dal film del 2003, sembra abbandonato, così come di nuovo scompaiono alcol e droga liberi, nudità e immortalità... Perché fare un film da un romanzo che parla esclusivamente di argomenti che non si possono mostrare in TV?
Ben poche sono le aggiunte che i 180 minuti del film mostrano rispetto al precedente. Si pone molto più l’accento sugli Etici, esseri che controllano il Mondo del Fiume e al cui interno sembrano esserci dissidenti: uno di questi aiuterà dodici prescelti, nella saga di Farmer, mentre nel film due Etici faranno più la parte di maghi ribelli che di dèi.
Troviamo di nuovo Mark Twain con il suo battello - la cui costruzione, protagonista dell’intero secondo romanzo della serie, viene data per scontata - e a sorpresa incontriamo anche Richard Burton... in versione però cattiva! Senza alcun motivo il film prende il grande eroe della saga farmeriana e lo fa diventare bieco villain da operetta, che arriva a concupire la bella di turno come in ogni storia pulp che si rispetti. L’aggiunta del dirigibile, come nel terzo romanzo della saga, non serve ad altro che a rendere farraginosa la pellicola e a parte qualche momento ispirato - come la guerriera nipponica che forgia la spada... in un mondo che nella saga letteraria è quasi totalmente privo di metalli! - “Riverworld” è nel complesso una miniserie indigesta da dimenticare.
In chiusura, queste due trasposizioni filmiche della saga di Farmer dimostrano un grande paradosso nella moralità occidentale: il celebre scrittore di Peoria regala il Paradiso ai propri personaggi i quali - esseri umani e quindi tendenti all’umano abominio - lo trasformano in un Inferno, mentre le pellicole cancellano tutto ciò che rendeva paradisiaco il Mondo del Fiume, rendendolo quindi a priori già un Inferno!
Gli eroi del Fiume sono nudi, copulano liberamente - non si rischiano né gravidanze, perché come nessuno muore più nessuno nasce più, né si rischiano malattie veneree, visto che non esistono né microbi né batteri né virus - fumano e bevono in quantità modica e se muoiono entro 24 ore rinascono da un’altra parte... Stranamente, tutti questi fattori “paradisiaci” sono vietati in televisione, mentre quelli “infernali” della violenza, dell’odio, della furia e del dolore ne sono la linfa vitale...
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