Nel 1770 il reverendo James Wilmot partì da Barton-on-the-Heath per recarsi a Stratford-upon-Avon alla ricerca dei posti e delle atmosfere in cui era vissuto l’artista che più di tutti egli amava: William Shakespeare.

Arrivato nel paesino in cui l’autore era nato e morto, Wilmot cominciò a chiedere informazioni su di lui e fu devastante per il povero reverendo constatare... che nessuno aveva idea del perché egli stesse cercando Shakespeare in quel paese! Non c’erano tracce del passaggio del grande Bardo a Stratford, e dopo diversi anni Wilmot non riuscì a trovare una sola singola prova che lì o nei paraggi avesse mai soggiornato l’autore di un’opera così illustre. Wilmot cominciò a mettere per iscritto le sue ricerche, anche perché queste lo portarono ad una conclusione incredibile: William Shakespeare non era altro che uno pseudonimo dietro cui si nascondeva un altro autore, che non volle mai svelarsi. Il reverendo trovò le prove che questo autore misterioso era in realtà il filosofo Francis Bacon, coetaneo del buon William. Di tutto il materiale raccolto, però, Wilmot non ebbe il coraggio di pubblicare nulla: sul letto di morte l’uomo confessò tutto all’amico James Cowell. Quest’ultimo decise di rivelare al mondo il lavoro del reverendo, e nel 1805 tenne una conferenza all’Ipswich Philosophic Society in cui spiattellò tutto quanto: soltanto nel 1932 questa conferenza vide un’edizione pubblicata, e fece

Rev. James Wilmot
Rev. James Wilmot
sì che in tutto il mondo nacquero adepti alla teoria che fu in realtà Bacon a scrivere le opere firmate da Shakespeare.

 

Questa storia è talmente affascinante e sorprendente che non si può fare a meno di definirla “troppo bella per essere vera”. E infatti, come spesso accade nelle storie bibliofile, non è vera! (O almeno non ci sono prove che sia vera)

Anche al più profano dei ricercatori sarebbe bastato consultare una guida storica del paese in questione, come “A Guide to Stratford-upon-Avon” di R.B. Wheler del 1814, per scoprire che nell’anno del Giubileo 1768 era stato inaugurato in pompa magna un monumento a Shakespeare nel centro del paese: com’è possibile, ci si chiede, che solo due anni dopo il reverendo Wilmot non abbia potuto vederlo?

Se già questo potrebbe instillare il dubbio, la pietra tombale su quanto sopra raccontato arriva il 21 aprile scorso, quando sul The Time Literary Supplement Charles Nicholl anticipa i temi dell’ultimo saggio su Shakespeare scritto da James Shapiro, “Contested Will: Who wrote Shakespeare?”. «Le conferenze di Cowell sono state spesso citate ed

usate come prova autorevole a favore della tradizione anti-Stratfordiana - dichiara Nicholl dopo aver ricostruito la ben nota storia della nascita dell’idea baconiana. - Ma Shapiro scopre degli anacronismi». L’uso di termini sconosciuti nel 1805 e di errori geografici hanno infatti messo in guardia l’autore, il quale ha cominciato ad indagare più a fondo arrivando ad ancor più incredibili rivelazioni: non ci sono prove che sia mai esistito un fantomatico James Cowell, né che sia mai avvenuta la sua conferenza nel 1805, e visto che il reverendo James Wilmot non parlò mai di Shakespeare, quanto sopra raccontato è più accostabile ad una leggenda, se non ad un’impostura, che ad una storia vera.

Questa lunga introduzione è servita per dimostrare che quando si parla di Shakespeare niente è sicuro, niente è dimostrabile, niente è “onesto”. Ci sarà sempre, come c’è sempre stato, qualcuno talmente convinto di aver scoperto la vera identità del Bardo da essere disposto a manomettere o “aggiustare” le prove a favore della propria tesi. Esistono appassionati che studiano e incrociano con complessi calcoli matematici le parole delle opere di Shakespeare alla ricerca di fenomenali rivelazioni, e ovviamente le trovano. Per esempio esistono tre versi nel “Giulio Cesare” shakesperiano in cui il primo inizia per B, il secondo per A

Francis Bacon
Francis Bacon
e il terzo per CON... B-A-CON. È su questo genere di prove che si basano molto seri studiosi!

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, c’è chi afferma essere stato Michelangelo o Giovanni Florio il vero poeta, spostando quindi le origini di Shakespeare fino in Sicilia (malgrado, come abbiamo visto, Michelangelo fosse toscano e Giovanni svizzero naturalizzato inglese!)

Esistono molti altri candidati alla carica di grande Bardo, ma per nessuno di loro esiste una prova che sia superiore ad una mera coincidenza o a un labilissimo indizio. Non sarà certo questa rubrica a risolvere l’enigma né a screditare le altre ipotesi più di quanto queste non si screditino da sole.

Vogliamo chiudere questo speciale parlando invece di un argomento che a quanto pare non viene preso in considerazione, forse perché non considerato importante. Mentre schiere di storici, letterati e studiosi vari si sono scervellati nello scoprire chi fosse in realtà Shakespeare, pare che nessuno abbia dato importanza a qualcosa di ancor più misterioso: chi ha creato il personaggio Shakespeare?

Come si è detto precedentemente, nessuno ha mai saputo nulla dell’artista Shakespeare, e le prove certe sull’uomo sono esigue: come mai noi oggi invece abbiamo fior fore di biografie? Ben Jonson (1572-1637) visse e lavorò fra i teatri londinesi insieme a Shakespeare, c’è chi dice che gli fu amico chi invece che gli fu grande avversario, ma comunque nel suo “Timber, or Discoveries made upon Men and Matter” (1616) spende pochissime parole per l’uomo con cui dovette misurarsi professionalmente per molti anni. «Ho memoria che gli attori

Ben Jonson
Ben Jonson
comici raccontavano spesso ad onor di Shakespeare non aver questi, mentre scriveva, mai cancellato un sol verso, e ch’io rispondeva: Vorrei che ne avesse cassati ancor mille.» Com’è possibile che Jonson visse e lavorò a stretto contatto con il Bardo (la compagnia di quest’ultimo mise in scena anche dei lavori teatrali di Jonson) eppure non ha null’altro da riportare se non dicerie di anonimi? Com’è possibile che storici di secoli posteriori abbiano invece informazioni molto più minuziose?

Noi non abbiamo una risposta, ma questa rubrica si occupa di giochi letterari, e quindi avanza un’ipotesi: e se William Shakespeare non foss’altro che un divertissement letterario? Uno “scherzo” nato negli ultimi anni del Cinquecento e chiuso con l’incendio del Globe Theatre nel 1613 (incendio doloso: un avvertimento che qualcuno non stava gradendo l’operazione?), e che vide un secolo dopo novella vita?

Chiediamo al lettore di seguirci con occhio benevolo in questa nostra personale operazione: la ricostruzione dell’affaire Shakespeare come se fosse un Kilgore Trout ante litteram, cioè un autore inventato... che ad un certo punto prese vita autonoma!

Alcuni autori dell’epoca raccontano che i teatri londinesi avevano dei giovani stallieri che si prendevano cura dei cavalli dei signori che si recavano fin lì: questi erano chiamati gli Shakespeare Boys. Interrogati sull’origine del nome, questi dicevano che originariamente un ragazzo giunto dalla campagna, costretto a fuggire da Stratford-upon-Avon perché accusato di aver cacciato i cervi del signore locale, si era fatto notare per la grande cura nel badare ai cavalli davanti ai teatri. Col tempo fece fortuna e prese dei ragazzi a lavorare per lui, istruendoli a dovere; col passare del tempo, quei ragazzi assunsero altri ragazzi e alla fine questi presero il nome di quel campagnolo: Shakespeare. Chiunque a Londra frequentasse i teatri conosceva questa storia, e un giorno un misterioso autore, che per motivi ancor più misteriosi non voleva firmare le proprie opere, cercando uno pseudonimo ispirato decise di adottare quello più legato al teatro: William Shakespeare. Chi avrebbe voluto indagare su questo nome, non avrebbe trovato nulla, e così l’identità del vero autore sarebbe rimasta al sicuro (così come infatti è tuttora al sicuro dopo quattrocento anni!)

Chi sapeva tacque e resse il gioco, il quale durò fino al 1613, quando

Prima opera omnia shakespeariana
Prima opera omnia shakespeariana
qualcuno diede fuoco al teatro nato intorno alla compagnia shakespeariana: l’autore scomparve nel nulla. William Shakespeare uomo morì anni dopo nel suo paese, senza aver scritto una sola altra parola e lasciando la figlia ben sistemata ma analfabeta...

Intanto a Londra copie non autorizzate delle opere shakespeariane andavano a ruba, facendo capire che si trattava di un affare molto lucroso. Nel 1623 John Heminge e Henry Condell decisero di cavalcare l’onda e pubblicarono la prima vera raccolta ufficiale dell’autore: loro ed altri che lo conobbero (e che quindi avevano retto il gioco, come appunto di nuovo Jonson) si sperticarono in odi e lodi nelle pagine dell’opera... ma non sprecarono una sola parola a parlare dell’uomo Shakespeare. E così per un secolo: a nessuno pareva importare molto di chi fosse veramente l’artista, dando giustamente più valore alla sua opera.

Si arriva quindi alla seconda parte del divertissement letterario, quando cioè l’autore inventato prende vita.

I biografi che nel corso dei secoli hanno stilato il ritratto di Shakespeare non possono rifarsi all’edizione citata del 1623, così avara di

informazioni, né al già citato passo di George Steevens con le sue tre righe di dati biografici. Si fa invece più affidamento sulle “Notizie intorno alla vita di Guglielmo Shakespeare” di Nicholas Rowe (1674-1718) e inserite nel The Works of William Shakespear in six volumes pubblicato nel 1709 a Londra. «Sembra che agli uomini, per ingegno e dottrina cospicui - premette Rowe - si debba una special reverenza, col tramandare alla memoria de’ posteri la conoscenza non tanto di essi, quanto delle opere loro. [...] Siamo premurosi di scoprire qualche loro personal circostanza, le famiglie cui appartenevano [...] anzi non restiamo nemmen soddisfatti dell’istoria d’un uomo celebre, se non vi si trovi la descrizione delle più piccole cose che lo riguardino.» (traduzione di Michele Leoni del 1819). Sembra quasi che Rowe veda come un vizio inopportuno quello di stilare note biografiche, così con il sorriso sulle labbra comincia a dare soddisfazione a quanti inopportunamente cercano informazioni particolareggiate. Compone un ritratto più che condito dell’autore, dandogli finalmente lo spessore da uomo oltre a quello esclusivamente di artista su cui i precedenti saggisti avevano puntato. Presi i dati comprovati, presi i “sentito dire”, aggiunto qualche colorito aneddoto (come la leggenda non dimostrata secondo cui l’artista interpretò il ruolo del fantasma del padre di Amleto), unito tutto sapientemente, Rowe creò la vita di William Shakespeare a cui tutti i successori hanno fatto riferimento.

Non poteva mancare uno pseudobiblion. Nella parte finale della biografia di Rowe (parte che, stranamente, non venne tradotta nell’edizione

Nicholas Rowe
Nicholas Rowe
italiana!), egli racconta che «C’è un libro di poesie, pubblicato nel 1640, sotto il nome di Mr. William Shakespeare, ma io ne ho avuto notizia se non molto tardi: senz’avere la possibilità d’alcun giudizio su questo, non posso determinare se sia una sua opera o meno.» Operazione deliziosa del lasciar in sospeso un’informazione difficilmente controllabile.

«Questo è quanto ho potuto raccogliere di qualche importanza in riguardo a Shakespeare e alla famiglia di lui» afferma Rowe, senza però farci sapere dove abbia raccolto quanto scritto e come abbia potuto trovare certe informazioni.

In conclusione, uno o più autori misteriosi scrissero delle opere firmandosi William Shakespeare; amici e colleghi, come Ben Jonson, tacquero e ressero il gioco. Un secolo dopo, conscio che i lettori volevano particolari biografici, Nicholas Rowe si unì al gioco creando il personaggio di Shakespeare.

Vorranno scusarci gli storici della letteratura per quanto fin qui scritto: non esistono prove che Rowe o chiunque altro abbia messo in atto un qualsiasi gioco letterario o che abbia mai scritto men del vero. Però i dati sopra riportati sono tutti reali e dimostrabili: questa rubrica si è solo divertita a rielaborarli in una forma inedita.

È importante che il lettore capisca quanto sia facile modificare la realtà perché acquisti valenza di leggenda. Lo si è visto all’inizio di questo articolo con la storia di Wilmot e dell’immaginario Cowell. Lo si può vedere nel fatto che il grande Bardo è nato e morto lo stesso giorno dello stesso mese: il 23 aprile. Per secoli si è cercato di affondare questa leggenda, perché è una qualità squisitamente propria del falso autore: anche Jean-Baptiste Botul è nato e morto lo stesso giorno dello stesso anno, il 15 agosto, e infatti è un autore inventato da Frédéric Pagès (come ha scoperto sulla propria pelle il celebre filosofo Bernard-Henri Lévy, che nell’ultimo suo saggio di quest’anno ha fatto riferimento all’opera di Botul, guadagnandosi una delle più epiche figuracce in ambito letterario!)

Come disse il geografo e filosofo Franco Farinelli nei confronti di Cristoforo Colombo, «di lui più si studia e meno si comprende». Più si cerca di far luce sul mistero di Shakespeare, più si finisce nelle tenebre.

Chiudiamo con un’ultima ulteriore provocazione. Paolo Cortesi, nel suo “I manoscritti segreti” (Newton Compton 2003) racconta che due anni prima che Shakespeare sposasse Anne Hathwey (uno dei rari eventi comprovabili della sua vita), c’è un documento che dimostrerebbe che la donna andò in sposa ad un altro uomo. L’autore pone l’accento sul fatto che la donna, quando sposò Shakespeare, risultava non precedentemente sposata e quindi un ennesimo mistero avvolge il Bardo. A noi invece interessa un altro particolare: l’uomo che Anne sposò prima di Shakespeare si chiamava William Wilson.

Come sa chi ha letto anche solo di sfuggita Edgar Allan Poe, William Wilson è il personaggio che rappresenta il doppelgänger per eccellenza, il doppio, l’altro da sé... la più squisita ed illuminata falsità letteraria! Anne Hathwey, nel giro di due anni, sposò William Wilson e William Shakespeare, i due più luminosi e illuminati esempi dell’inganno

Ultima pagina del testamento di Shakespeare
Ultima pagina del testamento di Shakespeare
letterario, del gioco di specchi per eccellenza che trovò compimento e sublimazione il 25 marzo 1611, quando Shakespeare stilò il proprio testamento ed alcuni suoi amici firmarono da testimoni. Uno di questi si firmò Hamlet... lo stesso nome del figlio morto bambino del campagnolo di Stratford-upon-Avon, lo stesso nome che pronuncia il padre fantasma della tragedia omonima, di cui si dice Shakespeare ricoprisse il ruolo...

Parafrasando Macbeth, la leggenda di William Shakespeare è composta della materia stessa di cui è fatta la letteratura: la più vera di tutte le menzogne.