L’inglese China Miéville sosteneva di voler scrivere un romanzo per ogni genere, invece ha finito per essere un grande manipolatore dei generi, capace di mescolarli, sovrapporli e stravolgerli con l’abilità di un alchimista della parola. Basta leggere la sua saga di Bas-Lag (Perdido Street Station, La Città delle Navi, Il Treno degli Dei e il racconto Looking For Jake), per rendersi conto di come Miéville sia capace di passare da steampunk a cyberpunk, dall’horror lovecraftiano al fantasy moorcockiano, fino alla distopia politica.
L’unico altro autore che forse un po’ gli si avvicina, anche se con molta più ironia, è il compianto Carlos Trillo, lo sceneggiatore di fumetti argentino, i cui lavori spesso ibridavano generi e filoni all’apparenza lontanissimi. Sicuramente Trillo, patito dei gialli hardboiled di Raymond Chandler e Dashiell Hammett, avrebbe apprezzato il romanzo di Miéville La Città & la Città (2009), edito da Fanucci.
La trama, ambientata in una immaginaria città dell’Est, Beszel, parte come il più classico dei gialli “alla Chandler”: il cadavere di una ragazza senza documenti viene rinvenuto un quartiere malfamato e il caso viene assegnato al rude e disilluso ispettore Tyador Borlù della polizai. Solo dopo un paio di capitoli e alcune false piste scopriamo che la vittima è una studentessa americana, ma allo stesso tempo veniamo a conoscenza anche di un elemento degno di un episodio di Ai confini della realtà: esiste un’altra città, Ul Qoma, “intersecata” con Beszel. Non si tratta di un mondo parallelo, ma di due diverse città-stato che occupano lo stesso territorio, ma i cui rispettivi cittadini sono obbligati dalla Legge a ignorarsi a vicenda, a “disvedersi”, secondo un neologismo usato nel romanzo.
Questa Legge vale anche per gli edifici, le auto e persino gli animali. Su tutto vigila un organismo chiamato la Violazione, che interviene quando qualcuno passa, volontariamente o meno, da una città a l’altra, oppure smette per un qualche motivo di disvedere. Eppure esistono persone, come la studentessa uccisa, che sostengono l’esistenza di una terza città, Orcini, assolutamente invisibile, localizzata forse nella zone in cui l’appartenenza a Ul Qoma o a Beszel è dubbia.
Alla fine l’ispettore Borlù dovrà fronteggiare nemici che stanno nella alte sfere della politica e della finanza, finendo per lasciare anche la sua Beszel e trovarsi nella singolare posizione di essere uno straniero a pochi passi da casa propria.
Il poliziesco si ibrida quindi con la cosiddetta “narrativa ipotetica” che Isaac Asimov considerava qualcosa di diverso sia dalla fantascienza che dal fantastico. In questo ambito si possono facilmente far rientrare le distopie di George Orwell, Aldous Huxley e Ray Bradbury, ma anche opere molto singolari come Stregoni Associati di Robert Sheckley (con un mondo dove la magia fa parte della vita quotidiana), Erehwon di Samuel Butler (nel quale ammalarsi è considerato un crimine) e finanche Flatland di Edwin A. Abbott (un mondo con sole due dimensioni).
Miéville, che è anche un attivista della sinistra extraparlamentare, non lesina i richiami ai paradossi dell’attuale situazione mondiale: Beszel è una città con un governo liberale e multipartitico, ma povera; Ul Qoma, al contrario, è un regime totalitario, soggetto a sanzioni dagli USA, ma ricco. Ad un certo punto c’è persino la descrizione di una “rivoluzione colorata”, ossia la sollevazione di una minoranza di scontenti manipolati dai poteri forti, che finisce per venire confusa con un moto popolare vero e proprio.
Si potrebbe a lungo speculare su dove localizzare effettivamente queste due città-stato: alcuni elementi fanno pensare ad un paese affacciato sul Mar Nero, ma altri, come il fatto che i personaggi parlano dell’Europa come di qualcosa di lontano, induce invece a supporre che forse ci troviamo in uno di quei territori ex sovietici dell’Asia centrale. In fondo si tratta però di speculazioni oziose, visto che Miéville ci ha già abituato a metropoli “impossibili”: la decadente New Crobuzon percorsa dai fiumi Cancrena e Bitume, Armada, la città dei pirati costituita da più navi collegate insieme, persino i convogli de Il Treno degli Dei sembrano un po’ una metropoli su rotaia. L’autore ammette in questa sua mania per gli scenari urbani deliranti di essere stato fortemente influenzato da Mervyn Peake e dalla sua trilogia di Ghormenghast, dove un castello (che copre un’intera nazione) pare essere uscito da quadri di Bosch: una stanza è infestata da gufi carnivori, signore prendono il tè attorno ad un albero cresciuto orizzontalmente da una parete e c’è persino una torre piena d’acqua in cui nuota un cavallo.
Al lettore italiano non può a questo punto non venire in mente Italo Calvino con uno dei suoi libri più personali Le città invisibili. Anche lì descrizioni visionarie di luoghi inesistenti servivano da trampolino di lancio per osservazioni sociopolitiche. Chissà che non esista veramente un non-luogo al di là dello spazio e del tempo, del sogno e della realtà, in cui Miéville, Calvino, Trillo e Peake si possono incontrare per scambiare considerazioni sul nostro mondo, ben più spaventoso e assurdo di tante città immaginarie.
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