C’è stato un periodo, qualche anno fa, in cui le contaminazioni tra i generi venivano condotte senza suscitare troppo scalpore. I libri scritti negli anni Novanta da autori quali Alan D. Altieri, Michael Marshall Smith e Jack O’Connell potevano essere classificati come crime fiction o science fiction a seconda dei gusti di chi leggeva. Opere come Ultima luce (1995), Ricambi (Spares, 1996) o Il verbo si è fatto carne (Word Made Flesh, 1999) ne sono i migliori esempi. Nello stesso periodo Jonathan Lethem calcava l’acceleratore dell’avantpop con Concerto per archi e canguro (Gun, with Occasional Music, 1994), miscela di fantascienza, hard-boiled e grottesco, e K.W. Jeter distillava suggestioni cyberpunk e immaginario noir nel suo romanzo più ambizioso, intitolato appunto... Noir (1998). Negli anni che seguirono Richard K. Morgan portò allo stato dell’arte l’ibridazione tra i due generi, specie nella serie dedicata alla figura di Takeshi Kovacs: un antieroe cresciuto in una remota colonia spaziale, ex-guerrigliero, ex-ricercato, infine detenuto, la cui coscienza viene dapprima scaricata in un corpo in affitto per condurre un’indagine sulla Terra (Bay City, 2002), quindi lasciata libera di svolgere missioni sempre più rischiose su altri pianeti in piena zona di guerra (Angeli Spezzati, 2003), fino all’agognato e difficile ritorno a casa (Il Ritorno delle Furie, 2005).
Su “Urania” i punti di convergenza tra i due generi non erano mancati, ma il 2007 fu un anno un po’ “singolare”. Quell’anno la collana Mondadori curata da Giuseppe Lippi presentò ai lettori due romanzi italiani riconducibili a questa sensibilità contaminata: Dario Tonani aprì la strada con Infect@, all’origine poi di una fortunata serie sviluppatasi con un altro romanzo e un certo numero di racconti; poi venne il mio Sezione π², che si era appena giudicato il Premio Urania.
Alcuni videro una tendenza che prendeva forma, ma in realtà la storia era già ricca di titoli ascrivibili al filone, come dimostrano i romanzi degli Spaziali inclusi nel famosissimo Ciclo dei Robot di Isaac Asimov e diversi romanzi di Philip K. Dick, da Il mondo che Jones creò (1956) a Un oscuro scrutare (1977), passando per Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968), che nel 1982 ispirò a Ridley Scott il film di culto Blade Runner.
Sul grande schermo Harrison Ford percorre le strade di una Los Angeles futura, piovosa e notturna, nei panni di un cacciatore di taglie sulle tracce di un gruppo di replicanti ribelli capitanati da Rutger Hauer. L’influenza della pellicola nell’immaginario successivo sarebbe stata dirompente. Forse proprio Blade Runner determinò in maniera più o meno diretta alcune caratteristiche della fantascienza degli anni Ottanta e in particolare di quelle opere riconducibili al movimento cyberpunk, caratterizzate da una prevalenza di atmosfere cupe, da scenari distopici, ambienti metropolitani degradati e personaggi più o meno legati alle sottoculture urbane, comunque sempre schierati contro il sistema. Lo stesso Neuromante (Neuromancer, 1984), considerato il romanzo-manifesto del cyberpunk, di cui quest’anno ricorre il trentesimo anniversario dell’uscita, deve molto al poliziesco e William Gibson non ha mai fatto mistero della sua ammirazione per Dashiell Hammett (come pure della sua refrattarietà a Raymond Chandler).
Ma tornando indietro, non possiamo non citare un caso emblematico: L’uomo disintegrato (The Demolished Man, 1952) di Alfred Bester, vincitore della primissima edizione del Premio Hugo per il miglior romanzo di fantascienza dell’anno, deve curiosamente la sua prima edizione italiana al Giallo Mondadori. Qui venne pubblicato nel 1953 a puntate (utilizzando per la traduzione la primissima versione apparsa anch’essa a puntate sulla rivista “Galaxy”) in appendice a tredici numeri della collana (per l’esattezza dal n. 216 al 228) con il titolo di Anime cieche: l’agente protagonista è un telepate di prima classe che deve raccogliere le prove necessarie a incastrare il mandante di un omicidio che ha osato sfidare le convenzioni sociali del XXIV secolo. Bisognò aspettare il 1963 per vederlo ricomposto in volume sul n. 312 di Urania, e addirittura il 2006 per avere finalmente la traduzione integrale, ad opera di Giuseppe Lippi e Laura Serra, nel n. 42 di Urania Collezione: un libro imperdibile per tutti gli amanti del genere... Anzi, di entrambi i generi!
Senza dimenticare il cinema, che da Agente Lemmy Caution: missione Alphaville di Jean-Luc Godard (1965) a Strange Days di Kathryn Bigelow (1995) ha impresso uno slancio visionario alle indagini nelle pieghe segrete delle società future, dobbiamo fare i conti con il fatto che da almeno sessant’anni i due generi vanno scambiandosi autori e linfa vitale, arricchendosi a vicenda grazie alle ricadute della reciproca contaminazione.
Molti dei titoli citati, insieme a Il grande sonno di Raymond Chandler e Piombo e sangue di Dashiell Hammett, sono stati tra i miei modelli di riferimento fin dai tempi di Sezione π². Nelle pagine di quel romanzo ho iniziato a plasmare la società futura in cui agisce la Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica: un mondo in cui l’accelerazione del progresso ha portato la civiltà umana oltre uno stato di Singolarità, una barriera concettuale che impedisce a chi si trova al di qua di elaborare previsioni anche solo approssimative sui traguardi ottenuti dalla tecnologia al di là dell’evento. La psicografia, ovvero la capacità di recuperare e interpretare le memorie dei defunti direttamente dal loro cervello, che è la disciplina praticata da Vincenzo Briganti e dai suoi colleghi della Sezione, nasce proprio con la valenza metaforica di prospettare una tecnologia del tutto innovativa, con radici evanescenti nella nostra conoscenza attuale. Il contesto in cui Briganti indagava nella sua prima avventura era quello degradato di una Napoli futura, sospesa tra i miraggi dell’estasi tecnologica e la minaccia incombente del collasso ecologico. L’anno era il 2059 e il mondo, nonostante gli effetti della Singolarità, continuava a essere fin troppo simile a quello in cui viviamo.
In continuità con quello scenario è il panorama di Corpi spenti, che riprende le indagini di Briganti, del suo braccio destro Corrado Virgili detto Guzza e del sostituto procuratore Grazia Conti. Sono trascorsi diciotto mesi dai fatti narrati nel precedente romanzo, è il 2061 e l’Italia si appresta a celebrare la retorica del bicentenario dell’Unità, mentre le imminenti elezioni indette per la primavera sanciranno ufficialmente la nascita del Territorio Autonomo del Mezzogiorno. La procedura di Secessione Controllata farà del Sud una zona economica speciale, ma sono talmente rapaci ed eterogenei gli interessi che si accalcano nel suo orizzonte che il rischio concreto è che la Bassitalia diventi una “riserva di caccia”, in balia del predatore più feroce. Una zona franca, in cui le piaghe della corruzione, del crimine organizzato, della connivenza delle autorità, così come la «fabbrica della morte» che miete migliaia di vite tra le fasce più indifese della popolazione (donne e ragazze, in prevalenza), saranno libere di proliferare come metastasi fuori controllo.
L’ultima possibilità di scongiurare l’inabissamento è nelle mani della squadra di Briganti. Rispetto a Sezione π², il reparto è stato decapitato dei suoi vertici e attraversa una fase interminabile di riorganizzazioni, su cui grava la seria ipoteca della completa dismissione. Avere degli agenti speciali in grado di sondare i segreti dei morti rappresenta sì un vantaggio per la giustizia, ma desta anche qualche preoccupazione a tutti quelli che avrebbero le loro buone ragioni per mantenere segrete le trame in cui sono coinvolti. E molti di questi siedono proprio ai piani alti, da cui controllano la città e il suo futuro.
Briganti e i suoi colleghi non avranno vita facile. Come non ce l’avranno i loro unici alleati in questo “scontro di civiltà” sullo sfondo della violazione di ogni diritto, in una stagione di piena emergenza democratica: il PM Conti ed Errico Chianese, direttore dell’ultima testata non allineata della città, Nova X-Press. Entrambi riconoscono nella Pi-Quadro un’officina, come appunto l’ha battezza Guzza. Ho voluto soprannominarla in questo modo per rendere omaggio allo straordinario lavoro di Hugues Pagan, ma a differenza dall’Usine parigina, fabbrica di cadaveri e di carriere, qui ci muoviamo su un territorio diverso. Perché l’Officina è una squadra di personaggi di primo acchito male assortiti, con i loro vizi e tormenti più o meno privati, che si ricompatta di fronte alle pressioni dell’ambiente esterno. In una polizia corrotta e mercenaria, asservita al potere politico e in procinto di essere privatizzata a completamento di un percorso di espropriazione e snaturamento del ruolo delle istituzioni, troviamo questo manipolo di irriducibili su cui nessuno punterebbe cinque euro – rinnegati, sbandati e scansafatiche – che tuttavia si ostinano a riparare ciò che le altre divisioni di polizia, con la complicità dei legislatori, sono intente a sfasciare. Sono le variabili fuori controllo, i giocatori senza niente da perdere, che custodiscono l’ultima speranza: perché l’alternativa è il ground zero della libertà di scelta, la fine delle possibilità, il punto di non-ritorno del controllo totale. Briganti e i suoi hanno in mano la carta vincente, ma i loro avversari potrebbero sbatterli fuori dalla partita prima che la mano cominci.
Rispetto ai modelli citati per il capostipite, il background culturale di Corpi spenti si è significativamente arricchito, facendosi ancora più eterogeneo e variegato: innanzitutto Derek Raymond (con i romanzi della Factory) e appunto Hugues Pagan (con i suoi polar di ambientazione parigina, tra cui l’ineguagliabile Quelli che restano), e poi James Crumley, Elmore Leonard, Jean-Patrick Manchette. L’elenco potrebbe allungarsi a dismisura. Echi delle loro opere riverberano nelle pagine del romanzo, dialogando con le visioni fantascientifiche di Samuel R. Delany, Greg Egan, Charles Stross, Cory Doctorow. Oppure di Michael Chabon, che con Il sindacato dei poliziotti yiddish (The Yiddish Policemen’s Union) proprio nel 2007 scriveva un capolavoro unico, capace di coniugare poliziesco e storia alternativa, abbinando ansie messianiche e umorismo yiddish in un plot di rara grandiosità, meritevole dei successi ottenuti ai principali premi assegnati nel settore della science fiction (Hugo, Nebula, Locus, Sidewise), come pure di quelli sfiorati in ambito mystery (Edgar Allan Poe Award).
Che si tratti di un’epoca futura o di un presente alternativo, la fantascienza è quel paio di occhiali attraverso cui l’autore e il lettore scrutano il presente che li circonda. E il poliziesco, per sua natura, esalta proprio le capacità analitiche di chi osserva. Così il cerchio si chiude dove si è aperto, riportandoci al punto di partenza, alle affinità e convergenze possibili tra i generi; e reitera in questo modo lo schema dell’Ouroboros, che non a caso è uno dei simboli ricorrenti nella serie di Briganti & Co.
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