Raid a Kouru, la prima avventura del Professionista pubblicata su Segretissimo nel maggio 1995 iniziava in Corsica con il protagonista ferito e febbricitante in fuga. Accusato di un delitto non commesso, Chance Renard era a una svolta nella sua esistenza. Fuggito giovanissimo per arruolarsi nella Legione Straniera (Chance è belga e non francese come molti credono) aveva inseguito un sogno. Quello della Legione che accoglie disperati e fuggiaschi fornendo loro una nuova identità, uno scopo. “Marcia o muori”, diceva un famoso film. Una vita durissima, ma anche la possibilità di trovare una nuova famiglia nella quale integrarsi. Un’illusione, come si deduce sin dai primi capitoli. Chance finisce nel mirino proprio dei suoi ex commilitoni e la delusione è cocente. Al pericolo si aggiunge l’amarezza che si protrarrà per diversi romanzi. Chance, però, finirà per far pace con la Legione, spesso sarà collaboratore e consigliere nel corso di missioni speciali. È un vincolo che, alla fine, non si spezza. Un po’ viene proprio dalla mitologia del Corpo, un po’ da suggestioni come i ricordi dello Sconosciuto di Magnus e anche da un vecchio fumetto di Hulet e Bouquoy Il cammino della gloria, pubblicato nel 1986 dalla Glenat Italia, un altro frammento di memoria che raccoglie una scheggia dell’ispirazione del Professionista. Era la storia, ambientata intorno agli anni della Prima guerra mondiale, di un giovane che va a cercar fortuna a Parigi, diventa pugile, frequenta le capricciose signore del bel mondo e, alla fine, va ad arruolarsi proprio nella Legione che diventava un luogo mitico, un territorio sognato per avventure e fantasie.
La Legione è l’Avventura. Da sempre. Il kepì bianco, i pastrani blu, i forti nel deserto, la possibilità di iniziare una nuova vita cancellando la vecchia. Scenari di fantasia che si sovrappongono a una realtà a volte cruda e violenta. E poi, oggi, il mito si rafforza trasformando quello che un tempo era visto come un corpo di avventurieri allo sbaraglio (“Vite vendute” insomma) in una delle forze speciali più addestrate, meglio equipaggiate e operative in ogni angolo del mondo. Una leggenda che si consolida anno dopo anno, arricchendosi di aneddoti, di vicissitudini umane e “credibili invenzioni” attorno ai bivacchi. Storie di genieri barbuti che marciano sugli Champs Elysees al ritmo della Marsigliese, di scontri nella Giungla a Dien Bien Phu, in Africa, in Messico. Vicende di uomini, di donne di malaffare, di odi e di amicizie. La Legione della fantasia da cui è uscito anche il Professionista. Ma esiste anche una Legione della realtà, fatta di sangue, cuore ed eroismo.In realtà i francesi hanno sempre avuto battaglioni o unità straniere. Spesso mandate in prima linea male armate e peggio nutrite. Persino distaccamenti della guardia svizzera che furono gli ultimi a cedere il passo ai “sanculotti” durante l’assalto alle Tuileries all’alba della Rivoluzione. Ma la Legione, intesa come corpo di stranieri che esercitano il mestiere delle armi, è sempre stata fedele soprattutto al suo concetto dell’onore. E quindi ecco i battaglioni italiani e tedeschi durante le guerre napoleoniche. I lancieri svizzeri, portoghesi, polacchi a fianco di Napoleone e poi radunati in unità più organizzate dopo Waterloo. Proprio per dare una ragione d’essere a questi reggimenti nasce una prima forma organizzata di Legione Straniera nel 1831. Sono anni in cui l’Europa viveva un turbinio di passioni politiche, di aspirazioni, ma anche di persecuzioni. L’intero continente è traboccante di rifugiati politici perseguitati dalla repressione dei movimenti nazionalistici. La Legione diventerà un ricettacolo per centinaia di uomini ormai senza radici, pronti a combattere (e sì, a sfogare parte di quella rabbia in corpo accumulata nei rispettivi paesi) al servizio di una nuova patria. Politica e ideali hanno una loro importanza, ma forse a prevalere è proprio il motto Legio, patria nostra, l’idea che entrando nella Legione si sia ammessi a una società fuori da ogni regola politica, una famiglia combattente. Un promo distaccamento della Legione viene stabilito a Langres. Nel corso del 1832 viene istituito un identico centro a Bar-le Duc destinato ad accogliere i volontari provenienti dall’Est europeo. E presto ne sorgono di simili ad Agen per gli spagnoli, ad Auxerre per sardi e italiani in genere. L’idea è che la Legione sarà chiamata a servire fuori dal territorio continentale del regime francese, per cui l’anno successivo il suo centro viene spostato nei possedimenti in Nord Africa, acquisiti dal 1830, ma tutt’altro che pacificati e ancora teatro di operazioni belliche dei pirati barbareschi e dei predoni del deserto. Gli inizi risultano difficili probabilmente a causa dell’eterogeneità dei soldati quanto dell’inesperienza dei comandanti. Sette battaglioni un po’ allo sbando, ma ben presto messi in riga da condizioni operative durissime e da una serie di sottufficiali veterani provenienti dalla Legione della Hogenhole, di provenienza svizzera, disciolta qualche anno prima ma non ancora pronta ad andare... in pensione. La prima fase prevede un raggruppamento in base alla nazionalità dei volontari ma alla lunga tale orientamento verrà considerato nocivo per la coesione e la disciplina. Si preferirà comporre battaglioni misti nei quali ogni recluta straniera verrà affiancata da un veterano o da un soldato quantomeno francofono.
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